Un viaggio, un incubo – venticinquesima puntata

Calma ragazzi ancora un piccolo sforzo e poi questo incubo sarà finito. Per i più temerari qui può trovare le puntate precedenti.


Foto di Eneida Nieves da Pexels

Vedendola irrigidirsi, Mark rinforza il bavaglio con un asciugamano sulla bocca.

«Shut! Ora non potrai urlare!» grida con tono cattivo nell’orecchio sinistro di Simona. «È vero che non sentirò i tuoi lamenti, né le suppliche, ma vedrò l’espressione dei tuoi occhi. Aspettami, tramp! Un secondo e sarò da te! Vedrai come godrai quando ti scopo».

Ha un sogghigno diabolico, mentre gli occhi di Simona tentano di reggere lo sguardo senza mostrare il terrore che ha dentro di sé.

Mark tiene in mano il resto di un panetto di burro con cui ha spalmato il sesso di Simona. Ghigna divertito.

«Questo è miracoloso» urla minaccioso nelle orecchie, mentre lei sostiene lo sguardo di sfida.

Con calma riprende ad applicarlo e ansa per il piacere toccandole il pelo che si unge e diventa lucido.

Le fantasie erotiche, che il gesto scatena, lo fanno venire di nuovo, lordando le gambe di Simona.

«Fuck!» impreca mentre cosparge di burro tutto il corpo. Ansa mentre tocca i capezzoli duri con la speranza di rianimare il suo membro.

Simona volge il viso verso la finestra. Vede un chiarore filtrare attraverso il vetro, mostrando la sagoma della scala antincendio.

Le sembra di vedere delle ombre. Sbatte gli occhi ma pensa che sia solo suggestione. Torna concentrarsi su Mark che ha ripreso a ungerla. È il seno il suo obiettivo. I capezzoli si induriscono sono il suo energico massaggio.

Lo sente mentre riprende ad ansare e strofinarsi sul fianco destro. Il suo è un roco grido di una persona in preda a forte eccitazione sessuale.

Simona volge il viso verso sinistra dove sta la finestra per non incontrare quello di Mark che alita vicino a pochi centimetri.

Ha un moto di schifo per questa vicinanza. Vorrebbe urlare ma il grido si smorza in gola.

Ha un sussulto perché vede qualcosa. “Un’ombra?” Pensa. “No. Due”. Si chiede chi possano essere. “Due inquilini senza le chiavi di casa?” Scuote il capo perché non è possibile. Vorrebbe agitare una mano per richiamare la loro attenzione ma non può. Si è dimenticata di Mark, di quello che sta facendo, della sua eccitazione, perché si è concentrata su due possibili angeli salvatori.

“Calma, Simona” si dice continuando a osservare i movimenti di quelle due ombre. Non si accorge che Mark si è quasi disteso sopra di lei. Il rumore del suo respiro sempre più eccitato non la distrae, concentrata su quelle due ombre, che le appaiono la scialuppa di salvataggio nel naufragio della nave.

Un rumore infernale lo sorprende e si guarda intorno smarrito alla ricerca dell’origine.

Un viaggio, un incubo – ventiquattresima puntata

Cari lettori pazientate un po’ perché tra cinque puntate il vostro martirio avrà termine. Per i più temerari può trovare qui l’arretrato.

da Pixabay credits AdinaVoicu

 

I telefoni smettono di emettere le loro melodie. La calma sembra di nuovo raggiunta senza che lui abbia fatto nulla.

«Pieces of shit! Avete finito di spaccare? Dove sono?» impreca volgarmente.

Vorrebbe spegnerli per non essere più disturbato. Ricomincia la perlustrazione alla loro ricerca, perché non ricorda dove ha posato il suo e dove sia nascosto quello di Simona. È sollevato perché non suonano più. È lucido, sveglio completamente. Ha un ghigno cattivo.

Pensa di prendere un panetto di burro dal frigorifero ma prima deve compiere un’operazione impellente. Deve vuotare la vescica. Il membro diventa duro al pensiero di quello che ha in mente.

«Ha la bocca tappata quella puttana» dice soddisfatto mentre tira lo sciacquone. «Se non l’avessi fatto, avrebbe strillato come una gallina e l’intero caseggiato sarebbe in subbuglio. Avrebbero chiamato la polizia e fine del gioco. Essere prudenti è meglio per non correre rischi. Mi piacerebbe sentire la sua voce implorare pietà, ma la precauzione è doverosa».

Una franca risata lo sprona a mettere in atto quello che ha architettato.

Simona rimane in vigile attesa, ascoltando rumori, frastuoni, urla, imprecazioni, suonerie in un concerto cacofonico. Un attimo di pausa.

Le fitte sono diminuite d’intensità, ma le ricordano quanto è avvenuto e questo non l’incoraggia. Si domanda, quanto durerà la tregua tentando di tenere alta la tensione per fronteggiare il nuovo assalto.

Si chiede perché, nonostante tutti i buoni propositi strillati con molta convinzione, alla fine non riesce quasi mai ad attuarli. Doveva raccontare il tentativo nello sfasciacarrozze, descrivere meglio le sembianze di Mark, dare tutti gli indizi per rintracciarlo. Però lei ha taciuto per un malinteso pudore e un’eccessiva riservatezza. Adesso ne sconta le conseguenze.

“Chissà se mi stanno cercando? Chi ha chiamato il mio numero? Irene? Mia madre?”

Si trova sul letto legata fra puzze e odori sgradevoli, incapace di chiedere aiuto. E rammenta l’incubo dell’altra notte che si sta materializzando. Nel sogno è stato un trillo a salvarla, ma dubita che possa avvenire nelle circostanze attuali. Non ha creato una situazione a suo favore, tacendo. Adesso è in balia di Mark e deve preparare la resistenza. “Per quanto?”

“Peccato non poter chiedere aiuto. Il baccano di prima ha svegliato mezzo mondo. Se potessi, qualcuno mi sentirebbe chiamando la polizia”. Sente dei passi che si avvicinano.

«Aiuto! Help!» Un grido strozzato da una stoffa ruvida nella bocca. Il respiro si fa faticoso mentre teme di morire asfissiata.

Simona si agita perché non può vedere cosa ha in mente Mark. L’ha sentito trafficare in cucina, lo sente vicino a lei. Respira a fatica e il petto si muove come un mantice nel tentativo d’immagazzinare aria. Il bavaglio che copre la bocca impedisce una respirazione nasale corretta. Avverte la mancanza di aria e la sensazione di asfissia. Deve mantenersi lucida né farsi prendere dal panico.

Mark si avvicina. Lo sente ridere sguaiatamente, mentre un brivido percorre la schiena umida e sozza. È consapevole che inizia la partita decisiva. Deve mantenere saldi i nervi, non cedere alle provocazioni e opporre la resistenza passiva più tenace possibile . Sa che è una battaglia quasi persa in partenza, perché lui è deciso a farle la festa e non sarà gioiosa.

Riflette e si prepara a non mostrare paura. Percepisce le sue mani sul corpo. Lo sente parlare in termini sconnessi e respirare rumorosamente. Intuisce che è eccitato e quindi più pericoloso. Ha una sensazione sgradevole. Mani unte massaggiano il suo sesso. Stringe le gambe in modo istintivo ma le corde incidono la pelle delle caviglie già martoriate in precedenza. Vorrebbe urlare ma dalla gola esce un gorgoglio.

I gemiti di Mark crescono d’intensità. Ha compreso il suo piano. La vuole violentare sfruttando il burro o qualcosa di simile. Cresce l’ansia e il senso d’impotenza. Il petto si muove frenetico per il terrore che sta crescendo.

Crede che il gesto sarà compiuto e si rassegna a subire, quando percepisce del liquido vischioso e caldo scendere sulla gamba destra. Ha un sorriso sbieco. Non è soddisfazione ma sollievo per il momentaneo scampato pericolo.

Lo sente imprecare, mentre l’ansito di Mark si mescola con le parole. È un farfugliare incoerente che toglie un pizzico di ansia a Simona, che riprende a respirare con più calma. Una volta di più la buona sorte l’assiste e ringrazia Dio.

“Quanto tempo ho a disposizione, prima che Mark ritenti l’assalto?” si chiede Simona che cerca una posizione più comoda. Però le corde sono implacabili e incidono la pelle martoriata. Il sangue riprende a uscire dove le corde hanno inciso la carne.

Eccomi: sono Amanda

 

Terminate le promozioni vi presento l’ultimo nato Amanda e il bosco degli elfi una continuazione ideale di La kitsune.

Per chi ama l’epub lo può trovare  su

Smashwords  $1,99

Kobo                 € 1,79

Per chi preferisce amazon

ebook              € 2,99

cartaceo         € 8,32

screenshot

non perdetevi l’occasione di leggere gratis

Non perdetevi questa occasione. È irripetibile.

la copertina

Potete scaricare la storia Un caso per tre, che Elena Andreotti e io, quali coautori, abbiamo deciso di mettere in download gratuito dalle ore 0.00 del 23 marzo alle 23.59 del 25 marzo. Una bella e ghiotta occasione per seguire le avventure di Debora Nardi, Walter Bruno e di Puzzone.

Occhio! Termina tra poche ore. Affrettatevi.

 

Grazie

Ringrazio tutti quelli che hanno scaricato un caso per tre, la storia che vede coinvolta Debora Nardi, che voleva essere Jessica Fletcher, Walter Bruno e il suo cane Puzzone

Screenshot di Un caso per tre

col loro contributo abbiamo scalate le classifiche

Un viaggio, un incubo – ventitreesima puntata

Questa volta niente errori. La puntata è quella giusta 😀 La storia continua e volge verso il finale. Qui potete rileggere le altre puntata.


Foto di Eneida Nieves da Pexels

Buona lettura

Mark va nella cucina imprecando agitando il dildo come un’arma. Deve per il momento rinunciare a scopare Simona. Troppo dolore. Però un sorriso assassino increspa le sue labbra.

«Per il momento rinuncio a fotterla» esclama con una punta di odio. «Ma rimpiangerà di avermi bloccato. Slut

Apre il frigo per prendere una birra ghiacciata che ingolla in tre sorsate. Si netta la bocca con la mano. Fa un rutto potente e poi un altro.

Un ghigno cattivo si stampa sul suo viso. Torna nella camera da letto brandendo il dildo.

«Adesso, slut, capirai cosa vuol dire esserti opposta» esclama agitando il dildo sotto gli occhi atterriti di Simona.

Lo fa scivolare nell’incavo del seno, mentre le strizza con cattiveria un capezzolo. Simona serra le palpebre e stringe i denti. Cerca di rimanere rigida, mentre sente il dolore acuto provocato dalla mano di Mark. Vorrebbe urlare ma non può. Scivolano delle lacrime sul viso.

Mark vuol giocare con il terrore e il dolore di Simona. La vuol sentire implorare di smetterla e acconsentire di fare sesso con lui. Gli bruciano due cose: l’essere sfuggita alla violenza dallo sfasciacarrozze e l’essersi opposta stringendo i muscoli pelvici poco prima.

Gli appoggia il dildo sul pube, finge di penetrarla, urla parole sconnesse.

Simona è impietrita dal terrore. Sa che questa volta la violenza arriverà e sarà brutale. D’istinto stringe i muscoli pelvici. Sente il dildo pericolosamente vicino. Stringe ancora di più cercando di chiudere la gambe ma i legacci segano la carne delle caviglie. Nuovo sangue e siero colano dalle ferite.

Mark riporta il dildo verso la bocca, rifacendo il percorso inverso di poco prima. Vorrebbe ficcarlo in gola ma non può. Dovrebbe togliere il bavaglio e Simona potrebbe urlare e svegliare il caseggiato. Rinuncia a malincuore e ripete l’operazione precedente.

Il dildo è sul pube pronto a penetrarla con violenza, quando la suoneria di un telefono riecheggia nell’appartamento.

Ha un sussulto. Si ferma. Si guarda smarrito intorno alla ricerca della fonte sonora, che continua a far sentire la sua voce. Decide di ignorarla. Smette ma passati pochi secondi riprende insistente. Deve far tacere quel telefono e comincia la ricerca, mentre la voce di un vicino infastidito urla improperi. Sente battere sulla parete che sembrano di cartone.

«Get the fuck out of here… You’re such a fuck!» grida verso la parete indispettito, mentre il suono del telefono continua ostinato a farsi sentire.

Il frastuono non cessa, mentre qualcuno dal piano di sotto lo manda al diavolo con male parole.

«È notte!» strepita un altro vicino battendo con veemenza un oggetto sul muro.

Sembra che mezzo caseggiato sia stato svegliato dal rumore della suoneria e dalle urla dei locatari inferociti.

Mark è paralizzato dalla rabbia, perché l’hanno interrotto sul più bello. Si aggira per la stanza per mettere a tacere il telefono. Rovescia una sedia nella penombra, suscitando nuove veementi proteste dei vicini.

Mentre si avvia verso la cucina dove ricorda di aver messo il suo telefono, un’altra suoneria si mescola con la sua.

L.A.Women dei The Doors irrompe nella stanza. Mark si blocca. Proviene da un angolo dove stanno i vestiti di Simona. Alza le spalle e si dirige verso la cucina deciso a vedere chi lo chiama con tanta insistenza. Per quell’altro lo metterà a tacere più tardi.

Simona avverte forti dolori, che le provocano fitte lancinanti a intermittenza senza che lei possa nulla per alleviarli. Non può difendersi, deve solo subire. Percepisce l’angoscia che sta sormontando la volontà di reagire, ma riflette che non può permettere che lui faccia quello che vuole del suo corpo.

“Il primo assalto è respinto con fatica” valuta dolorosamente. “Ma prima che finisca sarà un calvario. E anche il dopo non sarà migliore, ammesso che ci possa essere un dopo”.

Sente la suoneria. Non è la sua, deduce che sia quella di Mark. Ascolta le urla sconnesse e spera che risponda per consentirle di riprendere fiato e forze nell’attesa del prossimo attacco.

“Il bruciore è insopportabile. E non so, se la prossima volta resisterò. Ma mi devo concentrare. Non devo abbassare le difese. Devo rendere la vita al mio aguzzino il più difficile possibile. Lui vorrà divertirsi e non avrà voglia di rompere il giochino tanto presto. Gli toglierò la soddisfazione di farlo. Poi sarà quello che sarà. È inutile farsi molte illusioni”.

Il telefono smette di eseguire L.A.Women dei The Doors con delusione di Simona, che non può godere di una tregua più lunga.

Mark alla fine lo trova dove l’ha lasciato: sul tavolo in cucina ma ha già smesso come l’altro. Ha perso la concentrazione, la voglia di vendetta.

«Slut avrai quello che ti meriti» esclama aprendo il frigo. «Ho la notte a mia disposizione. E domani, dopodomani e finché non mi stancherò».

Prende un’altra birra ghiacciata e un contenitore con un quarto di pollo immerso in una salsa piccante. La tensione e le contrarietà gli hanno messo fame e sete.

«Fuck! Ho passato la notte insonne e non ho combinato nulla» dice pulendosi la bocca con il dorso della mano. «Bel fesso sono stato. Chi mi cerca a quest’ora? Potrei dormire e mi hai svegliato»

È arrabbiatissimo verso l’ignoto scocciatore. Controlla il display: un numero di New York e per di più sconosciuto. Aggrotta la fronte per concentrarsi sul da farsi, stringe gli occhi a una fessura invisibile e cerca di arginare il nervosismo che sta salendo a livelli di guardia.

«Calmati» fa, mentre impreca contro le donne e le loro fottutissime ostinazioni.

Gli si chiudono gli occhi. La giornata odierna è stata faticosa per il lavoro e la ricerca di Simona. Appoggia la testa sulle braccia e comincia a russare. Sogna e immagina di fare sesso con Simona, finché di nuovo il suono del telefono non lo sveglia.

«Fuck!» impreca sollevando la testa, mentre legge l’ora: 5.40 a.m. «E smettila cazzo di telefono di suonare».

È un numero di New York diverso dal precedente. Aggrotta la fronte per capire chi lo cerca a quell’ora.

“Rispondo oppure chiudo?” si interroga dimenticandosi di Simona.

Decide di chiudere la chiamata, per farlo smettere, mentre riprende a imprecare. Sente le braccia intorpidite e la mente annebbiata dal sonno.

Simona ascolta i rumori che provengono dalla stanza non troppo distante, forse la cucina, perché le pare che siano associati all’apertura di un frigorifero o di uno sportello.

Non riesce a comprenderne la natura e si inquieta nell’incertezza, perché vorrebbe prepararsi mentalmente alla difesa passiva.

“Cosa sta architettando?” si domanda angosciata, mentre tenta di sollevare la testa per osservare l’apertura della porta senza scorgere nulla se non un chiarore lontano.

Si aspetta di vedere comparire Mark, ma nuovamente la musica dei The Doors risuona insistente: una melodia familiare. Lo sente urlare parole sconnesse e imprecare furiosamente.

“Questo è il mio telefono! Qualcuno mi sta cercando, finalmente!” si dice con un principio di euforia e ricorda che sta nella tracolla che aveva al Bryant Park.

Mark continua a urlare indemoniato, mandando al diavolo lo scocciatore. Non comprende che è un altro telefono che squilla con insistenza.

«Dov’è?» urla irato, mentre rovescia la sedia e trascina a terra una bottiglia che sembra una bomba, quando tocca il pavimento.

Il rumore è assordante, mentre qualcuno lo manda al diavolo con male parole.

«È notte! Si dorme» strepita un vicino battendo con veemenza una scarpa sul muro.

Mark in preda al nervosismo si agita convulsamente e continua a snocciolare una sequela d’insulti nei confronti di tutti come se loro fossero colpevoli di tutto il fracasso.

I telefoni a turno continuano a squillare. I due suoni lo confondono e l’ira completa il quadro. Si aggira, apre e chiude cassetti, rovista e impreca ad alta voce.

Disegna la stua storia con Leherrison – mi racconti una storia…

Leherrison propone al nipote Marcel una storiella un po’ attuale per passare le lunghe ore da reclusi.

Ecco la storia raccontata dalla zia.

Zia, m’annoio… mi racconti una storia?

– Passami il nostro librone che te ne leggo una.
– No, inventala te
Bien. Allora siediti qui vicino a me e ascolta.

Molte lune prima che tu nascessi, un’astronave proveniente da un’altra galassia atterrò a luci spente sul nostro pianeta. Ne rotolò fuori un esserino bianco tutto tondo con una miriade di appiccicose ventose rosse urticanti: erano antenne ricetrasmittenti.

Appena fuori se ne andò in giro rimbalzando senza sosta su ogni cosa o persona incontrasse lungo il cammino. Ah, dimenticavo: l’alieno possedeva un superpotere che lo rendeva invulnerabile… l’in-vi-si-bi-li-tà.
Il tipetto era stato mandato qui dal suo Gran Capo KZ-X con una missione da compiere: pescare almeno un miliardo di umani caricarli sull’astronave e portarli al suo cospetto. Non era difficile, bastava li marchiasse appiccicandoci una delle sue ventose rosse e il gioco era fatto. In pochi giorni, riuscì indisturbato a stipare sull’astronave un bel po’ di umani e ferirne molti altri prima che il dottor Nougat, laureato col pieno dei voti in galassiologia, intuita la sua presenza, gli dichiarasse guerra.

Ma che armi usare per sconfiggere un essere col superpotere dell’invisibilità? Spade laser ad argon, a kripton o elio-neon? Può darsi, ma dove indirizzarle se il nemico non si vedeva?
Non riuscendo a venirne a capo, Nougat radunò in video-consulto i più grandi galassiologi della terra e, all’unanimità, decisero di farlo spaventare mascherandosi e cospargendo ogni cosa o persona con un liquido puzzolentissimo antischifido. Ma a nulla servì: quello continuò prepotente a rimbalzare dappertutto pescando e ferendo altre migliaia di umani.

Fu scompiglio nell’intero Paese e presto il numero esagerato dei pescati e de feriti da medicare rese la situazione insostenibile. Così, i galassiologi si riunirono nuovamente e architettarono un piano: se l’alieno non si ferma, allora ci fermiamo noi fino a che non se andrà, decisero.
Quindi, la stessa sera, su ogni schermo grande o piccolo del Paese apparve il faccione ben rasato del Presidente che ordinò a tutti ma proprio tutti gli umani di restare buoni buoni in casa fino a nuove disposizioni.

Dall’indomani non una saracinesca si alzò né auto si mise in moto, tacquero le campane delle chiese e i giardinetti; si fermarono i treni, le navi e gli aerei. Nessuno mise più il naso fuori dalla porta di casa.
Il Paese sprofondò in un silenzio insopportabile, proprio come fosse dentro una gigantesca bolla di sapone. Di giorno, ogni tanto si sentiva il fischio di un merlo o l’abbaio di un cane accompagnato dal ticchettio dei tacchi del suo amico a due zampe; mentre di notte, il silenzio era così denso che si riusciva persino a origliare il chiacchiericcio delle stelle.

Quello, per gli umani, fu l’inizio di un’interminabile sfilza di giornate sempre più rallentate, sottovuoto, svogliate, stordite, stranianti, sospese.
Alcuni soffrirono la mancanza di un sorriso, altri scoprirono una nuova dimensione del tempo; altri ancora riscoprirono se stessi e diventarono: poeti, filosofi, cuochi, pasticceri, inventori, scienziati, pittori e non solo.
Tanti diedero un nuovo valore alle parole libertà e futuro.
Pochi fortunati ritrovarono la bellezza delle gemme che nel frattempo si aprivano sui rami: da decenni non ci avevano fatto più caso, così presi a vivere il proprio moto circolare frenetico, ormai davano la vita per scontata.
Lo smarrimento generale cadde persino su chi da tempo era abituato a star da solo, facendolo sentire terribilmente isolato.
Qualcuno, che fino ad allora si credeva invincibile, dovette ammettere di essere fragile… fragile come tutti noi umani

– Perché hai i luccicanti agli occhi, zia Caty?
– Perché… perché non riesco proprio ad andare avanti in questa orrenda lunga Storia, Marcel.
Mi daresti una mano tu?

ed ecco che io arrivo in aiuto per completarla.

Non sono Marcel ma ci provo.

Il nostro esserino si trovò sorpreso dalla mancanza di umani. C’erano solo uccelli, cani e gatti in giro ma quelli non facevano al caso suo. Tornato all’astronave comincio la conta. Uno, due, tre… mille, mille e uno, mille e due… diecimila, diecimila e uno, diecimila e due… ventimila… Uffa che noia, pensò l’esserino che non si divertiva più. Ci aveva trovato gusto a marcare e ferire gli umani, perché non meritavano nulla di più.

Però. C’è sempre un però nelle storie. L’ordine era tassativo: «O torni con un miliardo di umani oppure resti confinato tra loro».

L’esserino si grattò un’antennina e poi si strofinò gli occhi. Il pensiero di restare tra gli umani lo solleticava ma allo stesso tempo aveva perso interesse a beccarne altri.

Mentre l’esserino si aggirava sconsolato tra le via della grande metropoli che all’improvviso era diventata vuota e silenziosa, il nostro Nougat si arrovellava il cervello per trovare una soluzione al caso. Già immaginava le scappellate al suo passaggio, le croci al merito e le comparsate da Vespa nel salotto buono.

«Ma come lo posso beccare?» disse parlando ad alta voce come un matto, muovendosi nervoso nella sua casa di ringhiera. «È invisibile, sfuggente e cambia aspetto. L’unico modo è mettergli un po’ di sale sulla coda come si fa per catturare gli uccelli».

Nougat davanti allo schermo di una TV, dove si parlava solo di questo ebbe un’idea geniale. “Se li faccio uscire tutti e indosso il mantello dell’invisibilità posso appostarmi presso un probabile candidato a essere marchiato. Non appena riconosco che è stato unto, zac… lo avvolgo nella coperta della scemenza e catturo anche l’esserino malefico”.

Nougat trovò che questo era l’unico modo per debellarlo. Se nell’attesa un bel numero di umani veniva marchiato o ferito, beh!, si disse, ho creato l’immunità del gregge.