Un pallido sole s’affaccia al nostro sguardo
e illumina debolmente la terra addormentata.
Il sole si rinfranca nella nebbia mattutina.
Il sole ci riscalda con tenui raggi.
Il sole disperde la tristezza.
Caro sole,
giungi da noi
col caldo dei tuoi raggi.
Riscaldaci, finché rimaniamo
su questa terra
e anche dopo,
quando non ci saremo più.
O.T. Buon compleanno! – Avviso – advisemente
Ricevo e pubblico volentieri
Che non è una formula matematica come magari potrebbe sembrare a prima vista, bensì un anniversario: abbiamo compiuto 10 anni tondi tondi.
Dieci anni di attività mica da ridere: quasi 1.800 manoscritti ricevuti, decine di amici arrivati e magari passati (ma sempre nei nostri cuori!), molti autori scoperti e di questi diversi pubblicati con alterne fortune.
Una biblioteca online comprendente romanzi – pubblicati anche su carta alcuni, altri no, ma tutti meravigliosi: non per nulla li abbiamo scelti noi! – racconti, ascolti, numeri di Inciquid (che non pubblichiamo ormai da un po’: faticosissimo!).
Certo meno attenzione da parte degli editori da qualche anno a questa parte. Forse anche colpa nostra: non siamo uomini/donne di marketing. Ma indubbi successi su moltissimi fronti e probabilmente anche qualche errore. Ma si sa: chi non fa non falla!
E noi abbiamo fatto. Come segnale, indice di attività, nella nostra biblio copyleft abbiamo:
– 21 Ascolti (audiolibri, racconti, ecc.) per un totale di 152.803 download
– 13 Racconti, scaricati 20.872 volte
– 5 Diffusione (libri che ci riguardano: di amici, che parlano di noi….) 9.141 download
– 3 raccolte di Poesia scaricate 3.535 volte
– 19 Romanzi (pubblicati e non) per un totale di 43.894 download
– 2 sceneggiature scaricate 2.186 volte
In totale abbiamo diffuso – senza contare Inciquid – ben 232.431 copie di lavori che in qualche modo sono passati sotto le nostre mani.
Il tutto, in perfetto spirito quindicino, in maniera del tutto gratuita.
Che ne dite: vale la pena augurarci almeno altri 10 anni di vita?! Noi ci contiamo: e continuiamo a lavorare (ed a scoprire talenti: tranquilli!) per questo
http://www.iquindici.org/news.php
Questo invece riguarda mil mio secondo blog
E’ stata pubblicata la quarta parte del racconto Dalla finestra si vedeva.
Per chi lo volesse leggere
http://nuovoorsobianco.wordpress.com/2012/09/09/il-tempo-vola-e-noi-con-lui/
Chiuso il fuori programma
Capitolo 31
Laura tornò a mattina inoltrata alla bottega del padre. Era raggiante e luminosa come mai lo era stata prima. La notte era stata calda ed emozionante, molto di più degli altri incontri. Addormentarsi accanto quell’uomo potente e dall’aspetto burbero e poco invitante era stato meraviglioso, un qualcosa di eccitante, perché in realtà sotto quella scorza dura, cotta dal sole di mille battaglie, si nascondeva una persona delicata e per nulla arcigna. Le aveva donato momenti di intensa felicità, complice l’atmosfera che si respirava nel casale. Adesso avrebbe dovuto affrontare la madre. Un impresa non di poco conto.
“Buona giornata, padre” disse entrando nella bottega.
“Buongiorno, Laura. Felice di rivedervi”.
La ragazza abbracciò l’uomo, baciandolo sulle guance.
“Mi fa piacere che siate felice. E’ una meravigliosa medicina, che guarisce ogni male” continuò Francesco, mentre cuciva la falda del cappello che stava lavorando.
“Padre, lasciate che a cucire ci penso io dopo essermi cambiata d’abito. In questi ultimi tempi vi ho trascurato in bottega ma la storia sembra bellissima”.
Non aveva finito di pronunciare queste parole, quando Paola irruppe nella stanza, perché il suo udito fine aveva captato la voce della figlia. Non prometteva nulla di buono quell’ingresso: sembrava un temporale d’estate violento e improvviso che si abbatte sulla campagna oscurando il cielo.
“Si dorme nel proprio letto, quando non si è maritata. La notte va trascorsa sotto il proprio tetto e non chissà dove ..” sbottò senza nemmeno salutarla con un tono stridulo e cattivo.
“Madre, non ero chissà dove e con un messere qualsiasi. Il nostro amatissimo Duca mi ha invitata a trascorrere la sera con lui. E non potevo rifiutarmi. Come avrei potuto? Cosa avrei dovuto ..”.
“Dire di no” completò Paola asciutta e tagliente. “Vi rendete conto che siamo una famiglia rispettabile noi, Boccacci Dianti? Voi trascorrete la notte con un uomo more uxorio. Vi rendete conto del disdoro nel quale ci hai gettato? Cosa diranno i conoscenti, gli abitanti della strada, quando verranno a conoscenza che Laura Dianti passa le notti nel letto di ..”.
“del Duca, madre. Quale disonore? La loro sarà solo invidia. E poi chi lo saprà, se voi non andrete a raccontare in giro ai quattro venti che la figlia è passata nel letto del duca?”.
Il padre continuava ad armeggiare attorno alla falda del cappello, non osando intervenire nella disputa della moglie con sua figlia. Ne avevano già discusso a lungo tra di loro e non avevano trovato un punto di raccordo. Paola sembrava contraria alla relazione tra Laura e Alfonso, Francesco era più possibilista, perché realisticamente parlando non sapeva come romperla senza suscitare le ire del Duca. Lui era potente e avrebbe potuto prendere la figlia senza che loro potessero metterci impedimenti. Tra il contrastare con ferocia il rapporto e l’assecondarlo senza troppi cedimenti e rinunce l’uomo preferiva la seconda strada, più morbida e meno insidiosa, perché col tempo, se la relazione si fosse consolidata, avrebbero potuto ricavare qualche vantaggio. Non comprendeva l’atteggiamento della moglie, che inizialmente aveva premuto con insistenza, mentre adesso frenava con molta decisione.
“Sei come tutte le altre” sbottò Paola come un tuono dopo il lampo.
“Ma madre! Fino all’altro ieri avreste fatto di tutto perché mi gettassi fra le braccia del Duca. Mi chiedevate se volevo diventare novizia. E poi ..” Laura fece una breve sospensione come per recuperare frammenti di ricordi e le parole giuste senza urtare la suscettibilità della madre. “Non avete accennato a qualcosa di voi accaduto tempo fa? Non ricordo bene la discussione ma rammento che ..” continuò la ragazza lasciando volutamente in sospeso i particolari.
“Come vi permettete di parlare così a vostra madre?” replicò stizzita per essere stata colta con le mani nel sacco.
“Forse sarebbe bene, che la vostra discussione la continuate in cucina. Qui chiunque passa per la via sente le vostre voci” disse calmo Francesco, invitandole a ritirarsi più all’interno dell’abitazione a far baccano.
Le due donne accolsero l’invito trasferendosi in cucina, dove si sedettero intorno al tavolo.
“Madre, non intendevo mancarvi di rispetto ma qualche tempo fa avete accennato a qualcosa, quando ho ricevuto il primo invito. Eravate scandalizzata al pensiero che non fossi andata a letto col Duca. Ora mi rinfacciate di averlo fatto. Vi chiedo: voi eravate illibata quando avete sposato Francesco?”
“No, no di certo” rispose senza pensarci troppo, memore di quei famosi incontri. “Però non ho ..”
“Madre, non c’è necessità di spiegarmi con chi l’avete fatto”.
“Sì, è vero ma almeno da quegli incontri ho ricavato qualcosa. Tu invece, niente”.
“Madre, se il Duca mi avesse dato degli scudi d’oro mi sentirei come una donna di malaffare, che presta il proprio corpo in cambio di denaro”.
“Sarà come dici tu ma se domani il tuo Duca ti lascia non sei più vergine. Chi ti vorrà? Almeno io ero già promessa sposa a Francesco. Poi quegli scudi sono stati una manna per pochi incontri” replicò accalorata Paola.
“Madre, il Duca mi rispetta e mi tratta come una Madonna. Io provo affetto per lui ..”
“Sarà come dici ma non è detto che tra qualche tempo non si stanchi. Il Duca è sposato con una bellissima donna, potente e pericolosa. Lui non l’abbandonerà mai per prenderti come moglie. Io dal mio conte per poche volte ho ricavato un bel mucchietto di scudi d’oro e non mi sono sentita una donna di malaffare. E’ stata una semplice transazione d’affari: ho dato qualcosa in cambio di fiorini. E non pochi”.
Laura scosse il capo, perché quello che le stava confessando la madre era veramente grave ai suoi occhi. Si domandò se suo padre era a conoscenza di questo. “Cosa importa se lo sa oppure no. Io mi sentirei sporca per sempre” rifletté la ragazza.
Paola capì di essersi lasciata trasportare troppo dalla foga, rivelandole un peccato giovanile. Lei lo considerava veniale, già estinto, un semplice ricordo di una prima volta neppure esaltante.
“Laura, sono stata troppo impulsiva e dura nel parlarti. Ha ragione tuo padre. Aspettiamo e valutiamo gli eventi. Se ora sei felice, lo siamo anche noi” e l’abbracciò con trasporto.
“Madre, grazie per aver compreso le mie istanze. Prometto che le vostre confidenze rimarranno un segreto tra noi. Se l’avete fatto, avevate delle buone ragioni. Non sta a me giudicare”.
Un bacio suggellò la ritrovata armonia.
Giacomo si gettò a capofitto nell’impresa di rendere i due cunicoli sicuri e progettare il terzo. Aveva le idee sufficientemente chiare ma come realizzarle era tutto un mistero. Doveva trovare dei lavoranti che operassero in silenzio, doveva trovare le lire marchesane per pagare la loro omertà, non doveva trascurare le relazioni che stava intessendo in casa e fuori. Insomma aveva molti problemi da risolvere con soluzioni per nulla scontate e neppure troppo chiare. L’unica certezza era che lui metteva le idee e gli altri la realizzazione. Progetti ambiziosi che richiedevano attenzione. Le settimane passavano mentre lui cercava di sbrogliare la matassa dell’incarico del Duca, che presto si sarebbe fatto vivo per farsi ragguagliare sullo stato dell’arte.
Erano i primi di luglio quando ricevette un messaggio del segretario, Bernardino de’ Prosperi, che lo convocava nello studio ducale per il giorno 15 alle 10. Giacomo si interrogò sui motivi dell’incontro.
“Di sicuro il Duca vorrà conoscere lo stato di avanzamento dei lavori ma non ho molte novità in verità. Oggi devo incontrare un capomastro e qualche lavorante per la paga e altro. Oltre a questo non ho altro da comunicare” rifletté amaramente. “Però è l’occasione buona per mettere in chiaro alcuni punti. L’accesso al rivellino nord, la costruzione di alcuni sfiati lungo il percorso e il compenso. Aspettiamo”.
Aveva alcuni giorni di tempo per organizzarsi al meglio. Non immaginava che essere l’ingegnere del Duca fosse così complicato.
“Va bene che ci sono stati alcuni piacevoli fuori programma ma il resto è abbastanza oneroso. Nella mia epoca sarebbe stato molto più lieve. Qualche mazzetta, lavoro scarso e poi sarebbero stati gli altri a lavorare per me. Meno rogne, meno beghe”.
E si avviò per uscire.
Alba muore sul far del giorno
Buio. Terrore dipinto sugli occhi. Alba spalanca gli occhi nel tentativo di vedere il nulla. L’aguzzino ha smesso di tormentarla, ma sente ancora la lama rovente inciderle la carne, i seni, il pube. Le ferite bruciano come aghi di spillo, mentre strisce di sangue rappreso raggrinza la pelle. Legata senza possibilità di muoversi ma libera di urlare tutta la disperazione che ha nel corpo, percepisce qualcosa che scivola sul piede nudo.
Un urlo e un veloce squittire vola nell’aria. L’ansia, la paura, il panico muore nella gola. Spera che il carceriere finisca la sua opera e scenda il silenzio. L’ orrore accelera i battiti, le tempie sembrano esplodere, mentre qualcosa di morbido striscia sulla gamba.
“Ecco perché non torna! Vuole assistere alla mia agonia, ridendo di me, mentre muoio di paura!”.
Il cuore batte impazzito, mentre l’urina scivola calda sulle ferite. Brucia come la carne sul fuoco ma senza l’odore del bruciato.
Si dimena, urla, invoca aiuto che si perde nel vuoto del buio. Però loro diventano sempre più intraprendenti. Annusano, leccano, mordicchiano, mentre lei impazzisce nel panico.
Nuove ferite ulcerano la pelle che sanguina e gocciola sul pavimento. E’ in piedi addossata alla parete, nuda e indifesa, mentre la mente non comanda più nulla.
La voce muore nell’oscurità. Il cuore accelera ancora e produce un rumore sordo. Bum! Bum! Il dolore sovrasta i pensieri, la testa sembra esplodere come un petardo, mentre mille denti aguzzi trafiggono la carne.
Un ronzio penetra nelle orecchie, la bocca si secca come un torrente d’estate, un fiotto di sangue esce dal naso.
Altra urina inonda il pavimento mescolandosi al sangue che copioso zampilla dalle mille lacerazioni che compaiono sul corpo. La mente vaga mentre le forze lentamente svaniscono. Il terrore scivola dentro di lei che si aggrappa alla speranza che l’aguzzino sia mosso a pietà.
E’ orribile spegnersi in quel modo ma paga la fiducia concessa con troppa leggerezza. “Solo ieri ero allegra e spensierata, ma ora sono avvizzita come un fiore reciso da tempo”.
Anche gli ultimi pensieri volano via tra sussulti e dolori. Il cuore decelera all’improvviso. Il respiro diventa affanno. La bocca annaspa nell’aria. La testa reclina di lato.
Alba muore sul far del giorno.
Avviso – Advisement
Sul mio secondo blog Nuovoorsobianco è stata pubblicata la terza parte Dalla finestra si vedeva.
Per chi volesse leggerlo questo è ilink
http://nuovoorsobianco.wordpress.com/2012/09/05/una-notte-inquieta/
Avviso- Advertisement
Capitolo 30
Naturalmente fu un fiasco colossale all’inizio. Aveva deciso di trascorrere la notte con Isabella ma se ne pentì non appena varcò la soglia della camera da letto. Giacomo si spogliò con gran fatica, sudando copiosamente in una stanza laterale. Non c’era Ghitta ad aiutarlo nell’opera Quando s’infilò nel letto ampio e non troppo comodo, la donna era già sotto le lenzuola, fingendo di dormire.
“Cominciamo bene” sussurrò a denti stretti.
Allungò una mano e avvertì una pesante stoffa, che l’avvolgeva come un sarcofago. Si avvicinò, ma lei si allontanò.
“Se ti muovi ancora, cadi per terra” ridacchiò l’uomo e si avvicinò ancora.
Non cadde, ma con mossa improvvisa si arrotolò nel lenzuolo come una mummia. Era ancora più inaccessibile.
“Bene!” esclamò alzandosi. “Preferisco il mio letto, più confortevole, e ..” e lasciò sfumare le ultime parole. Tanto era chiaro che la servetta ruspante gli dava più soddisfazioni della moglie che si negava con sdegno.
“Dove andate?” chiese Isabella con una voce che pareva venire dall’oltretomba.
“Madonna, qui non si fa nulla. Torno nella mia camera più accogliente e meno ostile. Almeno dormo senza disturbare nessuno. Poi non lamentatevi se …” e raccolti i suoi indumenti sgattaiolò nel corridoio, senza preoccuparsi di essere vestito di nulla.
La donna rimase basita. Non si aspettava un simile comportamento, perché Giacomo le appariva diverso nelle reazioni da quello, che conosceva da quindici anni, e per di più le pareva che fosse anche più giovane ma forse era solo in apparenza. «Sarebbe montato su tutte le furie. Mi avrebbe strappato di dosso tutto con furia, montandomi con furore e senza troppi riguardi e gentilezze». A lei questo piaceva moltissimo, anche se non le dava nessuna soddisfazione e talvolta le procurava dolore. Tuttavia durante l’amplesso carpito con la forza riusciva a liberare le proprie fantasie erotiche. Per il soddisfacimento personale c’erano molti pretendenti da Abramo a Alì, sempre pronti ai suoi richiami. «Però è differente quello dei miei ricordi. E’ come se avesse fatto una inversione a U, tanto è mutato il comportamento». Si pentì quasi subito del proprio atteggiamento, perché percepiva un umidiccio strano tra le gambe e un certo stimolo, che non aveva conosciuto fino a quel momento.
“Come potevo immaginare che Giacomo era così cambiato? Che sia merito delle cure assidue della Ghitta o delle donne che frequenta a Ferrara?” rifletté, mentre la curiosità e una certa stimolazione sessuale la fecero alzare. Indossata una vestaglia da camera si diresse verso la camera del consorte.
Senza bussare entrò sicura e nella penombra si tolse tutto rimanendo nuda. Stava infilandosi nel letto quando udì la voce ironica di Giacomo che la raggelò fermandola.
“Mi spiace ma sono occupato. Tornate più tardi, quando sarà il vostro turno. Sempre che ne abbia ancora voglia”.
Era sempre più basita che infuriata, perché ancora una volta era riuscito a farsi beffe di lei in modo garbato ma deciso. Riconobbe il risolino di scherno di Ghitta dopo che Giacomo aveva pronunciato quelle parole. Provò umiliazione piuttosto che adirarsi, perché riservava alla serva maggiori attenzioni rispetto a lei. Mentre restava immobile nuda nella penombra, rifletteva indecisa se restare lì in attesa o tornarsene nelle proprie stanze.
“In fondo me lo sono meritata. Lui era venuto ma io mi sono negata”.
Percepiva che rimanendo significava assistere al rapporto tra il marito e la serva, ma andandosene equivaleva ammettere la sconfitta. Era incerta e combattuta tra i due pensieri, quando udì nuovamente la voce di Giacomo.
“Vedo che avete avuto la pazienza di aspettare. Quindi se volete infilarvi nel letto, Ghitta vi farà un po’ di posto, spostandosi più in là- Il letto è ampio e comodo anche per tre persone”.
L’umiliazione era forte, ma lo stimolo ancor di più. Così senza dire una parola si trovò tra l’uomo e la serva. Una posizione insolita e inedita che la eccitò ulteriormente.
La mattina li colse abbracciati con vigore.
“Madonna” disse Giacomo. “Spero che sia stato di vostro gradimento la nottata. Che ne dice la nostra Ghitta?”
“Certamente, Messere. Con voi non ci si annoia mai” replicò la serva.
Isabella grugnì più di soddisfazione che di disappunto ma non voleva umiliarsi ancora con qualche affermazione di gradimento. La notte era passata in maniera piacevole e soprattutto fuori dell’ordinario ma aveva dovuto dividere il letto e l’uomo con la serva. Questo lo riteneva intollerabile ma si controllò.
“Ghitta” disse Giacomo serafico. ” Abbiamo fame. Preparaci la colazione. Oggi sarà una giornata intensa e laborioso. Dobbiamo iniziarla bene”.
Ghitta uscì velocemente dal letto, infilandosi il solito camicione e sparì alla loro vista. Le sarebbe piaciuto ascoltare i loro discorsi ma sapeva che l’uomo si sarebbe infuriato se avesse disatteso il suo ordine. Inoltre non poteva raccontare in cucina che aveva trascorso la notte con i propri padroni nello stesso letto, perché avrebbe rischiato una bastonatura coi fiocchi.
“Ghitta sembrate una gattina dopo che ha mangiato un topolino, tanto siete soddisfatta” le disse Geltrude.
“Niente, niente” replicò ammiccando. “Una piacevole nottata. Ma non ho tempo per raccontarvi i particolari. Messere Giacomo ha ordinato una colazione sostanziosa per lui e Madonna Isabella. Però ha fretta per via di certi impegni in città”.
La cuoca sollevò un sopracciglio e stava per replicare, quando la ragazza la gelò.
“Niente chiacchiere. Datevi da fare. Messere Giacomo mi ha minacciato una bastonatura se tardo troppo”.
Senza aggiungere altro preparò il tavolino portatile con piatti, posate e teli di lino, togliendosi dagli impicci. Era ben conscia che nel tempo di una Ave Maria tutto il palazzo avrebbe saputo che Madonna Isabella aveva trascorso la notte col marito, con qualche presenza inquietante. Tutti erano a conoscenza che Ghitta dormiva negli appartamenti del padrone e quindi era in una posizione privilegiata come osservatrice.
Per qualche giorno sarebbe stata ricercata e interrogata sulla notte degli amori da parte del resto della servitù.
“E’ vero che non posso raccontare come sono andate le cose ma con un po’ di fantasia e qualche elemento reale mi divertirò tantissimo a descrivere quello che hanno fatto Messere Giacomo e Madonna Isabella” rifletteva gongolante, mentre portava la colazione ai padroni.
“Se sapessero ..”.
Maggio era il mese delle partenze. La duchessa era partita con la sua piccola corte per le consuete vacanze estive, che giungevano benedette dopo il lungo inverno.
Il Castello era animato dai consueti caroselli delle guardie ma era privo della presenza femminile, che aveva seguito Lucrezia alla delizia di Belriguardo. Solo i suoni scanditi dai passi dei soldati ducali sul selciato del cortile d’onore si udivano, mentre alla domenica dopo la messa mattutina nella cappella del Castello non c’era più quel passeggio che aveva animato quelle precedenti. I pettegolezzi e le chiacchiere erano più smorzate, la curiosità cortigiana, alimentata dagli umori dei funzionari di corte, dai soldati, si scioglieva con la calura estiva nell’aria rarefatta e afosa del porticato, che sarebbe tornato ad animarsi tra qualche mese, quando la Duchessa avrebbe fatto ritorno. Adesso c’era solo lo stanco movimento dei funzionari e delle guardie ducali, che cercavano riparo nelle zone d’ombra del cortile.
Alfonso era libero di muoversi senza l’assillo psicologico della presenza della Duchessa e dei figli, ammesso che ci fosse stata questa sudditanza. Riceveva nello studio ducale il segretario, i magistrati dei savi e tutti dignitari che curavano il governo del ducato ma molto spesso si trasferiva o nelle delizie cittadine o nel casale del Verginese dove aveva incontri galanti lontano da occhi indiscreti. Non erano certamente appuntamenti segreti, perché era difficile sfuggire all’attenzione dei cortigiani e dei ferraresi ma avvenivano nel chiuso delle stanze delle delizie, impenetrabili a coloro che non potevano accedervi. Solo paggi fidati o persone di fiducia potevano avvicinare il duca e chi sgarrava diventava un personaggio non gradito e bandito dalla corte ducale, quando andava bene.
Dopo l’incontro alla Castellina, nei Giardini del Cavo, che lasciò estasiata Laura, la mitica carrozza ducale faceva la spola col casale del Verginese, una grande casa di campagna immersa nel verde della campagna ferrarese.
Era diventata il loro nido, dove trascorrevano le lunghe giornate di giugno nella pace e nel silenzio del fondo agricolo, rotto solo dal frinire delle cicale e dal ronzio delle zanzare. L’ampio podere che circondava il casale era un enorme frutteto dove si coltivano molte varietà di frutta alternate a essenze arboree imponenti. Era il brolo o l’orto annesso al casale dove l’effetto scenico era meraviglioso. Il grande viale d’ingresso contornato da melograni, sorbi e noccioli accoglieva i due amanti ma era l’enorme chioma del noce il punto preferito da Laura e Alfonso.
“Madonna” diceva il Duca seduto sul prato all’ombra del noce. “Voi siete di una grazia che non mi stancherei mai di osservarvi”.
“Mio Signore” replicava la ragazza arrossendo per il complimento.
“Non chiamatemi mio Signore. Per voi sono semplicemente Alfonso”.
“Non so se ci riuscirò, anche se mi sforzo di pensarlo”.
“Ebbene provateci. Non costa nulla!” replicò un divertito Alfonso.
“Ci proverò ma non garantisco i risultati” disse Laura sorridente.
I giorni passavano veloci insieme all’estate. Era una sera di luglio, calda e afosa, quando Alfonso le lanciò una proposta.
“Stasera non ho voglia di tornare in città. Qui si sta bene al riparo del noce o dell’acero, ammirando le aiuole fiorite. Fermiamoci per la notte, che si annuncia calda”.
“Mio .. Alfonso. Mi aspettano in città. Mia madre sarebbe preoccupata non vedendomi tornare alla solita ora”.
“Quale problema insolubile c’è? Manderò un paggio per avvisare la vostra signora madre che non sarete con loro stanotte. Ma ditemi com’è la vostra madre?”
Laura si schernì e rispose con garbo.
“Vedete, mia madre è come tutte le madri. Si preoccupano per le figlie e ..”
“Cos’ha da temere da me? Il sono il Duca e non un messere qualsiasi che frequenta le figlie solo per piacere” rispose piccato.
“Non volevo offendervi con le mie parole. Mia madre è come tutte le madri. Sono sempre in ansia per le figlie. Ebbene mandate un paggio per avvertire che non sarò di ritorno stasera”.
Il duca fece approntare il banchetto sotto il pergolato della vigna, allietato dal suono del liuto.
Quella fu una sera importante per Laura.
Avviso ai naviganti – Advertisement
I blogger autori sono cresciuti di numero e quindi non sempre sarà possibile pubblicare un post al mese. Quindi ho pensato di trasferire il mini racconto che scrivevo per Caffè Letterario sul mio vecchio blog nato sulle ceneri di Window space. Ricomincerò dal primo capitolo e li ripubblicherò tutti, aggiungendo quelli nuovi. Qui su Caffè Letterario metterò solo racconti singoli.
La prima puntata è al seguente indirizzo.
Solo io per te
Capitolo 29
Con la sola luce tremolante di una candela Laura provò e riprovò a scrivere qualcosa. Il suo problema era come iniziare: era la prima volta che si cimentava.
“Scrivo Reverendissimo … no, no! Non è un ecclesiaste. Gentilissimo .. no, no. Forse eccellentissimo .. sì, sì va meglio. Ma poi? Cosa metto? Vediamo un po’ Eccellentissimo Messer Duca .. No, no. Il messer non ci sta. Riproviamo Eccellentissimo Duca. Ricevo la vostra missiva .. No, non ci siamo. Uffa! Cosa si scrive a un duca in risposta a un suo messaggio?”.
La ragazza appoggiò la testa sulle mani a coppa, distesa sul letto, quando udì la voce della madre.
“Laura, spegnete la candela! Cosa state facendo? E’ tempo di dormire”.
“Sì, madre. La spengo subito” e con un soffio la luce tremula diventò oscurità. ” Non riuscivo a prendere sonno e .. Notte, madre”. Accomodò il cuscino di paglia sotto il capo e continuò a pensare al messaggio che doveva consegnare il giorno seguente.
La giornata si annunciava calda e serena, anche se la rugiada imperlava l’orto con minuscole gocce d’acqua. Un leggero velo di foschia aleggiava a mezz’aria a indicare che la notte era stata umida più che fresca.
Laura si levò come al solito al canto del gallo ma con sua sorpresa non era la solita stanza ma una ben più sontuosa, che non conosceva. Il letto ampio, comodo e vellutato non era quello ruvido e nodoso dove la paglia ricoperta da una tela grezza l’accoglieva ogni notte.
Si domandò stupita dove fosse, osservando i tendaggi che ricadevano ai fianchi del baldacchino che stava sopra la sua testa. Inquieta rifletteva quale magia l’avesse colpita, immersa in un effluvio di profumi diversi. Si eresse col busto e toccò il tessuto della camicia da notte: non era grezza, grossolana come quella che usualmente indossava ma morbida e frusciante. Le pareva lino.
“Mai posseduto qualcosa con questo tessuto. Non saprei nemmeno dire quali sensazioni si provano. Solo robusta canapa intessuta a mano. Cos’è questo prodigio?”.
Era immersa in questi mille pensieri e dubbi, quando udì un bussare discreto.
“Chi sarà?” si chiese con un mix di curiosità e ansia.
“Venite” esclamò
“Madonna Laura” disse una serva entrando con un enorme tavolo portatile. “Ecco la vostra colazione. Buona giornata” e silenziosa come era arrivata, se ne uscì lasciando sul letto ogni ben di Dio.
La ragazza osservava stupita quell’oggetto di legno dotato di quattro corte gambe sul quale in bella mostra c’erano tazze e piatti di fine porcellana e due bricchi di ceramica con un decoro smaltato.
Era senza parole per lo stupore.
“Mai vista una magnificenza del genere. Non credevo nemmeno che esistessero simili bellezze. I piatti di terracotta, che mi sono sempre sembrati bellissimi, impallidiscono di fronte a loro come il mendicante nei confronti del principe”.
Laura sollevò un fazzoletto di mussola,, riccamente decorato con due cifre dorate L e D. Questo nascondeva delle minuscole coppie, che profumavano del pane appena cotto.
“Mai viste prima. Ne avevo solo sentito parlare in toni misteriosi. Sono queste dunque le gambe delle ferraresi, sottili e ben tornite. La mitica ciupeta di pane bianco, ben cotto e croccante, che solo i signori si possono permettere!”
Inebriata dai profumi, emozionata per trovarsi in una stanza dai soffitti a cassettoni decorati con gli amorini, non osava toccare nulla per il timore che tutto sparisse come una bolla di sapone, quando vide comparire lui.
“Madonna Laura” udì, ma fu un attimo. Un’altra voce la chiamava quasi urlando: era quella aspra della madre.
Il risveglio non era quello che aveva assaporato poco prima. Aprì gli occhi e si ritrovò nell’usuale stanza, squallida dal pavimento in legno, sconnesso e polveroso, e nel letto stretto e scomodo.
“Laura! E’ tempo di levarsi!”.
Una grossa delusione si dipinse sul volto, perché quel sogno bellissimo era stato interrotto bruscamente da una realtà ben diversa. In compenso sapeva cosa scrivere nel messaggio. Semplicemente ora e luogo senza altri fronzoli.
Giacomo nei giorni successivi fece molte ispezioni nel cunicolo di Porta degli Angeli, portando con sé quello strano bastone, che usò per prendere misure accurate di altezza e larghezza.
Poi si sedeva sotto un pioppo appena prima della porta a riportare su carta col carboncino nero misure e schizzi di quello che aveva misurato e osservato.
Adesso aveva le idee più chiare, anche se molte nubi nere continuavano a offuscare la sua mente. Il cunicolo era stretto e a un certo punto impraticabile. La volta minacciava di franare tutte le volte e rimaneva in ansia finché non ritornava fuori. C’era da lavorare e non era detto che ci sarebbe riuscito. In pratica quel capitano, che senza troppi riguardi l’aveva bloccato, montava la guardia a qualcosa che non serviva a nessuno.
“Sfido chiunque a percorrerlo tutto dal rivellino nord alla Porta degli Angeli senza rimanere bloccato o incastrato. E poi senz’aria con una torcia si rischia di rimanere soffocati dal fumo. Il cunicolo da un senso di claustrofobia incredibile, una sensazione di ansia che toglie il respiro. Per renderlo praticabile serve un lavoro non piccolo e del personale capace”.
Poi visitò quel punto X sulla pianta. Era una solida casa con fregi in arenaria rossa, più o meno a quello che ricordava della passata vita. Un sorriso di scherno comparve sulle labbra.
“Più che passata vita direi quella futura. Qui sono in una dimensione che non conosco, dove stento a riconoscermi. Dei ricordi non me faccio nulla ma solo paragoni e qualche rimpianto”.
Si domandava dei motivi per i quali il Duca voleva costruire un terzo cunicolo per arrivare al Palazzo X, perché più che una casa era un imponente palazzo circondato da case basse senza molte pretese. Tutto era diverso dai suoi ricordi a parte il Monte di Pietà e qualche abitazione lungo via dei Piopponi.
Doveva tornare a corte e parlare col segretario e col Duca. L’impegno richiesto reclamava molti fiorini e forse non sarebbero stati sufficienti per portare a termine l’impresa.
La sera di metà maggio stava declinando col sole che tingeva di rosso alcune nuvole che solo pochi istanti prima erano candide. Sembrava che si fossero macchiate col sangue di qualche divinità. Non era tempo di voli poetici, doveva rincasare prima che l’oscurità calasse.
Forse stasera era nella vena buona di mettere alla prova la moglie, che si lamentava delle scarse attenzioni.
Chissà se ci sarebbe riuscito.