La seconda prova

Era una sera di metà agosto, quando Micaela decise di chiamare Matteo.
Non aveva risposto al messaggio, perché era fermamente decisa di non lasciarsi distrarre da altri pensieri. Doveva dare quell’esame fondamentale per l’assegnazione provvisoria della tesi e superarlo con un’ottima votazione. Questo era l’obiettivo prima della pausa estiva.
Quindi non c’era posto nella testa per qualcosa che fosse diverso dallo studio; si era gettata a capofitto concentrata e determinata, chiudendosi nella stanza, spegnendo il telefono e Ipod, uscendo solo alla sera per incontrare Silvia per disintossicare la mente da formule, figure, disegni. Sembrava una reclusa che prendesse l’ora d’aria.
Gli altri diventavano scuri nel volto e nel corpo, belli ed abbronzati, Micaela impallidiva sempre più per far concorrenza alla luna. Era smagrita, il viso si era affilato come un coltello, il corpo allo specchio lasciava trasparire sotto la pelle le fragile struttura di cui era dotata. I genitori erano seriamente preoccupati per lei che sembrava consumarsi lentamente come una candela che gocciolava sul raccogli cera e dicevano “E’ meglio un somaro vivo, che una figlia studiosa e brava morta”.
Finalmente il giorno dell’esame arrivò col sollievo di tutti e con esso anche la grande notizia che era stato superato più che brillantemente.
Il clima afoso e caldo di fine luglio, che gravava come una capa umida su Padova, sembrava diventato d’incanto fresco e ventilato come in primavera, perché la tensione si era disciolta e stemperata lasciando il posto all’allegria e alla rilassatezza. Tutto era andato come Micaela si era prefissata, poiché tutti gli obiettivi erano stati centrati, quindi ora poteva rilassarsi, riprendere la vita di sempre e pensare serena al futuro.
Nel suo futuro ora c’era posto per le vacanze, per l’inizio della tesi, per pensare alla ripresa dei contatti con Matteo. Però non voleva assecondare nulla, voleva vivere alla giornata con una navigazione a vista senza perdere mai il contatto con la realtà. Percepiva che ormai gli studi erano terminati anche se mancavano due esami banali e la tesi, impegnativa e stimolante. Poi finalmente si sarebbe potuta affrancare dai genitori senza dimenticare mai i sacrifici che avevano sostenuto in silenzio e ripagarli di tutte le attenzioni che avevano avuto per lei. Sentiva il loro calore che l’aveva protetta in tutti questi anni, mentre lei percepiva di avere fatto molto poco verso di loro con atteggiamenti a volte egoistici. Loro invece si erano dimostrati dei buoni genitori sempre presenti con discrezione in ogni momento da quello lieto a quello difficile.
Micaela aveva in tasca il titolo della tesi, una lettera di presentazione per lo studio Accakappa, dove avrebbe lavorato per sviluppare l’argomento assegnato, e molta sicurezza nelle sue capacità.
Accakappa era un importante studio professionale di architettura veneto che si occupava di pianificazione territoriale e recupero ambientale di aree storiche degradate, composto da un gruppo di architetti giovani e grintosi. Il sogno di Micaela fin dal primo giorno di università era quello di occuparsi del territorio e del suo recupero senza tradirlo o stravolgerlo. Ora il suo desiderio si stava traducendo in realtà, perché si sarebbe aggregata al gruppo di lavoro che doveva riconvertire le aree industriali dismesse alla periferia est di Padova con un’operazione di archeologia industriale. Il gruppo era guidato da un architetto senior di circa quarantanni, che dirigeva altri due giovani, laureati da un paio d’anni, che stavano crescendo in fretta sia professionalmente sia intellettualmente. A parte una decina di giorni a cavallo di ferragosto avrebbe seguito e lavorato con loro per i restanti giorni di agosto.
“Gli altri sono in vacanza” si diceva allegra e rilassata “Io invece lavoro sodo e mi abbronzo come un muratore nel cantiere”.
Matteo era sparito dalla sua testa, non ricordava nemmeno le fattezze del volto tanto era concentrata nell’attività assegnatale. Faceva di tutto cercando di rubare ogni segreto, di cogliere tutte le sfumature di quel lavoro che le piaceva molto. Riempiva decine e decine di fogli con appunti ed osservazioni, scattava centinaia di fotografie, prendeva schizzi e faceva disegni, cercava di rendersi utile e allo stesso tempo non essere d’impiccio.
Era l’unica donna del gruppo e ben presto ne divenne la mascotte per la grintosa simpatia che emanava. Non chiedeva mai nulla, ma ascoltava in silenzio le loro discussioni, prendendo appunti, che poi si sarebbero rivelati utili ed importanti quando si trattava di rielaborare idee e soluzioni. Era la prima ad arrivare al cantiere ed era l’ultima a lasciarlo. Aveva una notevole capacità di sintetizzare in schizzi, in disegni le loro idee come se fosse un vecchio del mestiere. Questo era stato apprezzato in maniera tale che ben presto avevano smesso di guardarla come una giovane laureanda che intralciava i loro movimenti.
Il lavoro era suddiviso in due momenti: al mattino nel cantiere le rilevazioni dello stato degli immobili, delle loro dimensioni, del loro posizionamento, il pomeriggio nello studio a tradurre numeri e fotografie in idee, a discutere sulle possibili soluzioni per scegliere quella tecnicamente ed economicamente fattibile.
Micaela non sembrava accusare stanchezza, sempre col quaderno della Ruggeri a quattro colori dove annotava tutto, ogni minimo particolare, e il blocco di Pigna per gli schizzi e disegni. Era stata apprezzata subito perché le avevano riconosciuto una memoria fotografica insolita e una precisione nel riportare ogni dettaglio che rendeva quasi superfluo l’uso della fotografia. Anzi per certi versi era migliore perché riusciva a captare dei particolari che sfuggivano all’inquadratura fotografica.
Alla sera sfinita, ma contenta accatastava meticolosamente i vari blocchi prima di andare a letto. Di solito dormiva di un sonno profondo senza sogni apparenti, ma a volte sognava di essere l’architetto famoso, che disegnava favolosi interni per case e ville in tutta Italia. Aveva gusto e senso estetico molto sviluppato riuscendo ad accostare il moderno dalle linee sobrie e pulite all’antico austero ed imponente. Soffitti a volta affrescati, pavimenti in mosaico veneziano, luci e ombre di vecchi palazzi gentilizi prendeva forma, rinascevano a nuova vita riacquistando la brillantezza dei tempi passati sotto l’abile regia di Micaela.
Alla mattina aveva ancora negli occhi la magia del sogno, che stentava a scomparire dalla mente ed avrebbe voluto che questo acquistasse concretezza e materialità, ma era ancora presto prima che potesse essere realtà.
Arrivò finalmente il sospirato “rompete le righe” per San Lorenzo per dare inizio a quelle vacanze che stentavano ad arrivare.
Micaela si concesse un lungo sonno ristoratore per recuperare energie fisiche e mentali dopo lo stress degli esami e le fatiche di un lavoro non retribuito ma stimolante.
I suoi erano da dieci giorni in vacanza lasciando la casa vuota e silenziosa. Padova a cinque giorni dal ferragosto era ormai svuotata come una zucca, gli amici erano partiti compresa Silvia che se era andata via qualche giorno prima con Gianni verso una località a lei sconosciuta o meglio della quale non ricordava il nome. Era veramente sola mentre in casa risuonava unicamente il suo respiro. Si stirò voluttuosamente come una gatta al sole mentre pensava a come trascorrere questa prima giornata di ferie.
Cominciò a scorrere il lungo elenco di messaggi ricevuti ai quali non aveva ancora risposto, quando si imbattè in quello di Matteo, che era stato dimenticato e confuso fra quelli ritenuti inutili o non degni di risposta.
Un sussulto scosse il suo corpo e una nuvolaglia cupa sfiorò la fronte, che aggrottò mentre borbottava qualcosa.
D’istinto compose la risposta e premette invio.
(Capitolo 10)

2 risposte a “La seconda prova”

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