Un viaggio, un incubo – terza puntata

E così siamo a quota tre. Per chi avesse perso le altre due le trova qui.

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Si domanda perché si è infilata in questa avventura che assomiglia più a un maledetto incubo che a qualcosa di stimolante.

“Fare sesso era l’ultimo dei miei pensieri! Ne ho fatto tanto che un po’ di astinenza mi avrebbe consentito di riassaporarlo con maggiore gusto” si dice ridendo per i ricordi lontani nel tempo.

Durante le lunghe conversazioni Mark aveva dimostrato capacità di pensieri profondi e intuizioni strabilianti. Nessuno degli uomini che aveva conosciuto aveva palesato le medesime qualità. “Ho creduto di essere incappata nella persona giusta” riflette con un sorriso amaro. “Ma alla fine si è dimostrato uguale agli altri”.

Ha un déjà vu. Ripensa agli uomini della sua vita che tra meteore e stabili sono stati troppi. Adesso ha quarant’anni e alle spalle un’esistenza sentimentale fallimentare con zero prospettive di miglioramento per il futuro.

Roberto, con il quale ha avuto la relazione più lunga, è stato la persona più importante tra tutti questi. Conosciuto negli ultimi anni del liceo ha avuto con lui una relazione durata tutta l’università per proseguire dopo tra passioni travolgenti e litigate altrettanto furiose. Più per inerzia che altro. Col senno del poi riconosce che non erano adatti: troppo diversi per carattere e aspirazioni. Lei aspirava a una esistenza a due tranquilla ma stimolante. Lui aveva in testa solo un mondo costituito dal sesso, dalla ricerca di stimoli artificiali e nessuna propensione alla vita di coppia. Ha tentato di coinvolgerla in giochi erotici di gruppo, ma le è stata sufficiente una volta sola. L’ha amato con molta passione, sperando di modificarlo ma senza risultati apprezzabili.

“Forse ho sperato di trovare in Mark quello che non c’era in Roberto” pensa con amarezza stringendo le labbra. “Ogni azione ha la sua reazione. Con Mark si è basata sul confronto, nella ricerca di quello che Roberto non è mai riuscito a donarmi. E questo mi ha condizionata”.

Mark si è presentato come una persona gentile ed educata. Le ha dato l’impressione di essere diverso dagli altri uomini conosciuti e frequentati. “Però devo confessare che ho preso una solenne cantonata! Esattamente come tutte quelle che lo hanno preceduto” rimugina tra sé al pensiero del pomeriggio.

Dopo Roberto il diluvio dei sentimenti l’ha travolta vedendo passare nel suo letto troppi uomini, senza che nessuno di questi le abbia saputo donare un briciolo di amore. Ricorda Enrico, con cui ha tentato di convivere con esiti a dir poco disastrosi.

“Con Enrico non riesco a capacitarmi come abbia potuto commettere un errore così grossolano, forse anche peggiore della sopravvalutazione di Mark!” si dice con un sorriso storto. “Mi aveva preso per la badante della madre, quasi ottantenne e con evidenti deficit cognitivi. Dovevo lavare e stirare tutta la sua roba, quella della madre e ci mancava poco anche della sorella! Tempo quindici giorni e sono schizzata via tornando a casa mia. È stato comico, per non dire patetico, quando ha tentato di convincermi che stavo commettendo un errore! Si, l’errore lo stavo commettendo, ma non come diceva lui. Tra tutti quelli dopo Roberto, questo è stato il flop più clamoroso. E non so ancora cosa mi aveva attratto”.

In questa carrellata di ricordi di amori sfortunati e improbabili non poteva mancare la parentesi con Anna, la collega di lavoro lesbica. Per mesi Anna ha tentato di avere una relazione con lei, finché dopo la delusione con Enrico ha deciso di accettarne il corteggiamento. È stata un’altra esperienza infelice sotto tutti i punti di vista, mentre conviene che tra l’amore saffico e quello etero la bilancia pende con decisione verso il secondo. Forse Anna non ha saputo toccare le giuste corde delle sensazioni ma è più probabile che lei non provasse nulla in quella relazione.

«Per fortuna» esclama ridendo a quel ricordo. «Siamo rimaste tutte e due senza lavoro, perché la società ha chiuso i battenti. Così senza traumi si è concluso quel legame che stava diventando ingombrante».

Si aggira inquieta nella stanza sotto il diluvio dei ricordi e si chiede cosa non funzioni dentro di lei. “Attiro uomini a profusione, ma il loro unico obiettivo è fare sesso, a parte Enrico, che voleva una colf”. Scoppia in una sonora risata ripensando a Enrico, visto che l’ha scopata tre volte per sbaglio, perché glielo ha chiesto lei.

Questi pensieri le fanno capire che l’avventura con Mark è stata dettata dal desiderio di uscire dal grigiore della sua esistenza e sentirsi viva a quarant’anni.

Mentre si stava avviando a superare la soglia dell’età, che per molte donne rappresenta l’apice della loro vita, ha scoperto blog, chat e tanti amici virtuali con cui scambiare opinioni e commenti. La scrittura tra il personale e l’attualità riesce a fornirle un momento di serena tranquillità, facendole dimenticare le delusioni amorose.

Un anno e mezzo fa c’è stato l’incontro fortuito su Twitter con Mark, poi l’uso di Messenger per parlare on line. All’inizio era contenta perché poteva perfezionare il suo inglese, poi è diventata una droga, perché aspettava con ansia la sera per aprire il dialogo con lui. “Le telefonate su Skype, che mi hanno permesso di sentire la sua voce calda e sensuale” ricorda con un pizzico di nostalgia perché fino all’altro ieri hanno affollato la sua mente.

Il loro rapporto virtuale è diventato saldo e vincolante, trasformandosi un po’ per volta nel confidenziale che le ha permesso di raccontare i suoi problemi, desideri, ansie e gioie. E lui suadente come una sirena le ha offerto su un piatto d’argento le soluzioni, come districarsi tra i meandri oscuri del lavoro, delle relazioni interpersonali, dei problemi irrisolti del cuore. Come un ragno tesse con pazienza la tela per catturare la preda, così Mark malizioso ha posto domande sempre più intime e imbarazzanti per chiunque ma non per lei, che ha risposto senza problemi nei minimi dettagli.

«Sono diventata un libro aperto, mentre ho messo a nudo la mia personalità complicata e talvolta immatura» afferma con un pizzico di rammarico. «Lui ha capito tutto benissimo, sapendo con precisione cronometrica ogni mia mossa e pensiero, trovando l’argomento giusto per convincermi. Come stamattina, quando non ho reagito alle sue avance lasciandomi soggiogare dal suo fascino perverso, come capitava con Roberto! Due persone tanto diverse, quanto uguali per il potere che hanno esercitato su di me».

Ricorda con esattezza come Mark ha preparato la trappola per attirarla a New York. Prima ha detto che sarebbe venuto a Roma per conoscere me e la mia famiglia, ma poi con varie scuse e impedimenti ha rimandato il viaggio di settimana in settimana, finché non lo ha annullato. A quel punto le ha chiesto di raggiungerlo nella Grande Mela.

“Ho trovato l’idea seducente” ricorda senza imbarazzo. “Un viaggio nella grande America da sola, contando sull’appoggio di uno che la conosce. Il dollaro debole che rende la vacanza a low-cost come propulsore economico. La possibilità d’incontrare questo grande amico e confidente, che ho apprezzato per i consigli disinteressati ma vincenti. Così ho deciso di partire nonostante l’opposizione di mia madre che non ha visto di buon occhio la mia vacanza americana. Devo dire che ha avuto un fiuto e un intuito eccezionale, ma io ho voluto fare di testa mia, sbagliando clamorosamente”.

Ricorda ancora le sue parole per convincermi: «Se vieni a fine giugno, troverai il clima ideale. Io avrò molto tempo da dedicarti».

Così organizzato il viaggio in tutti i dettagli, è partita fiduciosa verso la grande America.

Il resto è storia recente.

Un viaggio, un incubo – seconda puntata

Eccoci con la seconda puntata di questo racconto lungo.

Foto di Wellington Cunha da Pexels

Finita la doccia, controlla i danni fisici subiti, che ripuliti non sono così preoccupanti come le è sembrato a prima vista, e tira un sospiro di sollievo.

In un paio di giorni non si sarebbe notato più nulla: qualche livido fra le cosce, diversi graffi superficiali alle spalle e sulle mani, un taglietto sotto il seno sinistro e basta. Però non li avrebbe notati nessuno, perché sono parti normalmente coperte.

Si rilassa sul letto nuda coi capelli ancora umidi. “Li asciugherò più tardi, se ne ho voglia. Ora desidero stemperare la tensione della lunga corsa”.

Non ha fornito a Mark l’indirizzo di New York e sorride a questo pensiero, perché sarebbe in preda al timore di vederselo sbucare dalla porta d’ingresso.

Dopo l’arrivo ha trascorso i primi due giorni a sistemarsi per riprendersi dalle differenze di fuso orario, il cosiddetto jet lag. Le sei ore di differenza dall’Italia si sono fatte sentire nel sonno come nei pasti. Per ventiquattro ore ha avvertito uno scompenso nell’orologio circadiano. Sonno e veglia sono stati sfasati come la voglia di cibo.

“Una sensazione strana” si è detta all’arrivo al JFK di New York. “Percepisco sonno e fame, ma sono appena le quattro del pomeriggio e ho davanti molte ore prima di mangiare e dormire”.

Alla fine del secondo giorno ha contattato telefonicamente Mark, che con insistenza voleva conoscere dov’era alloggiata, ma ha finto di non capire la domanda. Si sono dati appuntamento al Central Park per la mattina seguente per fare la prima conoscenza visiva dopo tanto chiacchierare in inglese via chat.

L’incontro non è stato dei migliori, anzi piuttosto deludente. Simona ha immaginato Mark più alto e giovane. Le è sembrato un uomo non più nel fiore degli anni con la tendenza alla pinguedine. Si è domandata il motivo per cui lo vedeva alto, snello, vigoroso e gentile, mentre adesso era tutt’altro. Basso di statura con pochi capelli che mostrano molte ciocche grigie ribelli e dalla pelle avvizzita.

La conversazione ha languito, perché lui ha mostrato più interesse alle sue forme che a parlare.

Sdraiata sul letto si alza per vedersi riflessa sullo specchio di fronte. Il suo aspetto non risente dell’età. Ha forme desiderabili nonostante i quarant’anni e le tante battaglie con gli uomini. Poco grasso, solo un leggero accenno sui fianchi, zero cellulite, il seno sodo e ben sostenuto, la pelle vellutata senza grinze. Il ventre invece non è mai stato piatto, ma piuttosto rotondo. Però questo ha smesso di essere un cruccio da molti anni e lo ha accettato come è. Le zampe di gallina ci sono, pensa osservandosi allo specchio, ma non si notano più di tanto, È sufficiente un po’ di cosmesi per renderle invisibili.

È soddisfatta del proprio corpo e avverte di essere in armonia con lui, mentre con le mani lo ripercorre dal seno al pube e lo paragona con quello di Irene, che ha visto tante volte nudo. Questo mostra i primi attacchi del tempo con le forme che si sono arrotondate e appesantite. Quando erano all’università, Simona faticava ad attirare gli sguardi dei ragazzi, mentre l’amica non aveva altro che l’imbarazzo della scelta. Però adesso, con un sorriso di soddisfazione sul viso, le parti sono invertite. Lei non fatica a trovarsi un uomo, per contro Irene suscita tiepidi entusiasmi. Solo offrendo sesso riesce a racimolare un accompagnatore.

Appagata ripiomba sul letto, mentre riaffiorano le sensazioni sgradevoli della mattinata con Mark.

«Non ha fatto altro che toccarmi un po’ ovunque con mio grande imbarazzo» esclama schifata. «Non mi sarei aspettata questa aggressività sessuale che non ho gradito».

Non era la prima volta che un uomo la palpeggiava, ricorda storcendo la bocca.

«In quarant’anni sono passata nel letto di molti, ma lui mi ha procurato fastidio. Non mi ha stimolata, anzi tutt’altro» afferma corrugando la fronte.

Da più di un anno si frequentano via chat. Nutriva una grande curiosità per questo incontro ma l’impatto è stato deludente. Quello che la impensierisce è stato la mancata attivazione del campanello d’allarme per il suo comportamento.

«Mi sono lasciata convincere di andare fiduciosa all’appuntamento pomeridiano» borbotta osservandosi allo specchio. «Sono stata un’ingenua accettare la sua proposta. C’erano tutti gli ingredienti per valutare la situazione e rispondere con un secco ‘No, thank you’. Eppure non l’ho pensato e mi sono cacciata in un ginepraio che avrebbe potuto finire molto male».

Nelle sue intenzioni il viaggio non doveva essere un tour sessuale, ma desiderava incontrare una persona, conosciuta virtualmente, per stringere un’amicizia reale. In questo momento comprende che questo aspetto rimarrà inevaso, dopo l’esperienza del pomeriggio.

Un viaggio, un incubo – prima puntata

Comincia con questa puntata un nuovo viaggio. Buona lettura

Foto di Juliana Stein da Pexels

Ha cominciato camminando con cautela, poi ha accelerato, passi sempre più lunghi, rapidi e contratti. Uno di seguito all’altro.

Una maratona e poi di colpo, lo scatto: i fianchi che spingono verso l’alto, i muscoli delle gambe che si rattrappiscono e si slanciano in avanti. Le suole delle scarpe di tela battono l’asfalto rugoso. I gomiti sollevati oscillano avanti e indietro.

Non ha mai corso così. Non ricorda di averlo mai fatto. Non ricorda niente.

Ogni tanto, l’ululato di un clacson da un’automobile in corsa la sferza e la fa barcollare. Un urlo prolungato che si smorza e muore in avanti, in quel punto imprecisato dell’orizzonte verso il quale Simona corre.

Non solleva mai lo sguardo da terra. Vede la punta delle scarpe di tela bianca apparire e scomparire davanti a sé.

Simona continua a correre finché il fiato la sorregge, perché sa che deve allontanarsi il più possibile da quel luogo, dove è rimasta paralizzata dalla paura.

Cosa c’era in quel posto da incutere angoscia? Non lo sa nemmeno lei, è consapevole che là sta il male o meglio un uomo che lo personifica.

Perché si è recata da sola e a piedi nel deposito di uno sfasciacarrozze, avendo ben chiaro che quell’uomo avrebbe tentato di aggredirla e stuprarla?

«Sei stata una sciocca ragazza, mia cara Simona» farfuglia col fiatone per la lunga corsa disperata. «Lo sapevi che Mark voleva una cosa sola: il tuo sesso. E lo voleva con le buone o le cattive, lo voleva e basta! Cosa ti è venuta in mente di andare in quel deposito? Non avevi capito che il luogo era solitario e disabitato? Pensa alle indicazioni che ti ha dato questa mattina a Central Park? Ti ha detto: ‘Vai alla stazione delle corriere Amtrack e prendi l’autobus per New Haven. Quando sei a New Rochelle scendi alla terza fermata dopo il paese. Fai cento passi oltre la fermata, sulla tua sinistra c’è un piccolo viottolo che porta a un fabbricato. Io sarò lì ad aspettarti. Ricordi bene le istruzioni?’ Cosa pensavi che ci fosse lì? Il paradiso terrestre? O l’inferno? Ricorda che ti aveva detto come vestirti: una camicetta bianca leggera, una gonna corta e sotto solo un perizoma in miniatura. Con un abbigliamento del genere dove credevi di andare? A una festa danzante per debuttanti? Sei stata una grossa ingenua non pensare che lui ti voleva fottere! E poi pensavi di cavartela con una scopata? Magari fosse stata solo quella! No, non ci siamo per nulla! Chissà quali altri progetti aveva in mente! Eppure non sei una bambina, ma sei una donna matura.»

Simona ricorda con terrore la faccia contratta di Mark che l’afferra per le spalle per sbatterla sull’erba sudicia di olio e benzina pronto a sollevare la gonna e strappare il perizoma di dimensioni ridottissime. L’aveva comprato, dopo essersi lasciati a Central Park, nella 3th Avenue da Bloomingdale’s nel reparto di lingerie per indossarlo nel pomeriggio, proprio per lui.

C’era quasi riuscito, ma ha perso tempo con la cerniera dei jeans inceppata e lei si era rialzata di scatto ed era corsa via dietro una pila di carcasse di gomme.

Questa è stata la sua salvezza. Mark ha imprecato nello slang del Bronx mentre la cercava dove si era nascosta. Lo ho sentito vicino, mentre si spostava, cercando l’uscita in quel labirinto di carcasse arrugginite e corrose dalla pioggia, di portiere e gomme accatastate in pile instabili pronte a crollare a ogni refolo di vento. Il cuore batteva impazzito per il terrore di finire nelle mani dell’uomo, deciso a farla sua a tutti costi.

Quando è stata in prossimità dell’uscita, che vedeva come il miraggio della fata Morgana, aveva capito che Mark era lontano. Si è corsa sulla strada, dove non è al sicuro, ma forse può contare sugli automobilisti di passaggio.

Dopo la lunga corsa col cuore in gola e con la paura unita come ombra dietro di lei, è alla fine arrivata alla fermata dell’autobus, dove è discesa allegra e fiduciosa un’ora prima.

Scruta sotto il sole cocente di luglio la strada, pregando che la corriera gialla si stagli all’orizzonte e si materializzi presto.

Sente la camicetta aderire al seno, zuppa di sudore, che scivola lento verso la gonna e ancora più giù lungo le cosce, mentre i capezzoli scuri e duri si stagliano netti sulla stoffa bianca. Il sudore lascia una scia di odore animalesco, quasi mascolino per la paura e la lunga corsa. Però non gliene importa nulla, prega che l’autobus arrivi in fretta. Si sente sporca dopo essere stata sbattuta sul lurido prato dello sfasciacarrozze, anche se non riesce a vedere la schiena e i capelli. Viste le condizioni della gonna, anche la camicia non sarà messa meglio: imbrattata di grasso nero e strappata in più punti.

Si torce le mani in preda all’ansia perché la corriera tarda a venire, mentre le macchine sfrecciano davanti a lei. Finalmente la sagoma amica del bus si profila in lontananza sul lungo rettifilo nero che solleva ondate di vapore.

«Avanti!» sussurra ansiosa Simona. «Muoviti! Sei la mia salvezza! Dio, ti prego, fa correre quella lumaca!».

Vede il grosso lampeggiante giallo in azione, perché l’ha vista e si appresta ad accostare.

La porta anteriore si spalanca, come la grande bocca di una balena per accoglierla al sicuro dentro il grande ventre. Scorge in lontananza la macchina di Mark, che con lentezza sta scrutando i bordi della strada alla ricerca della preda sfuggita.

Infilata la moneta nella feritoia, si rannicchia sul sedile centrale per nascondersi alla vista del cacciatore, perché non è ancora in salvo. Spera che a Mark non venga in mente di salire sull’autobus a una delle prossime fermate. Deve trovare un sistema per mettere più strada possibile tra loro. Gli occhi cadono sulla mappa dei trasporti urbani, che evidenziano che alla prossima fermata potrebbe scendere per prendere la metropolitana fino all’appartamento nelle vicinanze di Times Square a Manhattan.

I pochi passeggeri non sembrano curarsi di lei, ma cercano refrigerio dai finestrini aperti.

“Meglio così” pensa Simona. “Un problema in meno”.

Sbircia dietro e davanti sperando di non scorgere la Buick nera di Mark, prima di allungare lo sguardo alla fermata che si avvicina. Tira un respiro di sollievo, forse riesce a farcela a tornare nel Residence Inn Patriot, dove alloggia da quando è arrivata a New York, senza essere intercettata da Mark.

Quaranta minuti dopo è al sicuro nella sua stanza al quinto piano, che guarda il Bryant Park. Si guarda allo specchio: è in condizioni terribili. Toglie la camicetta, strappata in alcuni punti e nera di grasso, di fango e di altri sudiciumi, e la getta nel cestino, insieme alla gonna inservibile.

Rimane nuda, perché il minuscolo perizoma è rimasto sul prato dello sfasciacarrozze come un trofeo perduto. Controlla tutte le abrasioni del corpo prima di mettersi sotto la doccia bollente a togliersi odori e sozzure raccattati durante il tentativo di Mark di violentarla.

Era il 30 giugno 2009, quando Simona è giunta a New York con un volo Air France via Parigi tre sere prima per incontrare Mark, con cui aveva chattato per oltre un anno. I genitori non volevano che volasse in America a fare conoscenza con uno sconosciuto incontrato sul web. Lei ha quarant’anni e vive da single da una vita e non ha voluto ascoltare i loro consigli.

Si è presa due settimane di ferie per andare nella Grande Mela. Il viaggio e il soggiorno sono costati relativamente poco a causa del cambio favorevole e per di più si faceva una bella vacanza in una città per lei mitica che le è sempre sembrata irraggiungibile.

Adesso le pare di essere piombata in un incubo.

Anno nuovo, propositi vecchi

credits by https://www.ecologiae.com/bike-sharing-new-york-biciclette/20855/

Tempo fa qualcuno mi ha chiesto perché non pubblicavo racconti a puntate. In effetti avevo deciso di non pubblicare a puntate più nulla. Questo non implicava che avevo smesso di scrivere testi più lunghi di qualche pagina. Infatti ne ho quattro già pronti.

Mi è capitato tra le mani il secondo o il terzo racconto lungo che avevo scritto e sono ritornato sulla mia decisione di non postare più a puntate. È novella lunga, poco meno di venti capitoli per meno di cento pagine.

La sto rivedendo e rinfrescando per pubblicarla di nuovo. Partirò la prossima settimana, martedì per la precisione, e sarà sul blog due volte alla settimana. Sfidando chi dice che il venerdì porta sfortuna sarà il secondo giorno di pubblicazione. Quindi due appuntamenti fissi. Segnateli: martedì e venerdì.

A martedì per la prima puntata.

È tempo di bilanci

credits by Dmitriy Melnikov – www.dreamstime.com

Di solito non faccio bilanci sul blog ma l’eccezione conferma la regola.

Quindi vi delizio con qualche numero.

Bilancio del blog 2019

Anno articoli totali Commenti totali Media commenti per articolo “Mi piace” totali Media “Mi piace” per articolo Parole totali Media parole per articolo
2007 105 540 5.1 23 0.2 29.088 277
2008 75 602 8.0 4 0.1 34.957 466
2009 104 615 5.9 5 0.0 31.445 302
2010 116 1.070 9.2 0 0.0 29.133 251
2011 76 831 10.9 15 0.2 81.645 1.074
2012 137 2.499 18.2 1.069 7.8 102.837 751
2013 135 2.331 17.3 883 6.5 101.229 750
2014 124 3.422 27.6 2.126 17.1 110.730 893
2015 114 3.306 29.0 2.011 17.6 88.312 775
2016 99 2.950 29.8 2.627 26.5 82.126 830
2017 190 3.459 18.2 4.948 26.0 108.300 570
2018 170 3.787 22.3 5.162 30.4 111.637 657
2019 109 3.234 29.7 3.275 30.0 50.408 463
2020 1 14 14.0 13 13.0 421 421

Qui le visualizzazioni per anno in totale

Visualizzazioni
Anno totale Var. %
2012 9167 0,00%
2013 7667 -16,36%
2014 11113 44,95%
2015 10099 -9,12%
2016 10162 0,62%
2017 14940 47,02%
2018 22984 53,84%
2019 17330 -24,60%

 

Infine il resoconto totale del blog dal 2012 – Il  2011 era presente solo il mese di dicembre in modo parziale dopo la migrazione dei dati dalla piattaforma Splinder

Resoconto generale
articoli 1572
Visualizzazioni 104043
Visitatori 38122
Follower 1199
Follower mail 10

Infine i dati statistici degli ultimi tre anni

anno Var % anno Var % anno Var %
2017 2018 2019
Visualizzazioni 14940 0,00% 22984 53,84% 17330 -24,60%
Visitatori 7073 0,00% 12244 73,11% 7073 -42,23%
Like 5150 0,00% 5361 4,10% 5150 -3,94%
Commenti 3520 0,00% 3258 -7,44% 3520 8,04%
articoli 195 0,00% 180 -7,69% 193 7,22%
Media pag. 2,11 0,00% 1,88 -10,90% 2,11 4,98%

Commento finale: sono soddisfatto dei risultati. Sono cresciuti i commenti e la media di visualizzazione per pagine pur con un calo vistoso di visualizzazioni e visitatori. Il che vuol dire che i visitatori sono più mirati rispetto a prima.

In un altro post, per non rovinarvi l’appetito, riporterò i dati statistici per nazionalità di visitatori

 

Aspettando il 2020

Vi ripropongo un post di due anni fa da leggere in attesa del botto di mezzanotte che segna l’arrivo dell’anno nuovo.

Con questo pezzo di Giacomo Leopardi tratto dalle Operette morali voglio auguravi un sereno 2020, sperando che sia migliore del 2019 che ci sta per lasciare.

https://img2.libreriauniversitaria.it/BIT/300/819/9788877418197.jpg

Da libreriauniversitaria.it

La lettura è sempre amena e non manco di leggerlo ogni anno. Come il venditore di almanacchi vendiamo la speranza che l’anno nuovo sia un pelo migliore dell’anno precedente.

BUONA LETTURA

Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?

Passegere. Almanacchi per l’anno nuovo?

Venditore. Sì signore.

Passegere. Credete che sarà felice quest’anno nuovo?

Venditore. Oh illustrissimo sì, certo.

Passegere. Come quest’anno passato?

Venditore. Più più assai.

Passegere. Come quello di là?

Venditore. Più più, illustrissimo.

Passegere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?

Venditore. Signor no, non mi piacerebbe.

Passegere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?

Venditore. Saranno vent’anni, illustrissimo.

Passegere. A quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?

Venditore. Io? non saprei.

Passegere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?

Venditore. No in verità, illustrissimo.

Passegere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?

Venditore. Cotesto si sa.

Passegere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent’anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?

Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.

Passegere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?

Venditore. Cotesto non vorrei.

Passegere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch’ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?

Venditore. Lo credo cotesto.

Passegere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?

Venditore. Signor no davvero, non tornerei.

Passegere. Oh che vita vorreste voi dunque?

Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.

Passegere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?

Venditore. Appunto.

Passegere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?

Venditore. Speriamo.

Passegere. Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete.

Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.

Passegere. Ecco trenta soldi.

Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.

Disegna la tua storia con un’immagine di Marzia – Il violoncello

Marzia di Alchimie mi ha inviato questa immagine sfidandomi a duello. Cosa produrrò con questa?

Immagine inviata da Marzia

Ecco cosa ho prodotto.

Buona lettura

Nicola voleva vincere la sfida: suonare il violoncello davanti all’intera Venusia.

Aveva studiato al conservatorio di Ludi ma all’esame finale era stato bocciato.

Lui non ha potuto, né voluto accettare la sconfitta. Così si è messo d’impegno a suonare il violoncello per raggiungere le vette di Mstislav Leopol’dovič Rostropovič e fare ancora meglio di questo grande interprete.

Si è esercitato per dodici ore al giorno, sabato e domenica compresi. Solfeggi, passaggi musicali dove il La, il Do, il Re e il Sol vengono ripetuti con monotona precisione più volte per ore intere. Per fare questo e non essere disturbato si reca nella stanza della musica della Fortezza. Chi passa sotto le finestre sbuffa e afferma, non proprio a torto: «Che lagna».

Ascoltare una sola nota ripetuta con maniacale insistenza è un supplizio per l’udito di qualsiasi persona. Per i venusiani ancora di più, perché solo ad ascoltare un concerto di campane per loro è insopportabile.

Nicola fa questi esercizi tutti i giorni in perfetta solitudine alternandoli col solfeggio. Sembra un matto che parla da solo ma in realtà sta praticando il solfeggio. Legge le note ad alta voce accompagnandole col movimento delle mani. Un esercizio noioso ma gli serve per imparare i tempi e le battute. Quando era al conservatorio, ci ha provato ma dopo cinque minuti smetteva, sbuffando. «Che noia» sbottava chiudendo lo spartito. Questo mancato esercizio gli è costato l’esame finale. Eppure ha talento innato, perché riesce a suonare il violoncello con bravura e non solo quello. Anche la viola e il pianoforte sono tra gli strumenti che gradisce.

Però è scivolato sul solfeggio, scatenando la sua ira. Il maestro gli ha detto che sembra superfluo il solfeggio ma senza quello non sarebbe mai diventato un bravo violoncellista.

Memore di questa osservazione si è imposto di dedicare due ore tutti i giorni al solfeggio. All’inizio è stato un supplizio. Avrebbe voluto smettere dopo cinque minuti ma con caparbietà si è imposto di proseguire finché non sono passati tutti i centoventi minuti. Giorno dopo giorno ha faticato meno nell’eseguire il solfeggio e alla fine non gli è apparso che fosse quel supplizio che ricordava durante l’anno al conservatorio.

«Sono stato uno sciocco» si rimprovera in uno stacco per bere e mangiare qualcosa. «Se avessi avuto costanza, adesso sarei diplomato in violoncello.

Dopo mesi di duro lavoro si sente padrone dello strumento e le sonate di Bach e Beethoven le esegue a occhi chiusi. Non ha necessità di leggere lo spartito.

Il 21 luglio è il giorno del grande evento. Invita tutti i concittadini al suo concerto che terrà nella piazza della fontana senza acqua. L’unico posto che può ospitare tutti i venusiani. Fa venire da Ludi catering e sedie, per il palco ci penserà lui. Senza cibo e bevande offerte gratis nessun venusiano sarebbe venuto. Lui li conosce bene quando prenderli per la gola.

In un angolo della piazza Cipriani, il master chef di Ludi, offre stuzzichini e calici di vino rosso. Nicola ha spiegato a Cipriani che se avesse offerto vino bianco o spumante i venusiani l’avrebbero rifiutato sdegnosi. Lo chef ha storto il naso ma lui ha insistito convincendolo. Poi al termine dell’esibizione ci sarebbe stato il buffet di gala.

Clematis

La pedana su cui Nicola si sarebbe esibito è un gradone ai piedi della fontana senz’acqua. Un arco di clematis viola forma il sipario. La vasca di marmo della fontana è il fondale del palcoscenico. Tutto intorno disposte a semicerchio stanno le poltroncine di velluto scarlatto. Un drappo rosso nasconde Nicola e il suo strumento.

Il colpo d’occhio è veramente magnifico. Nessuna poltroncina è vuota, il sole sta calando sulla sinistra della piazza illuminando di rosso il cielo. Un brusio diffuso sale dalla piazza.

Un accordo in la maggiore preannuncia inizio del concerto. Il drappo rosso cade mostrando la schiena di Carola che sembra un violoncello con le quattro corde disposte a regola d’arte. Nicola con l’archetto inizia a suonare e nell’aria si spande la sonata per violoncello in la maggiore di Carl Phillip Emanuel Bach.

Disegna la tua storia con un’immagine di Etiliyle – Sghego e il suo esercizio

Questa splendida immagine di Etiliyle mi ha dato lo spunto di creare un nuovo racconto ambientato a Venusia.

Buona lettura.

Venusia è un minuscolo puntino nella pianura di Ludilandia. Non c’è nulla a parte Sghego e poco altro.

Sghego fa da bar, trattoria e ritrovo per i venusiani. Insomma se si vuole incontrare qualcuno, quello è l’unico posto. Non c’è altro: o prendere o lasciare.

Quattro tavoli sotto il pergolato e altrettanti al suo interno. Un tavolo è sempre occupato da quattro venusiani che passano mattina, pomeriggio e sera a giocare a carte. Sono ospiti fissi e non fanno nient’altro che partite interminabili. Insieme alle napoletane non manca mai il calice di vino rosso, che viene centellinato come una reliquia.

Il gioco preferito è la scopa. Più di rado si gioca allo scopone scientifico, più complesso e impegnativo. Le coppie sono fisse e le partite accanite. Non di rado finisce a spintoni e urla con invettive che le sentono tutti i venusiani. In questi casi Sghego interviene a riportare la calma. Due pacche sulle spalle dei contendenti e la minaccia di tenerli lontani dai suoi locali per molto tempo. Uno spauracchio per Mario, Martino, Alberto e Marino, i quattro dell’Ave Maria del gioco. Un DASPO in piena regola che agisce da deterrente. Si mettono calmi in un amen. Il solo pensiero di essere banditi per mesi o per sempre fa sparire tutti i propositi bellicosi. In realtà è più scena che arrosto.

D’estate sotto il pergolato, d’inverno all’interno. Pioggia o neve non li scoraggia a venire puntuali come orologi svizzeri alle nove del mattino. Si siedono nel tavolo in angolo, tolgono le carte dal suo contenitore e Alberto estrae il quaderno dalla copertina nera e dai fogli a quadretti. Qui sono appuntati date e ore d’inizio partita dove segnano i punti delle coppie.

«Dovevi calare il sei e non il cinque» redarguisce Mario prendendo un ori dal tavolo.

Il suo compagno, Martino, scuote il capo e disquisisce sulla sua giocata. «Non conosco le tue carte ma quel cinque ha un senso» e cala un altro cinque di denari per recuperare la carta precedente.

Il mucchietto di prese sale davanti a Mario ma Alberto fa scopa con un Re e sogghigna felice. «Così si gioca, pantofoloni» ride felice.

Alberto richiama l’attenzione di Sghego per ordinare un altro giro di vino e qualche tartina. «Mettila sul conto di Mario e Martino» sghignazza irriverente. «Tanto questa partita l’hanno già persa».

«Non dire gatto, se non l’hai nel sacco» rimbecca acido Martino, che con un asso prende tutto e chiude la partita.

Quello che rende unico Sghego, oltre ai quattro giocatori, è il posto. Incassato tra due case con davanti il viale alberato, coi muri ricoperti dall’edera dona un senso di tranquillità. Il pergolato è ricoperto dalla vite americana, che in autunno si colora di rosso. L’edificio è un vecchio stabile di pietra ingrigita dal tempo. La pavimentazione è un acciottolato leggermente sconnesso formato da sampietrini di porfido scuro. L’interno è spartano. Un bancone non più lucido, che mostra tutte le sue smagliature legate alle diverse generazioni che si sono alternate dietro di esso, ha alle spalle uno specchio che occupa tutta la parete. Quattro tavoli di ferro smaltato occupano la sala interna e stanno tra il bancone e la porta d’ingresso. Una porta girevole consente l’accesso alla cucina e alla dispensa. Le pareti avrebbero necessità di una bella rinfrescata ma Sghego afferma che così hanno un’aria vissuta.