Mi chiamo Annie Valentine Cook e sono nata il 14 febbraio… parte prima

Questo racconto scritto nel lontano 2008 nasce dalla lettura di un incipit tratto da “Sex and the City” di Alexandra Eminsley, De Agostini trad. di Ida Rubini, pag 286 €15 ©Onions Publications Ltd 2007 ©Istituto Geografico De Agostini, Novara, 2008. Letto sull’inserto del sabato di La Repubblica “ALMANACCO DEI LIBRI” di sabato 9 febbraio 2008.

Buona lettura

Copertina Luca e altri racconti

«Mi chiamo Annie Valentine Cook e sono un bel mistero per me stessa. Non indovinerete mai perché il mio secondo nome è Valentine. Lo sapete già? È vero. Avete centrato il bersaglio. Sono nata il giorno di San Valentino. I miei genitori, un brillante ufficiale della Royal Navy e una ballerina di flamenco si sono sposati giovanissimi. Lui aveva ventidue anni, lei diciotto. Mia madre, Patricia, è originaria delle Indie Occidentali nella meravigliosa isola di Antigua. È bella, bellissima, una creola dalla pelle ambrata come il miele scuro delle montagne. Il giorno di San Valentino del 1933 ha visto un ufficiale della Royal Navy alto e impeccabile nella sua uniforma bianca scendere dall’incrociatore Queen Victory, attraccato nel porto di Sant John’s. “Quell’uomo sarà mio” si disse convinta. Era John Mark, mio padre. È stato un colpo di fulmine e si sono sposati due giorni dopo, perché J.M., come lo chiamava Patricia, doveva ripartire con la sua nave da guerra. Tre mesi dopo è tornato a prenderla per portarla in Inghilterra, dove sono nata il 14 febbraio del 1934. Avevano previsto una vita sentimentale per la loro primogenita di tutto rispetto. Il mio visino a cuore, il mio secondo nome, Valentine, e la mia data di nascita non potevano che condurmi alla passione e all’amore, dovunque dirigessi i miei passi. Invece no, l’unico risultato tangibile è stato di essere mollata. Mollata al ristorante, mollata nella tromba delle scale, mollata al cimitero: che importa dove? Dovunque ho diretto i mie passi, qualcuno ha pensato bene di calpestarmi. Se Left1 fosse una località, il sindaco avrebbe già dovuto consegnarmi la chiave della città. E se Left fosse un reame ne sarei la regina».

Annie Valentine Cook ormai era oltre la soglia dei quarantanni e non li dimostrava. Splendida pelle dorata in modo naturale, eredità della madre Patricia, e portamento austero, assunto dal padre John Mark, la rendevano gradevole agli occhi degli uomini. Questi si accalcavano attorno a lei come api in un campo di lavanda. Però analogamente al comportamento degli imenotteri dopo avere succhiato tutto quello che c’era da poppare se ne andavano senza alcun rimorso, svolazzanti in cerca di altro cibo. A differenza delle api operaie, tutte femmine, loro erano maschi solo desiderosi di impollinare Annie Valentine.

Così cominciavano le storie e così finivano in fretta le stesse. Lei era passionale e calda come la madre, ma a differenza della genitrice non riusciva a conquistare nessuno.

Patricia e John Mark si conobbero in un locale notturno delle Indie Occidentali, prima che la federazione di smembrasse negli anni seguenti in un nugolo di micro stati. Lei era originaria di Montego Bay, ma aveva vissuto dall’età di sei anni nella capitale di Antigua, Sant John’s, dove lavorava come danzatrice di flamenco al Kitty’s Hall. Lui era di stanza da un anno a Port Royal come ufficiale della Royal Navy nell’isola caraibica della Giamaica. Quella sera si recò con altri ufficiali da Kitty’s ad assistere allo spettacolo, dove la stella era Patricia. Quando lo vide entrare, decise di superarsi per attirare i sguardi di quell’ufficiale alto e imponente dai lineamenti regolari. A lei sembrava un dio della mitologia greca e avrebbe fatto carte false pur di conoscerlo.

“Devo farlo mio adesso oppure mi sfuggirà per sempre” si disse mentre sensuale ballava sull’onda della musica.

Lui rimase folgorato da quel corpo flessuoso ed erotico che si muoveva con grazia al ritmo del flamenco. Non riusciva a staccarle gli occhi da dosso. Ne aveva sentito parlare dagli altri ufficiali che c’erano stati nelle serate precedenti. Rifletté che la realtà superava di gran lunga l’immaginazione.

“Ci devo parlare. Come? Non lo so ma ci devo riuscire prima di lasciare il locale” si disse mentre l’osservava senza battere ciglio. Era alto, biondo con gli occhi blu porcellana, che avevano incantato più di una ragazza, ma lui cercava l’esotico, la donna particolare senza trovarla almeno fino a quella serata. Credeva in una leggenda orientale, che aveva ascoltato tante volte durante i viaggi nell’estremo oriente nel mar della Cina. Parlava di un filo rosso invisibile che lega le vite di due persone. Non aveva importanza il sesso ma contava che queste due un giorno si sarebbero incontrate senza lasciarsi mai più. Non sapeva quando ma era certo che sarebbe accaduto. Così il fato o meglio Eros decise che Patricia e John Mark si incontrassero. Tutto capitò per caso o almeno così apparve in apparenza. Lui era seduto al tavolo con Paul, David ed Eddie, quando lei passò nelle vicinanze volutamente per farsi notare e ammirare dall’uomo che aveva stabilito che sarebbe stato suo. Un bianco alticcio l’afferrò per un braccio per darle un bacio e stringerla a sé, ma lei non gradiva quelle attenzioni grossolane, mentre cercava di divincolarsi. John Mark si alzò e dall’alto del suo metro e novanta scaraventò a terra il malcapitato ubriaco, liberandole il braccio. L’uomo cominciò a imprecare con mio padre e, prima di poter reagire, fu preso da due buttafuori e senza troppi complimenti gettato come uno straccio fuori dalla porta.

«Grazie» sussurrò Patricia, mentre lo guardava languida.

«Siediti qui con noi».

«Non posso sedermi coi clienti del locale» disse, prima di aggiungere. «Però al termine dello spettacolo, sì».

«A che ora?» La guardava fisso negli occhi senza accennare a nessun movimento del viso.

«A mezzanotte».

«Bene. A quell’ora ti aspetterò qui».

Patricia si allontanò sotto il suo sguardo attento e interessato

John Mark sorridente si sistemò al tavolo e finì il suo rum. Diede un’occhiata circolare ai compagni tavola e mostrò una bella dentatura candida.

«Amici. Voi potete rientrare a bordo. Io resto a terra. Oggi è il mio giorno di permesso».

«Hai colpito e affondato quel naviglio leggero» replicò ironico Paul.

Una risata concluse quella battuta a cui lui rispose per nulla imbarazzato: «Però tu avresti voluto affondare quella splendida giunca».

«E chi avrebbe rifiutato un simile boccone» ribatté David.

A mezzanotte in punto riapparve Patricia, ancora più luminosa negli abiti sgargianti delle isole caraibiche.

«Dove?» le chiese, porgendole la mano.

«A casa mia» e gliela strinse con sensuale movimento.

Nessuno dei due si era presentato, come se conoscessero i loro nomi da una vita. La notte fu splendida come il cielo stellato di quel 14 febbraio.

Fu un autentico colpo di fulmine e due giorni dopo erano sposi. John Mark doveva ripartire con l’incrociatore per le esercitazioni navali.

«Patricia rimase da sola a Sant John’s per tre mesi. Mio padre, richiamato in patria, la portò con sé a Plymouth, un posto uggioso rispetto al clima di Antigua»

Annie Valentine sospirò a quei ricordi che sua madre le aveva raccontato tante volte. «Il 14 Febbraio del 1934 nacqui io, Annie Valentine, la loro primogenita in quella città che era diventata la nostra residenza, anche quando John Mark rimaneva lontano per mesi».

Annie crebbe e frequentò la Primary School presso le suore di Santa Teresa, che era una specie di collegio chic ed esclusivo di quella cittadina nel sud ovest dell’Inghilterra nella contea di Devon. Suo padre si congedò a trentacinque anni dalla Royal Navy e d’accordo con Patricia decise di tornare in Antigua, dove aveva intenzione di aprire un locale alla moda nella capitale dell’isola. Il progetto andò in porto anche con l’aiuto di Patricia, la cui bellezza non era per nulla sfiorita nella grigia e nebbiosa Plymouth.

Annie crebbe, completò gli studi presso una scuola privata gestita da inglesi e diventò una splendida ragazza.

Adesso, ormai quarantenne, desiderava un uomo con cui avere un figlio e condividere gli anni futuri, ma trovava solo persone desiderose di soli rapporti carnali e basta.

Si era lasciata sprecare troppo concedendosi per passione e amore mai corrisposti. Era un fiore da cogliere e non da impollinare, da succhiare e da abbandonare dopo essere stata sfruttata. Sapeva donare all’uomo del momento un’intensità di passione e un amore che non aveva paragoni, ma il suo modo di proporsi ingenuo e sincero invece di avvicinare gli uomini, li allontanava inesorabilmente.

CONTINUA…

1Left è il participio passato di to leave ovvero lasciato, abbandonato. Piccolo gioco di parole.

0 risposte a “Mi chiamo Annie Valentine Cook e sono nata il 14 febbraio… parte prima”

  1. Una storia molto bella, la parte dedicata ai genitori di Annie Valentine rimanda alle atmosfere descritte nei libri di Jorge Amado e Isabel Allende. Complimenti davvero. Leggerò anche il seguito! 😉

  2. Sei l’unico che abbia letto un brano di quel libro, e in pratica mandano a sinistra quando lasciano ? Che cafoni
    Certo che hai disegnato l’universo femminile proprio come lo descrive l’autrice di sex
    Anni fa in una intervista sara jeasica diceva di non amare il carattere di Carrie di cui interpreta anni e anni di storie ci rimasi un po’ male

  3. Siccome la “Sex and the City” televisiva mi piace mi è piaciuta anche questa storia…
    Vediamo un pò api e impollinazioni dove ci conducono.
    😀

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