Ellie ricorda

“Il nonno Pat è stato un’autentica miniera di notizie, talmente ben descritte che mi sono sempre sembrate di averle vissute in prima persona”.
Così ricorda Ellie con nostalgia, dondolandosi sulla prua dello skipjack, Rebecca, ancorato poco distante dalle coste basse dell’isola in un pomeriggio di fine ottobre.
Lui era nato il 10 novembre del 1914 in una serata burrascosa a Holland Island, aiutato da Wonder, una nativa che fungeva da infermiera, ostetrica e donna tutto fare. Sua madre Angie avrebbe voluto partorire sulla terraferma, perché non si fidava di quella donna, ma il mare in tempesta sconsigliava di attraversare quel braccio della Chesapeak Bay per raggiungere Deal Island. Nessun marinaio si era detto disponibile di trasportarla, perché quando infuriava la tempesta quelle acque diventavano infide e pericolose.
Quella sera di novembre la pioggia battente, il vento gelido da nord che spingeva il mare ad ingrossarsi sempre di più, le onde che si abbattevano con violenza sulle coste basse penetrando in profondità sconsigliavano il verificarsi di un evento lieto come la nascita di un bambino, ma lui ci teneva molto a uscire dal pancione della mamma. E così nacque Patrick Stevens, suo nonno. La bisnonna non l’ha mai conosciuta, perché è morta molti anni prima che nascesse. Di lei ha solo qualche fotografia in bianco e nero, ingiallita dal tempo, dove sullo sfondo campeggia ancora integro quello che adesso è afflosciato come un castello di carta.
Ellie ricorda con chiarezza il racconto che il nonno le ha narrato mille volte nelle lunghe veglie invernali attorno al camino acceso della casa in pietra di Princess Anne, dove i bisnonni erano dovuti riparare nel 1936, perché non era più possibile rimanere su Holland Island. Già al momento della nascita di Pat le onde si erano mangiate piccoli pezzi dell’isola costringendo diversi abitanti a trasferirsi a Wenona. Un’erosione senza fine aveva sgretolata quella terra tra cielo e mare rendendola inospitale.
Mentre lei osserva le rovine della vecchia casa vittoriana, dove il  nonno è nato e ha vissuto per molti anni, sorride amaramente perché anche una fetta di ricordi se ne vanno, strappati e lacerati dalla furia degli elementi. Il mare si è ripreso quello che era suo e l’uomo non può impedirlo, né tanto meno lei. Si chiude così un’epoca.
In questo edificio ormai adagiato su se stesso, come un vecchio barbone che cerca di proteggersi inutilmente dal freddo e che lentamente si spegne nell’indifferenza dei passanti, ha dunque vissuto la bisnonna Angie, una donna volitiva e determinata, che ha cercato fino alla fine di resistere. Però alla fine ne è risultata sconfitta.
Ellie ha ricevuto dal nonno il suo diario e ha letto molte pagine, ma molte sono ancora inesplorate.
“Ci potrei scrivere un romanzo, se solo ne fossi capace!” ricorda a se stessa le innumerevoli letture delle storie, scritte in bella calligrafia e discreto linguaggio, che l’avevano affascinata e l’avevano fatta fantasticare.
Quella che l’aveva coinvolta maggiormente era relativa al modo nel quale Angie aveva conosciuto il bisnonno, Daniel Stevens.
 
Quando riaprì gli occhi vide solo un viso di uomo che la stava fissando perplesso, illuminato di sbieco da un lume a petrolio posto in mezzo alla stanza. Tutto era sconosciuto, tutto era ignoto: la persona che la guardava, la camera nella quale si trovava.
“Dove sono?” chiese con un filo di voce “Che ne è stato di quel bastardo che tentava di rapinarmi?”
“No, signora. Quella bestia tentava di violentarvi. E ci sarebbe riuscito se io con un amico non avessimo sentito le sue grida d’aiuto”.
Angie riprese ad ansimare in preda all’agitazione al solo pensiero di quella massa che puzzava di alcol e sudore mentre la schiacciava contro qualcosa di duro e resistente che non aveva focalizzato appieno.
“Non si allarmi. Qui è al sicuro” riprese quella voce calma dall’inflessione strana.
“Dove sono?” richiese con insistenza.
“Siete a casa mia. Qui nessuno può farle del male. Piuttosto, come si sente?”
Lei osservò quel viso con attenzione. Era regolare e portava un pizzetto nero ben curato, mentre lunghi capelli scuri scendevano verso le spalle. Era vestito con cura, niente di elegante, portava una camicia bianca con una specie di cravatta di cuoio sotto un panciotto scuro a quadri, dal quale pendeva una catena dorata.
La stanza era rischiarata non troppo bene da lampade a petrolio che spargevano la loro luce tremolante in mille ombre. Il mobilio era scarso e semplice senza che lei potesse scorgerne i particolari.
Era sdraiata su un divano di tela rossa, appoggiando la testa su comodi cuscini. Si mise ritta per osservare meglio sia lui sia quello che la circondava. La borsa di cuoio appoggiata a terra era intatta, solo la mantella mancava.
“Non sono stato educato” riprese l’uomo vedendola che si stava riprendendo rapidamente.
“Non mi sono presentato. Daniel Stevens. Per gli amici Dan” e allungò la mano destra.
Angie abbozzò un sorriso amaro perché si trovava in un ambiente sconosciuto anche se le sembrava rassicurante.
“Sono Angela Mary Fairbanks. Ma tutti mi chiamano Angie. Abito a Holland Island e sono qui con le amiche per la festa di Mabon”.
“E come mai girava da sola per Deal Island? Si era per caso persa? Le sue amiche dove sono? Forse la stanno cercando e sono in pensiero”.
Lei sospirò raccogliendo le idee prima di rispondere alla raffica di domande che quell’uomo aveva sparato con calma ma con decisione.
“No, non mi sono persa. Stavo andando al Devil’s Cove, la pensione dove alloggerò per stanotte, per depositare la borsa da viaggio. Ma quella persona mi ha aggredita all’improvviso..”.
“Però è stata imprudente a muoversi in una sera, come questa, da sola per strade poco illuminate. Ubriachi e malintenzionati sono in agguato per depredare o stuprare persone come lei”.
Dan fece una pausa prima di riprendere il discorso.
“Come si sente ora? Crede di essere in grado di camminare con le sue gambe sino alla pensione? Non dista molto da qui, ma forse è ancora impressionata dall’aggressione e non se la sente di arrivare fino lì ..”.
“Mi sento bene, anzi meglio ora. Se lei è così gentile da accompagnarmi, accetto volentieri la sua compagnia. La mia mantella è andata perduta?”.
Dan sorrise e si allontanò per tornare col l’oggetto richiesto.
“Si è strappata un po’ nel contatto con la staccionata, ma può ancora servire a preservarla dall’umido della notte”.
L’aiutò a sollevarsi porgendole il braccio come sostegno e afferrò la borsa, mentre Angie si avvolgeva nella mantella. Si incamminarono verso la locanda in silenzio.
Dan l’aspettò nella zona d’ingresso della reception, mentre la donna saliva in camera a darsi una sistemata. Nell’attesa osservò con cura chi entrava o usciva, il portiere di notte negro nella sua livrea un po’ lisa, la zona dove alla mattina gli ospiti si sarebbero seduti per colazione. Dedusse che quel posto non era molto adatto a delle signore sole, ma tenne per sé queste considerazioni. La sua casa aveva un paio di stanze per gli ospiti, ma non poteva di certo invitare Angie e le sue amiche a pernottare da lui. Sarebbero state troppe e poi a lui interessava solo lei. Scosse il capo e attese che la donna scendesse.
Poi insieme si diressero verso il centro del paese dove si teneva la festa.

12 risposte a “Ellie ricorda”

  1. Un salto temporale assai ben costruito. Ellie, appunto, ricorda e così si torna ad Angie, nel momento in cui conosce Daniel Stevens.
    Come ho già avuto modo di dire, qui si respira l'aria del grande romanzo, dell'epopea, con descrizioni sempre splendide.
    Un caro abbraccio, NARRATORE*

  2. La tua semplicità è una delle grandi doti che possiedi.
    Secondo me tu hai moltissime qualità dello scrittore.
    Le tue descrizioni sono veramente intense.
    Ho da dire molto di più…
    A presto.
    Un abbraccio
    Aura

  3. Mi piace proprio questa bisnonna.. e mi incuriosisce molto questo Dan.. strano però che lei non si ricordi di cosa è successo.. proprio strano.. Continua così, Orso! Baci Baci

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