potete scaricare anche la storia Un caso per tre, che Elena Andreotti e io, quali coautori, abbiamo deciso di mettere in download gratuito dalle ore 0.00 del 23 marzo alle 23.59 del 25 marzo. Una bella e ghiotta occasione per seguire le avventure di Debora Nardi, Walter Bruno e di Puzzone.
potete scaricare anche la storia Un caso per tre, che Elena Andreotti e io, quali coautori, abbiamo deciso di mettere in download gratuito dalle ore 0.00 del 23 marzo alle 23.59 del 25 marzo. Una bella e ghiotta occasione per seguire le avventure di Debora Nardi, Walter Bruno e di Puzzone.
Leherrison propone al nipote Marcel una storiella un po’ attuale per passare le lunghe ore da reclusi.
Ecco la storia raccontata dalla zia.
– Zia, m’annoio… mi racconti una storia?
– Passami il nostro librone che te ne leggo una.
– No, inventala te
– Bien. Allora siediti qui vicino a me e ascolta.
Molte lune prima che tu nascessi, un’astronave proveniente da un’altra galassia atterrò a luci spente sul nostro pianeta. Ne rotolò fuori un esserino bianco tutto tondo con una miriade di appiccicose ventose rosse urticanti: erano antenne ricetrasmittenti.
Appena fuori se ne andò in giro rimbalzando senza sosta su ogni cosa o persona incontrasse lungo il cammino. Ah, dimenticavo: l’alieno possedeva un superpotere che lo rendeva invulnerabile… l’in-vi-si-bi-li-tà.
Il tipetto era stato mandato qui dal suo Gran Capo KZ-X con una missione da compiere: pescare almeno un miliardo di umani caricarli sull’astronave e portarli al suo cospetto. Non era difficile, bastava li marchiasse appiccicandoci una delle sue ventose rosse e il gioco era fatto. In pochi giorni, riuscì indisturbato a stipare sull’astronave un bel po’ di umani e ferirne molti altri prima che il dottor Nougat, laureato col pieno dei voti in galassiologia, intuita la sua presenza, gli dichiarasse guerra.
Ma che armi usare per sconfiggere un essere col superpotere dell’invisibilità? Spade laser ad argon, a kripton o elio-neon? Può darsi, ma dove indirizzarle se il nemico non si vedeva?
Non riuscendo a venirne a capo, Nougat radunò in video-consulto i più grandi galassiologi della terra e, all’unanimità, decisero di farlo spaventare mascherandosi e cospargendo ogni cosa o persona con un liquido puzzolentissimo antischifido. Ma a nulla servì: quello continuò prepotente a rimbalzare dappertutto pescando e ferendo altre migliaia di umani.
Fu scompiglio nell’intero Paese e presto il numero esagerato dei pescati e de feriti da medicare rese la situazione insostenibile. Così, i galassiologi si riunirono nuovamente e architettarono un piano: se l’alieno non si ferma, allora ci fermiamo noi fino a che non se andrà, decisero.
Quindi, la stessa sera, su ogni schermo grande o piccolo del Paese apparve il faccione ben rasato del Presidente che ordinò a tutti ma proprio tutti gli umani di restare buoni buoni in casa fino a nuove disposizioni.
Dall’indomani non una saracinesca si alzò né auto si mise in moto, tacquero le campane delle chiese e i giardinetti; si fermarono i treni, le navi e gli aerei. Nessuno mise più il naso fuori dalla porta di casa.
Il Paese sprofondò in un silenzio insopportabile, proprio come fosse dentro una gigantesca bolla di sapone. Di giorno, ogni tanto si sentiva il fischio di un merlo o l’abbaio di un cane accompagnato dal ticchettio dei tacchi del suo amico a due zampe; mentre di notte, il silenzio era così denso che si riusciva persino a origliare il chiacchiericcio delle stelle.
Quello, per gli umani, fu l’inizio di un’interminabile sfilza di giornate sempre più rallentate, sottovuoto, svogliate, stordite, stranianti, sospese.
Alcuni soffrirono la mancanza di un sorriso, altri scoprirono una nuova dimensione del tempo; altri ancora riscoprirono se stessi e diventarono: poeti, filosofi, cuochi, pasticceri, inventori, scienziati, pittori e non solo.
Tanti diedero un nuovo valore alle parole libertà e futuro.
Pochi fortunati ritrovarono la bellezza delle gemme che nel frattempo si aprivano sui rami: da decenni non ci avevano fatto più caso, così presi a vivere il proprio moto circolare frenetico, ormai davano la vita per scontata.
Lo smarrimento generale cadde persino su chi da tempo era abituato a star da solo, facendolo sentire terribilmente isolato.
Qualcuno, che fino ad allora si credeva invincibile, dovette ammettere di essere fragile… fragile come tutti noi umani
…
– Perché hai i luccicanti agli occhi, zia Caty?
– Perché… perché non riesco proprio ad andare avanti in questa orrenda lunga Storia, Marcel.
Mi daresti una mano tu?
ed ecco che io arrivo in aiuto per completarla.
Non sono Marcel ma ci provo.
Il nostro esserino si trovò sorpreso dalla mancanza di umani. C’erano solo uccelli, cani e gatti in giro ma quelli non facevano al caso suo. Tornato all’astronave comincio la conta. Uno, due, tre… mille, mille e uno, mille e due… diecimila, diecimila e uno, diecimila e due… ventimila… Uffa che noia, pensò l’esserino che non si divertiva più. Ci aveva trovato gusto a marcare e ferire gli umani, perché non meritavano nulla di più.
Però. C’è sempre un però nelle storie. L’ordine era tassativo: «O torni con un miliardo di umani oppure resti confinato tra loro».
L’esserino si grattò un’antennina e poi si strofinò gli occhi. Il pensiero di restare tra gli umani lo solleticava ma allo stesso tempo aveva perso interesse a beccarne altri.
Mentre l’esserino si aggirava sconsolato tra le via della grande metropoli che all’improvviso era diventata vuota e silenziosa, il nostro Nougat si arrovellava il cervello per trovare una soluzione al caso. Già immaginava le scappellate al suo passaggio, le croci al merito e le comparsate da Vespa nel salotto buono.
«Ma come lo posso beccare?» disse parlando ad alta voce come un matto, muovendosi nervoso nella sua casa di ringhiera. «È invisibile, sfuggente e cambia aspetto. L’unico modo è mettergli un po’ di sale sulla coda come si fa per catturare gli uccelli».
Nougat davanti allo schermo di una TV, dove si parlava solo di questo ebbe un’idea geniale. “Se li faccio uscire tutti e indosso il mantello dell’invisibilità posso appostarmi presso un probabile candidato a essere marchiato. Non appena riconosco che è stato unto, zac… lo avvolgo nella coperta della scemenza e catturo anche l’esserino malefico”.
Nougat trovò che questo era l’unico modo per debellarlo. Se nell’attesa un bel numero di umani veniva marchiato o ferito, beh!, si disse, ho creato l’immunità del gregge.
Ricordo ai viandanti di questo malandato blog che Le linee parallele si incrociano è in download gratuito e la promozione termina domani 22 alle 23 e 59. Dunque approfittatene.
Le linee parallele si incrociano
dalle ore 0 del 20 marzo alle ore 23.59 del 23 marzo.
Per chi ama l’epub fino al 25marzo 2020 è scaricabile free su Smashwords con coupon BT95K
Per un disguido con la data di programmazione ho programmato per martedì 17 la ventiduesima puntata. Per cui questa che è la ventunesima viene pubblicata in ritardo. Mi scuso coi i lettori del mio imperdonabile errore. Buona lettura
Qui, per chi fosse curioso o avesse perso qualche puntata precedente, trova le altre.
credits by pexels.com
Simona si risveglia, è distesa su un letto con le braccia e le gambe immobilizzate. Trema e vorrebbe urlare ma non riesce. Tenta di muovere le braccia ma griderebbe per il dolore: delle corde incidono i polsi. Gira il capo e si guarda intorno vedendo solo buio. Pensa di essere bendata o aver perso la vista ma le sembra d’intravedere dall’unica finestra l’ombra di una scale esterna. Respira a fondo ma avverte un dolore sordo alla base della testa e due lacrime scendono sulle guance finendo ai lati del viso.
Ha un flash. Ricorda le immagini dell’incubo della notte precedente. Sembra che i fotogrammi si sovrappongano con la realtà che sta vivendo e comprende che sarà difficile uscire indenne. Se l’altra notte l’incubo si è interrotto per il trillo del telefono prima che Mark tentasse di entrare, questa volta non ci saranno angeli salvatori che verranno in suo aiuto.
“Ieri notte” riflette scoprendo di essere nuda col corpo madido di sudore per lo stress. “Ieri notte durante l’incubo non potevo chiedere aiuto, esattamente come ora. C’erano oltre Mark anche Roberto, Enrico e Anna e sono stata salvata da un provvidenziale trillo del telefono”. Un brivido di freddo le fa accapponare la pelle al pensiero che nessuno squillo la salverà. Si augura che l’agonia duri poco e non sia eccessivamente dolorosa. Sa che, dopo avere abusato di lei, dovrà sparire fisicamente senza lasciare tracce.
Le sue narici avvertono l’acre odore del sudore che il suo corpo emette. Ha sempre odiato le persone che lasciano nell’aria una nuvola di afrore agliaceo. Le ascelle, la schiena sono bagnate e puzzano tremendamente. Qualsiasi movimento le costa dolore, perché le cinghie segano la carne a ogni spostamento. Avverte che sta perdendo sangue dove stringono.
Ammette di essere stata imprudente, tacendo a Dick il particolare della tentata violenza dallo sfasciacarrozze. Avrebbe dovuto aprirsi, perché di certo avrebbe suggerito qualche contromossa. Anche con Irene è stata reticente e forse avrebbe compreso i motivi per cui non voleva uscire.
Pentirsi adesso è inutile, perché le sue sono lacrime di coccodrillo.
“Non sono una ragazzina, ma una donna adulta di quarant’anni” ricorda con una punta d’amarezza. “Lasciarsi irretire in rete da uno sconosciuto, concedergli quello che ho permesso non è consono della mia età”. Questi tardivi pensieri valgono poco nella sua situazione. Inoltre la decisione della partenza per New York le fa capire quanto sia stata avventata in questa avventura con uno sconosciuto.
Ha deciso senza ascoltare nessuna ragione, senza riflettere sui pericoli di un viaggio alla ricerca di qualcosa presente nella sua mente.
“Ho avuto la presunzione di superare qualsiasi ostacolo con le mie forze, d’ignorare avvertimenti che hanno squillato inutilmente” si dice sapendo in quale tragica situazione si è cacciata. Non ha voluto coinvolgere nessuno fidandosi del suo intuito per risolvere da sola le questioni con Mark. Intuisce di essere nei guai e sono molto seri. Comincia a piangere, mentre l’aria della stanza è impregnata dal suo odore pungente e aspro. Il caldo della notte la fa sudare in abbondanza.
Non sa misurare il tempo. Le sembra che siano passati dei secoli da quando si è risvegliata. E non ha nemmeno la percezione per quanto tempo è stata incosciente.
“Un’ora? Due ore?” si interroga, ma le pare che le lancette si siano fermate. Non è conscia che ora della notte sia. Ha un’unica certezza: c’è ancora buio.
Non ode alcun rumore a parte il suo respiro affannoso. Non sarebbe in grado di spiegare dove è rinchiusa, qualora riuscisse a liberarsi. I suoni sono inesistenti o talmente ovattati da risultare impercettibili.
Si domanda dove sono finiti i suoi vestiti e perché lui non c’è. Vuole tenere la mente impegnata perché l’ansia e il panico non abbiano il sopravvento. Se vuole conservare un briciolo di speranza di cavarsela, deve rimanere lucida e ragionare con calma senza tradire l’angoscia che porta dentro.
“Mi stanno cercando?” si chiede ma intuisce l’inutilità della domanda. “Non sanno chi è e dove mi tiene prigioniera. Come posso credere che riescano a liberarmi se ignorano tutto? Le mie sono solo fantasie disperate”.
Le pare di udire in lontananza un rumore di treno, ma forse è solo suggestione. Il silenzio è tombale.
Il caldo nella stanza sta diventando insopportabile mentre suda e respira con affanno. Sente lo stimolo di urinare, ma si trattiene, perché percepire l’afrore dell’urina misto a quello del sudore sarebbe un lezzo rivoltante. Inoltre sarebbe un’umiliazione per lei, perché Mark potrebbe pensare che è avvenuto per lo stimolo del panico. In parte è vero ma ha bevuto con abbondanza durante la serata ed è naturale che debba vuotare la vescica.
Stringe i denti, ma il dolore al basso ventre diventa lancinante. Prega di resistere allo stimolo.
Il rumore della serratura che si apre agisce da detonatore: un liquido caldo scivola fra le cosce. Sembra che non finisca più.
Piange perché si sente umiliata, ma deve mantenere calma e lucidità se vuole contrastare Mark.
Intravvede nel vano della porta una luce e la sagoma corpulenta di Mark. Se aveva qualche barlume di speranza che il suo aguzzino non fosse lui, adesso deve prendere atto della realtà e rimanere fredda per contrastarlo a parole, visto che fisicamente non lo può fare.
Solleva il capo a fatica per seguire le mosse dell’uomo, mentre percepisce sotto il suo corpo l’umido misto di urina e sudore. Ha una smorfia di nausea, perché la stanza è piena di odori sgradevoli.
«My slut!» esclama entrando nella camera, arricciando il naso per l’olezzo poco invitante presente nell’aria.
«No shit! Ti sei pisciata addosso dalla paura!» afferma Mark con la forza del tono ironico. «Mio dio, che puzza! Che schifo! Ti dovrò lavare prima di fotterti!»
Poi impreca minacciosamente, agitando sotto il naso di Simona un enorme dildo.
«Sporca troia mi hai rovinato un materasso nuovo! Avrai quel che ti meriti!» afferma in preda dell’ira.
Lei ascolta in silenzio senza muovere un muscolo della faccia. “Ti ho rovinato un materasso nuovo?” si dice aggrottando la fronte. “Ben ti sta! Non mi vuoi scopare sporca e sudata? E chi se ne frega! Signore aiutami!”
Poi prega che il supplizio duri poco. Vorrebbe essere già morta ma sa che l’agonia sarà lunga e dolorosa.
La stanza è parzialmente illuminata da una lampada a terra, ma non ha importanza per lei, perché così non vede il suo aguzzino.
Mark apre la finestra nel tentativo di eliminare l’odore, ma entra un fiotto di aria umida e maleodorante tale da costringerlo a richiuderla subito.
In preda all’ira per il contrattempo non prende nessuna decisione. Quello che aveva immaginato è saltato e non riesce a organizzare un piano alternativo.
Continua a insultarla sperando in una reazione che non arriva. Simona rimane immobile, decisa a usare l’arma d’ignorarlo per innervosire Mark e costringerlo a qualche errore. Lei deve usare la psicologia per coltivare qualche speranza di riuscire a cavarsela.
Mark innervosito per la mancata reazione di Simona decide di scoparla anche se è sporca di urina. Si spoglia e tenta di penetrarla.
Simona irrigidisce i muscoli pelvici. Lei sente delle fitte atroci, ma stringe i denti, costringendolo a desistere. Mark urla parole sconnesse, perché ha provato dolore.
Una nuova valanga d’insulti la investe, ma Simona finge di non capirli. Non può parlare per via del bavaglio sulla bocca ma la sua immobilità è uno schiaffo per Mark.
Per il momento è riuscita a mantenere la lucidità e respingere i suoi assalti. Il prezzo è alto: avverte spasmi lancinanti nel basso ventre.
“Quanto potrò resistere?” si chiede con affanno senza mostrarlo apertamente. Sa che la prossima volta sarà ancora più doloroso.
Il tempo scorre a suo favore. Fuori il cielo è ricoperto di stelle che lei non può vedere.
Simona è prigioniera. Ce la farà a uscirne fuori? Leggete questa puntata e le prossime e lo scoprirete. Qui trovate le puntate arretrate.
Foto di Quintin Gellar da Pexels
Dick mostra a Todd gli esiti delle sue ricerche.
«Secondo me il cognome è Flannagan, un broker che ha seguito e firmato gli allegati tecnici alla proposta della polizza assicurativa per i nostri residence. Abbiamo qualche fotogramma ricavato dai monitor. Non sappiamo null’altro di lui».
Il detective si collega all’archivio per investigare sul potenziale rapitore. Non trova nulla d’interessante. Sta per abbandonare le ricerche, quando s’imbatte in una foto della patente per un’infrazione stradale di alcuni anni prima.
La stampano e la confrontano con i fotogrammi.
«Sembra proprio lui!» esclama Dick. «Se fosse vero, sappiamo come si chiama. Sulla patente quale indirizzo è registrato?»
Sul viso stanco di Dick compare un sorriso di soddisfazione. Sono ore che stanno scandagliando archivi e documenti e nonostante i numerosi caffè la stanchezza affiora.
Dick si appoggia allo schienale della poltrona e vorrebbe partire subito alla caccia dell’uomo.
«Forse riusciamo a beccarlo prima che sparisca o possa fare del male a miss Ferrari» afferma con la voce impastata di caffè e stanchezza. «Il tempo gioca a nostro favore, perché lui si sente tranquillo. Non immagina che lo abbiamo individuato. Per me è un elemento pericoloso».
Irene pare risvegliarsi dal torpore nel quale è caduta e chiede: «Allora possiamo liberare Simona? Quando?»
Todd mugugna qualche parola poco intellegibile mentre ricerca l’ultimo indirizzo di Mark. Sembra infastidito dalle pieghe che ha preso il caso. Non era sua intenzione trovarsi coinvolto.
È incerto se aprire ufficialmente una pratica oppure procedere in autonomia senza nessuna ufficialità. Qualunque decisione possa prendere, è conscio di avere violato il regolamento. Ritiene inutile sfidare la fortuna e decide di avvertire il capo di quello che sta accadendo.
«Phil ho una questione non proprio chiara per le mani» esordisce con l’ispettore capo, prima di descrivergli tutti gli avvenimenti.
«All’inizio ero perplesso, ma poi leggendo un messaggio, che un certo Mark Flannagan ha scritto, non ho avuto dubbi. L’intuito mi dice che lei non se ne è andata via di sua spontanea volontà» spiega Todd usando un tono rassicurante. «A sentire Dick Smith, il responsabile della security dei residence Inn Patriot, miss Ferrari avrebbe taciuto particolari importanti su come ha trascorso il pomeriggio di due giorni fa. Forse dettagli che sarebbero decisivi nello stabilire se è stata rapita oppure no. L’amica italiana, arrivata oggi, dice che l’ha percepita reticente su Mark, come se volesse nascondere qualche segreto inconfessabile. Insomma a tutti è apparsa impaurita, ma decisa a occultare qualcosa come se volesse risolvere da sola la grana che aveva per le mani».
Todd rimane in silenzio mentre l’ispettore capo parla.
«Dick avrebbe individuato con relativa certezza chi sarebbe il presunto sequestratore» risponde a una domanda del superiore. «Io ho l’ultimo indirizzo ufficiale di questa persona. Mi autorizzi a fare una visita a Mark Flannagan per sincerarmi di avere preso una cantonata.. Però se avessi il supporto della mia squadra, John e Ricky, sarebbe l’ideale e sarei più tranquillo».
Phil rimase muto per qualche istante prima di dare il suo okay all’operazione e allertare i poliziotti richiesti da Todd.
«Mi raccomando niente colpi di testa, né azioni pericolose per l’ostaggio» afferma Phil come ultima raccomandazione. «Tenetemi informato sugli sviluppi. Kick butt!»
A Dick sembra sparita tutta la stanchezza al pensiero di cominciare la grande caccia. Todd rimane una sfinge, mentre prende accordi con la sua squadra.
Spediscono a letto Irene, incapace di tenere gli occhi aperti, nonostante le vigorose rimostranze di essere sveglia e per nulla stanca. Sono irremovibili su questa decisione, perché reputano che sarebbe d’impiccio e basta. Irene prima di sparire fornisce loro il numero di telefono di Simona.
Pensano che possa tornare utile per individuare con precisione dove si trova. «Non credo che abbia avuto il buon senso di spegnerlo. Lui si sente tranquillo» conclude Dick mentre prepara con Todd il piano. Si accordano con John e Ricky per dare loro le ultime raccomandazioni.
«Mi raccomando. Prudenza e niente sirene. Lui non deve sospettare di essere stato individuato. Se notate qualcosa di sospetto avvertitemi subito» ribadisce con autorità Todd.
Il piano prevede che si spostino nel quartiere dove Mark presumibilmente ha l’appartamento. Nessuna certezza ma fanno assegnamento sulla buona stella. L’indirizzo segnato sulla patente è un casermone con centinaia di appartamenti. Non è certo che questo sia ancora valido ma confidano nella buona sorte. Pertanto devono ispezionare il caseggiato per individuare le possibili vie di fuga. Solo in un secondo tempo verificheranno se abita ancora lì. Qualora Mark risieda in quell’edificio, decideranno al momento come provare a liberare l’ostaggio. Sono convinti che abbia portata Simona dove abita.
Il caseggiato è posto all’incrocio tra Lydig Ave e Williamsbrigde Rd, un po’ fatiscente e con una decina di piani e diverse centinaia di appartamenti. Troppi da passare in rassegna tutti, riflette Dick la cui fiducia sembra incrinata.
Todd si accosta alla macchina dei suoi uomini dando le ultime istruzioni, prima d’immergersi in una serie di telefonate.
«È al sesto piano. L’appartamento 617» dice con tono piatto avviandosi verso l’ingresso.
Senza troppa fatica entrano nell’edificio e si dirigono verso gli ascensori. Dick è perplesso per la facilità con cui si stanno svolgendo gli eventi. Gli sembra una passeggiata ma intuisce che presto arriveranno le difficoltà. Preso dal facile entusiasmo di avere individuato la persona, dalla semplicità con la quale hanno scovato l’indirizzo tuttavia intuitivamente pensa che siano incappati in una cantonata. Dentro di sé spera che le sensazioni negative siano errate.
Davanti alla porta contrassegnata dal numero 617 sono incerti se entrare senza preavvisi oppure farsi aprire dall’inquilino.
«Cosa dici?» chiede Todd sottovoce «Entriamo forzando la serratura o suoniamo alla porta?»
Dick sente crescere dentro sensazioni negative e preferisce una soluzione più legale.
Guardano l’ora: è mezzanotte.
«Certo se non è il nostro Mark Flannagan, si prende un bello spavento l’inquilino del 617» chiosa Dick per nulla allegro.
Todd ridacchia alle parole di Dick e ribatte con la sicurezza di chi non commette errori. «Se invece lo è, il coccolone se lo piglia lui!»
Suonano e bussano con vigore. Percepiscono dei suoni strascicati che si avvicinano alla porta.
«Chi è?» chiede una voce femminile assonnata non giovanile.
«Polizia» risponde Todd agitando il distintivo davanti all’occhio magico.
Sentono trafficare con la catenella e poi due scrocchi per aprire una fessura. Allunga una mano col distintivo nel pertugio e osserva la persona che in camicia da notte s’intravvede. Scuote il capo, perché sembra che i dubbi di Dick siano realizzati.
«Cerco un certo Mark Flannagan» dice Todd usando un tono di comando. «Il suo ultimo indirizzo ufficiale è questo».
La donna dai capelli bianchi e arruffati scuote il capo in segno di diniego. «Mi spiace, ma vivo col mio vecchio, che sta su una carrozzina come un vegetale. Non conosco nessun Mark Flannagan».
Todd capisce che sta dicendo il vero ma insiste con le domande.
«Da quanto tempo abitate qui?»
«Da sei mesi. Ignoro chi abitasse prima di noi. Dovrebbe chiederlo all’amministratore. Se vuole vado a prendere l’indirizzo e il telefono».
Todd fa segno col capo di no e la ringrazia. «Andiamo di fretta. Mi spiace averti svegliata. Notte» e ritira la mano, mentre sentono richiudere la porta con due mandate.
«Oh! shit!» impreca Todd mentre si avviano a raggiungere la strada.
Intuisce di essere nella merda, perché la persona cercata è diventata un ufo mescolata a milioni di persone. Rischiano di perderci la faccia, quando un’idea balena nella testa di Todd.
«Il nostro Mark come ha fatto a scoprire l’indirizzo di Miss Ferrari?» domanda Todd scuro in volto.
«Tramite i tabulato delle chiamate! Poiché di sicuro ha chiamato per conoscere a chi corrisponde un certo numero chiamante. Miss Ferrari deve aver usato il telefono del residence per essere individuata da Mark. Possiamo usare lo stesso trucco con lui. Torniamo in ufficio ed esaminiamo i tabulati» esclama trionfante Dick.
Todd annuisce perché l’idea è giusta. Poi sarà lui a convincere la compagnia telefonica a localizzare la cellula del telefono di Mark.
La Chevrolet verde di Todd si dirige verso il residence dove esaminano i tabulati con le chiamate uscenti ed entranti. Non ci mettono molto a isolare il numero chiamato da Simona, che compare sia in uscita sia in entrata.
«Ottima mossa, Dick!» si congratula Todd soddisfatto. «Ora è il mio turno con Verizon».
Scoprono con grande sorpresa che il telefono è localizzato proprio in quel caseggiato dove si sono recati due ore prima.
«Quella vecchia megera ci ha infinocchiati!» sbraita Todd.
«Non credo. Il numero dell’appartamento forse non è 617. Ricontrolla» suggerisce Dick.
«Okay. Torniamo là. Verizon mi avverte se si sposta. Ha confermato che intorno alla dieci era nei pressi del Bryant Park, poi si è spostato in Lydig Ave dove è rimasto per circa un’ora. A mezzanotte era nel West Village, spostandosi nel Midtown West, rientrando alle due, pochi minuti fa. Lo possiamo beccare in fallo».
Sono tesi ma soddisfatti di come procede la caccia.
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