Silvia e Laura

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Buona lettura

Gli occhi di Silvia si posarono sul giallo dei campi di colza che abbracciavano la strada da entrambi i lati, mentre si era protesa verso Laura, che guidava con andatura tranquilla. Percepì l’impulso di sfiorarle la nuca. Nell’incavo del collo aveva intravisto quel giallo abbagliante che si univa ai verdi intensi delle piante primaverili ed al bianco delle nuvole gonfie di vento. Gli stessi colori pulsavano in lei adesso per la semplice vicinanza.

«Chissà come sarebbe stato lo stage di Young. Mi dispiace che tu non ci sia potuta andare. Come abbiamo detto a tutti, era una buona occasione per vedere al lavoro un grande trainer, e un metodo lontanissimo da quello italiano». Risuonavano nell’abitacolo le parole di Laura appena sovrastate dal rumore del motore.

Silvia le sorrise, pensando alla telefonata del giorno precedente, perché ricordava bene quello che lei aveva detto a Laura. «Potrei dirti che ho seguito un desiderio improvviso, ma non sarebbe la verità. La verità l’ha detta il mio corpo che ribolliva tra le tue mani». Silvia aveva pensato che qualsiasi cosa venisse da Laura le sembrava un dono grande da assaporare e da godere con lentezza, anche se erano solo pochi minuti e non una giornata intera.

«Silvia, non so se stiamo tenendo un atteggiamento corretto, ma soprattutto se io lo assumo nei tuoi confronti. Però forse ti faccio del male» proruppe all’improvviso Laura rompendo il silenzio.

«Cosa dici?» Replicò quasi stizzita, mentre cercava la sua mano. Laura teneva fisso lo sguardo sulla strada come se il contatto non si fosse materializzato.

«Il male non sempre si fa con l’intento di nuocere» rispose con tono pacato, mentre tentava invano di placare l’intimo subbuglio che cresceva più intenso.

«Non ti seguo». Silvia corrugò la fronte e la voce diventò incerta e titubante come se il cielo si fosse oscurato all’improvviso e minacciasse tempesta «Ho voglia di provare i costumi per lo spettacolo. Desidero stare con te nella tua casa sul lago. Sento che mi parlerà di aspetti che non conosco. Io ti ho vista solo in quell’aula o all’interno del teatro. Ho voglia della tua vicinanza, della tua pelle, delle tue parole. Questo non è male. Non può essere il male».

Mentre Laura cercava di domare il demone del desiderio, che si affacciava nella mente, sfiorò il viso di Silvia, che cominciò ad accarezzarle la mano con la guancia finché lei non sorrise.

Il borgo, che era la meta del viaggio, apparve repentino dopo una curva, mentre uscivano da un piccolo bosco di querce e castagni nella campagna ondulata della Brianza.

Il lago splendeva in lontananza quando Laura si infilò in un dedalo di stradine, attorniate da piccole case antiche. Silvia chiese di scendere, perché voleva percorrerle a piedi. Laura sorrise a questa richiesta, perché le sembrava una bambina con il viso solcato dalle emozione di chi vede per la prima volta un mondo nuovo tutto da scoprire.

In quelle vie strette e poco baciate dal sole c’era il negozio di costumi teatrali più ricercato dalle compagnie Loro arrivarono in silenzio tenendosi per mano.

La proprietaria riconobbe subito Laura che conosceva di vista dai tempi in cui faceva la costumista teatrale, accogliendole affabilmente. Raccontò di aver aperto la sua attività da dieci anni in questo borgo lontano dalle strade di grande scorrimento e di non aver risentito dello spostamento da Milano. I suoi costumi e la sua competenza continuavano ad essere ricercati dalle compagnie sia professionali che amatoriali.

«Cerchiamo i costumi delle protagoniste per una piccola rappresentazione di ‘Romeo e Giulietta’, che farò con i miei allievi del secondo anno tra poco meno di un mese». Spiegò Laura con tono professionale e garbato.

«Che taglia?» Rispose la costumista con una punta di incertezza mista a dubbio, perché le sembrava strano che venisse una persona sola a provare i costumi per le diverse interpreti.

«Li proverà lei, che è Nutrice» continuò Laura con voce decisa e secca ritenendo inopportuno dare altre spiegazioni.

La proprietaria in silenzio andò nel retrobottega a prendere due costumi uno per Giulietta ed uno per Nutrice. Mentre li provavano, ne avrebbe presi altri, anche se sapeva che sarebbe stata fatica inutile. Era certa che avrebbero scelto questi, ignorando gli altri. L’esperienza maturata in tanti anni e la conoscenza dei gusti di Laura le suggerirono che i due costumi avrebbero messo in risalto la figura di questa ragazza minuta e pallida. Si domandò quale strano rapporto intercorresse tra le due donne tanto diverse per aspetto ed età.

Silvia entrò nel camerino con un abito blu di broccatello, si tolse i jeans e la canotta, rimanendo con le sole mutandine. Sentì alle sue spalle una presenza che le accarezzava la nuca con la lingua. Si girò delicatamente e guardò in silenzio con gli occhi che scintillavano di piacere nel sentire il desiderio crescere dentro di lei.

«Come va?» La proprietaria stava davanti al mucchio di costumi da provare. Laura chiuse la lampo sulla schiena di Silvia che le sorrise maliziosa, mentre uscivano dal camerino. L’abito faceva risaltare la pelle chiara. Il taglio impero le sottolineava il seno. Era semplicemente perfetto. L’effetto era quello atteso.

Che sto facendo? Potrebbe essere mia figlia” si disse mentre un pensiero doloroso attraversava la mente di Laura. Guardò Silvia che le sorrideva con una grazia che non aveva mai avuto prima di allora, piena di luce, e si rincuorò, ricambiando il sorriso.

«Ora il costume della nutrice, il tuo. Mia saggia Nutrice» disse con voce leggera e sonora Laura per interrompere quel flusso di pensieri che aleggiavano minacciosi nella testa.

La scollatura arricciata dell’abito esaltava il piccolo seno di Silvia e la linea semplice seguiva i suoi fianchi. Si sentiva per la prima volta una giovane bellissima donna, sotto lo sguardo attento e dolce di Laura.

La proprietaria era soddisfatta perché aveva intuito cosa cercavano. Ripose con cura nelle confezioni i ricchi abiti di Giulietta e della Nutrice. Laura saldò il conto, mentre percepiva netto lo sguardo curioso della costumista su di loro. Però era una donna di teatro, dove la libertà e la capacità di non restare in un ruolo prestabilito erano valori condivisi. La proprietaria uscì dal bancone per salutarle e le baciò sulle guance, come si usa nell’ambiente, mentre Laura stringeva la mano di Silvia. E uscirono coi pacchi a dondolare sulle loro gambe.

La casa non era molto distante appena fuori dal paese e il lago splendeva davanti a loro illuminato da un luminoso sole di aprile.

Silvia lo vedeva attraverso il finestrino ed assaporava ogni sfumatura della luce che increspava la quiete dell’acqua. Le pareva che Laura fosse serena accanto a lei, mentre la vedeva sorridere con tenerezza.

Arrivarono davanti ad una casetta bianca, semplice e isolata, circondata su due lati da un fitto faggeto. Il prato prospiciente l’ingresso era ben curato con macchie di rose che stavano fiorendo.

Entrarono accolte da una vasta stanza con il camino in un angolo e la cucina a vista dalla parte opposta, mentre una scala in legno portava al soppalco, dove troneggiava un letto matrimoniale.

Laura aveva scelto mobili rustici di legno fulvo e tappeti etnici. Silvia si soffermò a lungo davanti ai calchi di maschere greche, alle maschere africane di legno, a quelle della commedia dell’arte.

«Chissà quanti pezzi hai…» iniziò Silvia stupita per la quantità e la varietà di maschere appese alle pareti ed in ogni dove.

«Non ne ho di maschere a casa» la interruppe subito Laura per troncare domande imbarazzanti «Qui c’è la collezione che avevo prima di sposarmi. Qualche pezzo è dono di mio marito, ma quando ho smesso di viaggiare non ho più aggiornato la mia raccolta».

«Cosa è successo?» chiese titubante, come se avesse il timore di aprire un cesto del quale ignorava il contenuto.

«Ho avuto un grave crollo nervoso durante la gravidanza e dopo la nascita di mia figlia. Michela è stata allevata dal padre, anche se io nominalmente sono la madre. Io non sono quella donna che ho voluto mostrare, per non mandare in pezzi la mia vita esteriore composta da marito e famiglia». Sottolineò queste parole con un sorriso pieno di dolore e proseguì che la maternità non voluta aveva trasformato l’amore per Mattia in rancore sordo mai dissimulato nonostante che lui la colmasse di attenzioni.

«Come ti ho detto, non è stato un desiderio improvviso quello che ho provato per te. È che mi hai permesso di far emergere la parte del mio essere nascosto e mai conosciuto». Le sorrise con dolcezza stringendole la mano, mentre Silvia spiegava come si fosse sentita attratta da lei.

Lei cercava aiuto e protezione, amore e desiderio. Aveva sentito a poco a poco che la loro vicinanza si stava trasformando in qualcosa di diverso, quando ebbe la certezza dei suoi sentimenti durante l’incontro di qualche giorno prima.

Erano al centro della stanza e si fissavano con intensità pronte ad esternare le loro sensazioni, ma Laura si sentiva in dovere di spiegare, di precisare, di rendere manifesto quello che in tutti questi anni aveva trattenuto dentro di sé.

«Sto maturando l’idea di andare via da casa, di separarmi da mio marito, di pensare a me stessa con una visione differente della mia vita».

Era consapevole che la casa in cui viveva le andava stretta, mortificava la sua creatività, si sentiva prigioniera di un cliché, che era estraneo alla sua personalità.

«Percepisco che ho delle colpe verso di lui, e soprattutto verso mia figlia, che ha più o meno la tua età. Entrambi mostrano affetto verso di me, che non riesco a ricambiare. Intuisco che devo stare da sola coi miei pensieri e le mie emozioni per ritrovare la calma che in questi anni ho smarrito. Non temere, perché un posto per te ci sarà sempre».

Silvia abbracciò Laura che cominciò a piangere.

2

Elisa e Silvia

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Elisa tornata nelle prime ore del pomeriggio si accorse che Silvia era rientrata ed era uscita di nuovo. Sospirò, perché sperava di vederla lì in attesa pronta a discutere con lei.

Peccato” si disse respirando rumorosamente “Ora tocca a me restare in attesa a tormentarmi con dubbi ed incertezze”.

Rimase seduta in silenzio mentre la penombra avanzava nella casa finché non senti un calpestio nell’ingresso.

Non diede il benvenuto a Silvia, mentre pensava a cosa dire. Tutti i pensieri erano svaniti persi nel buio della casa e ora non c’era tempo per raccoglierli e rimetterli in sesto.

Ne troverò degli altri”. Rifletté per trovare il coraggio di affrontare la figlia. “Ora non penso a niente, poi le parole fluiranno da sole e si comporranno come d’incanto”.

Silvia andò nella sua stanza, poi in cucina alla ricerca di qualcosa da mangiare, perché il pensiero di incontrare Elisa e discutere con lei l’aveva lasciato fuori dall’uscio di casa. Adesso pensava a placare la fame.

Quando vide la madre nella stanza buia seduta composta in silenzio, rimase un primo istante sorpresa e poi ricordò il motivo che l’aveva condotta a rientrare in città.

«Ciao» disse con tono neutro. «Cosa fai al buio? Perché non mi hai salutato quando sono entrata?» Dopo aver acceso le luci della sala aspettò le risposte in mezzo alla stanza.

«Ciao» fu la replica laconica di Elisa, che rimase seduta in silenzio.

Silvia spazientita dal suo tacere si fermò irritata e nervosa di fronte alla madre. «Hai detto che intendevi parlarmi. Non riesco immaginare l’argomento visto che sono anni che ti rifiuti di parlare con me e Sofia».

Ignorava i motivi che l’avevano indotta a richiederle di tornare a casa con urgenza.

Poi tacque aspettando che Elisa facesse uscire qualche suono dalla bocca, anche se aveva molti dubbi che avrebbe avuto il coraggio di farle una predica su come conduceva la sua esistenza.

Ricordava con quale asprezza stava a tavola con loro senza pronunciare una qualsiasi parola o dare segno di ascoltare le loro chiacchiere. Sembrava assente e in trance rapita, assorta in mille altri pensieri. Poi spariva come un fantasma fino alla prossima apparizione.

Elisa come se si fosse svegliata in quell’istante raccolse i pensieri che aveva preparato. Si concentrò sul tono di voce da usare.

«Silvia» e fece una piccola pausa.

«Silvia» riprese con la voce incrinata dal timore di non riuscire a esprimere i suoi pensieri. «Sei ormai una donna ed io non sono stata in questi anni quello che si dice una madre priva di pecche. Però non posso fare a meno di disapprovare il rapporto che hai con l’insegnante di recitazione, quella regista ormai matura con cui ti vedi e ti senti».

Si fermò osservando la figlia in piedi dinnanzi a lei senza distogliere lo sguardo.

Silvia diventò rossa per l’ira che stava montando e aprì la bocca per urlarle in faccia tutto il malumore che aveva covato in questi anni, ma non uscì alcun suono. Non ne fu capace. Sembrava che fosse stata colpita da un’improvvisa afasia.

«Siediti accanto a me e calmati» proseguì, facendole posto sul divano.

Elisa parlò con pacatezza a tono basso mentre Silvia calmava a poco a poco il tumulto interno che le aveva impedito di proferire parola.

Discussero sul rapporto con Laura, su i suoi errori, commessi con le figlie, dei rapporti tesi con Riccardo. Fu un confronto serrato e aspro allo stesso tempo.

Silvia difese con ostinazione la scelta di evitare gli uomini che identificava col padre, che per lei era un traditore. Non comprendeva perché Elisa non voleva accettare la sua volontà di escludere gli uomini dai suoi pensieri. Però espose tutto questo in modo confuso senza riuscire a esporre con una logica stringente le sue idee.

Elisa senza fretta e con pacatezza smontava le teorie, le argomentazioni, i pensieri, perché le affermazioni era prive di solidità, sconnesse. Avrebbe avuto vita facile a convincerla nel lungo termine, se Silvia avesse proseguito nella sua esposizione confusa.

Non aveva fatto però i conti con la testarda ostinazione della figlia, che riusciva a rendere razionali i propri pensieri tramite le risposte della madre.

«Mamma» disse ergendosi davanti a lei. Si era rinfrancata e aveva acquisito lucidità nell’esporre le sue opinioni. «Siamo qui da tempo e nessuna delle due è riuscita a persuadere l’altra. Non capisco perché dopo anni di silenzio e di disinteresse ora vuoi convincermi che il mio rapporto con Laura è sbagliato. Inoltre hai coinvolto anche Riccardo, che non vedo e non sento da oltre quattro anni e con il quale non intendo riallacciare nessun rapporto. Ormai sono una donna e la mia sessualità la decido io».

Senza salutare si rinchiuse nella sua stanza. Per sbollire le tossine della lunga discussione mise le cuffiette dell’IPOD per ascoltare i Coldplay. Mentre la musica invadeva col suono martellante la sua mente, lei si sentiva come un uccello in gabbia.

Elisa rimase per un po’ seduta percependo che era fallita prima come moglie poi come madre. Il suo rapportarsi con le altre persone era quello di porsi al centro dell’attenzione facendo affidamento su un potere che era solo nella sua immaginazione.

Pensava di diventare archeologa e girare il mondo, ma era diventata schedatrice di ruderi, reperti fatiscenti e qualche crosta sfuggita alle ruberie. Un momento di scoramento l’assalì, mentre stava pagando il prezzo della tensione accumulata in tutti questi anni. Era svuotata di tutto dai pensieri alle forze, mentre pensava al ruolo a cui era stata condannata senza che lei avesse opposto resistenza.

Si alzò con gli occhi pieni di tristezza per andare, ma non lo sapeva nemmeno lei.

Aprì la porta e sparì.

Silvia, che aspettava la madre nella stanza per chiudere il discorso, udì la porta chiudersi e poi il silenzio che calava nella casa.

Tolte le cuffiette andò nella sala, dove trovò appoggiato sul divano il telefono di Elisa che pulsava per una chiamata in arrivo e un paio di SMS in attesa di essere letti. Corse alla dependance nella speranza vana di trovarla immersa nei suoi pensieri, ma anche lì regnava buio e silenzio.

Si accasciò disperata mentre le lacrime bagnavano il suo viso. Ora sapeva che non l’avrebbe più rivista.

Altra variante della copertina del nuovo romanzo che andrà in prenotazione nei prossimi giorni per consegna 1 settembre.

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Filastrocca in erre.

Oggi Eletta Senso propone una filastrocca in erre.

Non sono sicurissimo di aver capito bene il senso ma ho scritto questo.

Terre tribolate

Tra tremende tragedie

Trafelate.

Le triste accidie

Rammendate

Attraggono

E trapelano

Trepidanti

In traccie terrificanti.

Traboccano

Nel tramonto rosseggiante.

Tranquilli ragazzi,

Il trambusto

S’acquieta

Nel notturno traballante.

copertina di Daniele

Il 1 settembre uscirà un nuovo romanzo Daniele e questa è la copertina, non so se definitiva oppure se sarà cambiata.

Sarà probabilmente in prenotazione a prezzo scontato. Devo ancora decidere.

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Gioco del lunedì

 

 

Oggi si gioca con Luglio sul blog di Eletta Senso.

Haiku e acrostico per tema Luglio

Ecco cosa ho pensato

Haiku

Limpidi Umidi

Guardi Lungimirante

Informi Occasi

Acrostico

Lenti

Uniformi

Girano

Lancette

Insieme

Orfani

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Elisa 2

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Lo potete leggere anche qui.

Elisa uscì, nel vapore del mattino d’aprile, già toccato dai primi raggi di sole. Si diresse in campagna. In poco più di trenta minuti di cammino raggiunse attraverso un sentiero una collina bassa circondata da vigne. A quell’ora la radura era silenziosa di voci umane. Spesso la tranquillità di quel luogo accoglieva i suoi passi in ogni stagione dell’anno.

Elisa osservava ogni dettaglio. Il fruscio di qualche piccolo animale nell’erba, gli uccelli che cominciavano i loro canti nascosti tra le fronde degli alberi. Godeva del respiro della collina sul viso, ancorché freddo quella mattina. L’inverno era finito ma i suoi occhi non erano ancora sazi di guardarlo.

Amava il freddo e le dispiaceva che il clima fosse divenuto più mite negli ultimi tempi, sottraendole in parte la possibilità di ammirare le opere d’arte che la natura scolpiva nel gelo.

Negli anni della maturità aveva riscoperto la sua passione più antica, messa da parte in quelli che lei chiamava gli anni dell’inganno.

Quella mattina voleva fotografare l’erba bagnata, la nebbia vinta dal sole. Lasciò che la bellezza di quel luogo le si dischiudesse in particolari che mai aveva notato.

La collina era ricoperta di vegetazione spontanea, e appena si scendeva un poco, si aprivano le vigne e semplici giardini. C’erano ancora dei ricci di castagno in terra, caduti nell’autunno passato, e le foglie nocciola li coprivano e li rivelavano, attraverso il suono che emettevano sotto i suoi passi delicati.

Era stata su quella radura in cima alla collina un giorno in cui aveva nevicato. Si sentiva quasi un lupo nella neve. La sua mente era silenziosa e piena di pace.

Quella mattina scattò duecento fotografie. Era stata ben contenta di passare alla fotografia digitale. Non era una purista, e seppure aveva iniziato con quelle tradizionali, non capiva per quale motivo non doveva accettare quell’innovazione tecnologica che consentiva di studiare più agevolmente le inquadrature in centinaia di scatti, per poter scavare in un soggetto fino ad avvicinarsi alla sua anima.

Silvia l’aveva vista uscire con un semplice cappello di feltro, guanti leggeri e stivali per non affondare nella neve e le augurò sorridendo «Divertiti, mamma».

Conosceva l’abitudine di sua madre una volta a casa: avrebbe scaricato le immagini sul computer dicendo, come sempre «Sono tutte brutte, solo qualcuna un po’ carina». Talvolta l’invitava a esaminare gli scatti con lei, ma succedeva di rado. Silvia non osava domandare alla madre di farla assistere alla “scoperta” delle foto, come era solito chiamare questo rito.

Elisa amava fotografare la campagna, ma soprattutto aveva la passione del disegno utilizzando le foto come rilievi al servizio di quello che aveva immaginato. Non aveva reale necessità di un supporto fotografico, la sua manualità e creatività erano eccellenti fin dai tempi della scuola, ma per lei si trattava di una specie di esercizio di precisione, che si basava sul riprodurre con esattezza l’immagine.

La sua passione per la fotografia era nata negli anni Ottanta, quando un amico di famiglia le aveva insegnato i rudimenti dell’arte, che in seguito aveva approfondito con corsi specifici durante gli anni di accademia.

In quel periodo la fotografia la aiutava a ritrovare serenità nei momenti in cui sembrava che nessuno, al di fuori della sua famiglia, la capisse o la tenesse in considerazione.

Oltre alla fotografia disegnava moltissimo. Se in gioventù amava molto il rosso pastoso e forte della sanguigna, negli anni della maturità aveva preferito i toni morbidi dell’acquerello e della tempera. Creava paesaggi con tinte soffuse e delicate ricavando l’ispirazione dalle sue fotografie.

A sua insaputa Silvia entrava nel laboratorio che Elisa aveva allestito in una piccola dependance accanto alla casa.

Prima di diventare la sua ‘officina’, l’area era stata utilizzata da Riccardo come locale di appoggio alla propria attività di vivaista.

Molti mesi dopo che l’ex marito se n’era andato, Elisa sentì che era giunto il tempo di ricostruirsi una vita propria. Nel silenzio aveva cominciato a lavorare alla dependance per renderla confortevole. Aveva imbiancato le pareti e ripulito il pavimento dai residui della vecchia attività. Aveva collocato un vecchio divano in pelle recuperato dalla casa dei genitori, sistemato un tavolo da lavoro su cui poneva i colori e quanto le serviva per dipingere. Talvolta si fermava lì a dormire.

Silvia sapeva dove trovare sua madre e immaginava che forse nella quiete della dependance sarebbe riuscita a trovare quella pace interiore perduta al tempo della rottura con Riccardo.

Dopo la separazione Elisa si era presa un breve periodo di aspettativa per assorbire tutte le amarezze subite, poi aveva ripreso il lavoro come schedatrice presso la Sovrintendenza ai Beni Artistici. Il fatto di spostarsi per raggiungere la località in cui erano conservate le opere e il trovarsi sovente a lavorare sola nelle antiche chiese favoriva la sua concentrazione. Amava quel lavoro, che non la occupava molte ore al giorno e la metteva a contatto con opere d’arte quasi sconosciute, che le sue analisi contribuivano a riportare alla luce.

Durante il ritorno dalla passeggiata mattutina rifletteva sulla sua situazione e sulle tante insoddisfazioni che aveva dovuto sopportare.

Sono stata troppi anni lontana da me. Presa dal piacere ad altri, che fossero quegli odiosi compagni di scuola, che fossero gli uomini più grandi ai quali mi sono concessa per sentire che potevo piacere, che fosse pure Riccardo, a cui non interessava nulla di me, di come stavo, di come vivevo la nostra relazione, la nostra vita insieme. Gli uomini credono che i problemi sessuali nascano in camera da letto. Chissà perché non riescono a vedere la sofferenza che ci fa ripiegare su noi stessi. All’inizio Riccardo sembrava interessato. Mi parlava con amore, mi ascoltava. Non potevo credere di aver conquistato un uomo così bello e affascinante. Invece non era vero nulla di tutto questo. Mi aveva presa per una lupa, come gli altri prima di lui. A me non interessava solo la sua carne, avevo bisogno di sentire l’importanza che avevo per lui. Ho compreso troppo tardi che non era disposto a nessun sacrificio per starmi vicino. È stato un buon padre, glielo devo riconoscere. Pieno di gioia con le bambine, un po’ troppo poco severo, forse. Silvia è come me, è introversa, non gli somiglia e non lo capisce. Sofia lo adora, e non farò mai nulla perché questo loro rapporto cambi. Sofia ha presa bene la nostra separazione. Almeno lei. Io non l’ho aiutata. Io non ho aiutato nessuno. Ne avevo appena per me. Non so se sono stata, e se sono una buona madre. Non credo. Specialmente per Silvia, che ha bisogno di qualcuno vicino, che le spieghi quello che vede succedere, anche adesso che è grande. Ma ancora non ho la forza per farlo”.

 

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