Amanda 29

Luca arrivò allo Stanhope Arms senza problemi come Annie gli aveva spiegato. Era un tipico pub inglese all’esterno mentre all’interno pareva un locale tutto in legno secondo la tradizione, dove mogano lucidissimo faceva da sfondo ai tavoli del ristorante. Qui era possibile gustare i piatti tradizionali: pesce, bistecche e patatine innaffiate da birra e condite con svariate salse.
Si soffermò a guardare l’esterno dove campeggiava centralmente uno stemma colorato e due grandi cartelli appesi sull’angolo: il menù del giorno e un «great fish & chips». Osservò i tavoli posti sotto i tendoni, dove la gente pensava solo a bere. Tutti occupati. Rimase stupito, perché si aspettava il solito locale di bevitori, mentre dentro pareva un’elegante locale di ristorazione. Scrutò attraverso la vetrina se c’era qualche tavolo libero e varcò la soglia.
Il grande orologio segnava le diciannove e qualche minuto.
“Dunque ancora quattro ore di attesa” disse un po’ sconsolato. Però ormai era entrato e non poteva di certo uscire senza ordinare nulla.
“Mangia o beve solo?” gli chiese una cameriera dai tratti indefiniti che si era parata di fronte a sbarrargli l’ingresso.
“Perché?” domandò curioso.
“Fuori si beve, dentro si mangia” rispose asciutta.
“E se uno vuole bere mangiando, deve uscire?” replicò ironicamente.
“Ah! Ah! No, no!” e mostrò una dentatura da cavallo.
Luca rimase in silenzio per qualche istante prima di ribattere. Non ci pensava minimamente di bere per ingannare l’attesa di quattro ore. L’avrebbero raccolto sotto il tavolo. Però anche mangiare per quattro ore era un po’ troppo. Rischiava una bulimia che l’avrebbe reso impotente per molto tempo. Alla fine affermò che desiderava assaggiare i loro piatti. La ragazza l’accompagnò in un tavolo strategicamente posizionato da dove poteva osservare un tratto di strada illuminata.
Scorse la lista del giorno e optò per un cocktail. Gli pareva una buona soluzione iniziale, perché il pensiero delle quattro ore continuava a martellargli la testa. Si chiese perché non aveva proseguito la passeggiata. Domanda retorica e inutile in quel momento.
“Un Prawn con un calice di sauvignon della Nuova Zelanda” disse sollevando gli occhi.
“E poi?” chiese cortesemente la ragazza fissa di fianco al tavolo con il notes delle ordinazioni che fremeva.
“Poi ci penserò” la liquidò e chiuse la prima ordinazione.
Voleva prendere tempo il più possibile. Però l’impresa gli sembrava ardua, tutta in salita ma provarci non gli costava nulla.
Per ingannare l’attesa cominciò per gioco con l’osservazione dei passanti e di chi aspettava il bus alla fermata vicino all’ingresso. Si divertiva a pronosticarne professione e movimenti. Nessuno sarebbe stato in grado di dirgli quanto ci aveva azzeccato oppure no ma per lui andava bene così come passatempo.
“Ecco il tipico impiegato della City che prende il bus” disse osservando un uomo vestito elegantemente con un impermeabile di Burberry.
“Errato” disse sorridendo. “Prosegue a piedi. Anzi no .. entra nel pub!”. Aveva sbagliato ancora una volta.
Quando arrivò il piatto, questo si presentava in modo accattivante. Era un cocktail classico di gamberoni, lattuga e salsa di frutti di mare, con le fette di pane bloomer al malto. Il vino non era male. Pochi gradi, gradevole al palato ma lontano parente del Franciacorta che beveva a Brescia.
Con misurata lentezza assaporò tutto centellinando il vino. Il tempo non trascorreva mai e sembrava invece andare a ritroso. La cameriera si aggirava impaziente intorno a lui pronta a prendere la prossima ordinazione. Però lui continuava a ignorarla.
“Un altro bicchiere di bianco e un bread and oil” richiese a gran voce per calmarla.
Luca guardava sempre l’orologio appeso alla parete.
“Accidenti, appena le venti! Rischio di finire brillo quando arriva Annie. Questa extracomunitaria mi dà ai nervi. Sembra un avvoltoio pronto a calare sulla preda ancora calda”.
Si sentiva sazio e un tantino allegro. Pareva che l’acqua fosse un bene prezioso, perché la fonte era inaridita. Quando chiese una bottiglia di Perrier, la ragazza lo squadrò male come se avesse bestemmiato in chiesa.
“E’ finita?” domandò con una punta di ironia non troppo sottintesa.
“No, arriva subito. Fresca o naturale?” chiese ignorando la frecciata.
“Fresca, fresca”.
Riguardo l’orologio e quasi sobbalzò perché indicava le ventuno passate.
“Diamine! Il tempo si è messo a correre!”
Ordinò un mega piatto di Roast of the day con patate e vegetali di stagione.
Mentre Luca continuava a mangiare e bere, gli avventori del pub erano mutati almeno tre volte. Si sentiva pieno e assonnato per vino e birra bevuti in gran copia. Voleva spendere poco ma la serata con Annie gli sarebbe costata una piccola fortuna.
Era mezzo boccheggiante, quando ne scorse la figura esile e graziosa che camminava spedita sul marciapiede. Gli sembrava ancora più invitante di come la ricordava. Pensò che gli effetti alcolici gli facessero vedere migliorata l’immagine. Eppure aveva sempre sentito il contrario che l’alcol distorce e annebbia le visioni.
Velocemente questi pensieri sparirono perché dovevano fare posto ad altri più piacevoli.
Si alzò per farla accomodare al tavolo.
“Cosa prendi? Un soft drink o una ale?” le chiese con la voce leggermente impastata.
“Un soft drink. Non sono abituata a bere molto”.
“Due feelgood range con patatine” ordinò alla nuova cameriera che aveva sostituito da mezz’ora la dentona indefinita.
Luca le prese le mani mentre come per incanto si era svegliato facendo svanire i fumi dell’alcol.
“Ti ho ammirato mentre arrivavi. Hai una figura mozzafiato ..” le disse mentre lei si scherniva.
“Chissà come arrossiscono le negre come Annie” pensò già pregustando la notte che si annunciava calda.
Luca continuò con i complimenti galanti, mentre i due drink stazionavano sul tavolo. La passione stava crescendo ma lui si era imposto di non forzare i tempi. Rifletté che aveva un corpo niente male e due occhi splendidi, mobili e luminosi. Le labbra carnose erano rosa e invitavano a essere baciate, mangiate. Si dovette trattenere per non farlo.
Sollevò il bicchiere per una specie di brindisi prima di cominciare a parlare.
“Abiti da sola?” le chiese mentre prendeva dal piatto una patatina.
“No” rispose raggelandolo. “Divido l’appartamento con mia sorella in Ashburn Gardens a mezzo miglio da qui. Una stanza a testa. In comune il resto. Non potrei permettermi una casa tutta per me”.
“E adesso tua sorella è in casa?” chiese con un filo di apprensione, sperando in una risposta negativa.
“No, è rientrata quando Frank, il mio ragazzo, se ne è andato. Lei ora è col suo boyfriend. Le ho lasciato la casa perché possa stare da sola. Facciamo sempre così”.
“Quindi ti tengo compagnia finche il compagno non se ne va?” domandò deluso. Luca era ormai rassegnato a una passeggiata per le strade di Kensington e poi a dormire al Meininger con Amanda e Alice, ammesso che avessero aperto la porta.
“Beh! si e no” rispose Annie con un largo sorriso molto rassicurante. “Se la presenza di mia sorella ti disturba potremmo dormire al Millenium Gloucester. Di sicuro Jack mi trova una stanza..”
Luca riprese fiato e colorito, ma rimase in silenzio valutando la doppia proposta. Passare la notte in una stanza d’albergo con Annie non lo entusiasmava molto ma il pensiero che ci fosse qualcuno in casa, sia pure la sorella, non lo solleticava neppure un po’. Avvertiva con fastidio un senso di disturbo. Prese tempo prima di rispondere.
“A Susie, mia sorella, ho promesso che non sarei rientrata prima di mezzanotte. Dunque ..”
“Pertanto tua sorella sa che tornerai con me e dormirò lì?” chiese dubbioso.
“Sì, ma siamo molto tolleranti su questo. Non formalizziamo se una di noi dorme con un amico ..” rispose sorridente mostrando una dentatura invidiabile.
Luca si sentì sollevato. Molti dubbi erano spazzati via, anche se rimaneva un fastidio latente. Era la prima volta che faceva all’amore sapendo che in casa c’era un familiare e pensò che c’era sempre una prima volta. Era la prima volta che stava con una ragazza di colore, era la prima volta che lo faceva sapendo che nella stanza accanto c’era qualcuno.
Con un cenno chiamò la ragazza per richiedere il conto.
“Se non ti crea problemi, possiamo finire il drink, pagare e fare quattro passi. La serata è fresca ma non piove. Tra dieci minuti il pub chiude e dobbiamo per forza andarcene. Poi dopo mezzanotte è una buona idea rifugiarci nel tuo appartamento. Mi sembra più gradevole e confortevole di una stanza d’albergo anonima..” propose Luca.
Pagato andarono mano nella mano verso Cronwell Rd, chiacchierando come due innamorati. Un vento fresco sferzava i loro visi con un senso di piacevole frescura.
Luca ammirava quel viso dolce dove spiccavano due occhi luminosi ma provava a immaginare quel corpo esile, flessibile come un giunco. Le proporzioni aggraziate con un seno piccolo che si notava leggermente sotto il vestito di tweed di lana, che ricordava i tartan scozzesi la rendevano invitante e seducente. Era impaziente di tenerla fra le braccia e gustare il profumo che il corpo della ragazza emanava.
Ancora una volta provò a immaginarla nuda ma la visione diventava confusa. Così decise di rimandare l’effetto a dopo, nella realtà.
“Senza dubbio deve essere invitante e calda come una gatta in amore” pensava mentre posava le labbra sul collo di Annie.
Un brivido percorse il corpo della ragazza sentendosi sfiorare da Luca e crebbe la voglia di fare all’amore con lui. Percepiva un calore che saliva impetuoso verso la testa tanto che il freddo della serata sembrava mitigato dal caldo del corpo.
“Cosa mi ha sedotto quando l’ho visto la prima volta? Senza dubbio è di una dolcezza senza uguali. Sarà un partner premuroso e bollente. E..” e il desiderio crebbe ancora. Osservò l’orologio ma il tempo pareva fermo.
“Ancora una ventina di minuti devo soffrire. Non posso presentarmi a mezzanotte in punto. Lascio a Susie un margine di mezz’ora. Tanto lei lo sa ..” concluse silenziosamente stringendosi forte a Luca.
Camminarono per Cronwell Rd fino a incrociare Ashburn Gardens, ma era ancora presto.
Luca era impaziente ma non conosceva esattamente dove abitava e quindi affidava la guida a Annie. Girovagarono ancora per un po’ finche la ragazza decisamente non imboccò la via dove abitava. Era quasi mezzanotte e trenta e forse anche di più.
Aveva lasciato un buon margine alla sorella. Pensò soddisfatta. Dunque era tempo di rientrare.
Il portone di casa si chiuse alle loro spalle silenzioso ma in maniera da far comprendere che erano ritornati.
“Siamo noi, Susie” disse a voce alta Annie e velocemente guadagnarono la stanza.
C’era silenzio rotto solo dal ronzio del frigorifero. Pareva disabitata, quando a Luca parve di percepire dei movimenti da dietro una porta chiusa. Rumori indefiniti ma chiari come di qualcuno in ascolto.
“Chi se ne frega della sorella. Annie tra un po’ sei tutta mia!” rifletté in silenzio.
Velocemente si tolsero i vestiti e si infilarono nel letto da una piazza e mezza.
La notte cominciava in quel momento.

Amanda 28

Pietro era appoggiato con la testa sul tavolo e dormiva profondamente, mentre le braccia facevano da cuscino. Un sibilo rauco usciva dalla bocca semisocchiusa come il gracchiare di un corvo.
La tavola era ancora ingombra di piatti e bicchieri e tre sedie vuote erano leggermente scostate. Non c’era nessun’altra presenza oltre la sua. La stanza pareva disabitata come se gli abitanti l’avessero abbandonata in fretta.
Il rumore secco del battente della porta d’ingresso lo fece sobbalzare. Con l’occhio ancora annebbiato dal sonno sollevò la testa alla ricerca dell’origine del frastuono. Non riusciva comprendere perché si trovasse lì e perché la tavola era apparecchiata. L’ultima immagine che conservava era diversa da quella che la sua vista poteva osservare in questo momento.
“Dove sono gli altri commensali? Perché ci sono solo tre sedie vuote?” si chiese a voce alta, mentre a fatica si metteva ritto sulle gambe.
Osservò la mano sinistra che appariva sana, ma nei ricordi era fasciata e dolorante. Toccò il pane che stranamente era ancora caldo, e ne prese un frammento che portò alla bocca. Troppe stranezze erano incomprensibili e troppe discrepanze c’erano coi suoi flashback perché fossero solo il frutto dell’immaginazione. Tre donne erano comparse e tutte con due particolari in comune: i capelli rossi e l’iniziale del nome. Con loro comunicava solo con la mente mentre si prendevano cura di lui.
“Chi sono?” si domandava mentre gustava con piacere quel pezzo scuro e croccante di pane.
“Uhm!” mugugnò mentre lo masticava con cura e con calma.“Deve essere miracoloso, perché mi sento già meglio”.
Immediatamente il pensiero corse a Alice, che ne aveva decantato i poteri.
“Ma chi è in realtà? Perché nella visione ho visto tante ragazze coi capelli rosse, tutte vestite con una tunica bianca fermata appena sotto il seno da una cintura con uno strano fermaglio?”
Però rifletteva ancora una volta su queste strane percezioni, sulle immagini che conservava nella mente: erano il frutto della sua fantasia oppure era una realtà che appariva inverosimile.
Osservò con attenzione il tavolo, che ai suoi occhi era il solito di tutti i giorni, mentre invece nella memoria era impressa una lunga tavolata affollata da tanti visi allegri e capelli rossi. Anche la stanza pur dalle dimensioni generose era quella che da quasi trent’anni frequentava. Eppure nel ricordo visivo sembrava dilatata, senza pareti e adatta a ospitare quella festosa comitiva. Osservò il piatto e gli altri sul tavolo. Nessun simbolo strano era disegnato sul fondo ma solo il consueto decoro. Li conosceva bene, perché erano quelli che utilizzava tutti i giorni da molto tempo. Non li aveva mai cambiati. Facevano parte di lui e della baita.
Più tornava indietro con la mente a quelle immagini straordinarie, più adesso vedeva solo quello che era abituato a maneggiare nella quotidianità. Niente di strano, niente di anomalo, ma solo e semplicemente i normali oggetti che usava da anni. Però qualcosa continuava a frullare incessantemente nella testa, come le pale di un mulino a vento agitate da raffiche impetuose.
“Che cosa era inciso sul fondo dei piatti? Nel mio mi era sembrato di vedere qualcosa che assomigliasse a una ics. Però era come sbilenca. Anche gli altri piatti avevano dei segni come se fossero stati vergati da una mano infantile. Chissà quale significato hanno. Però ora vedo solo i miei piatti col disegno di una calla gialla. Bel mistero! Sembra che queste giornate siano piene di eventi inspiegabili che richiedono una soluzione. Ma chi mi può fornire la chiave di lettura giusta? Credo che dovrò cercarla dentro di me”.
Però non era il solo quesito che continuava a bussare nella sua mente. Era uno dei tanti che meritavano un’indagine e la ricerca di risposte adeguate.
Però doveva eseguire un’operazione, perché quel rumore lo stava distraendo, e, alzandosi dalla sedia, andò a chiudere la porta.
“Chi ha mangiato .. Ma l’ho fatto veramente? Non rammento nulla. Eppure osservando i piatti, sembrerebbe di sì. Chi ha fatto compagnia, a quanto pare, se ne è andato insalutato ospite, lasciandomi piatti da lavare e la baita da sistemare. E poi la cucina come sarà ridotta?” e si avviò lentamente.
Lo spettacolo che si presentava era desolante: pareva che avessero cucinato per un esercito affamato.
“Dunque non eravamo solo in quattro ma .. Ma quanti eravamo in realtà?” si domandò osservando desolato pile di piatti sporchi, tegami coi resti del pranzo, cartacce e residui di cibo in ogni angolo.
Si sedette per fare mente locale da dove iniziare.
“Ma da dove sbucano tutte queste stoviglie? Non mi pare di ricordarne in numero così cospicuo”.
Era intento a riflettere amaramente sulla fatica che lo aspettava, quando udì dei passi che si avvicinavano.
Si voltò verso la porta e vide comparire una donna con una tunica azzurra, legata in cintura con una corda , alla quale era appesa una curiosa B appuntita. Una veste differente da quella dei ricordi.
Il viso gli era sconosciuto e pareva che avesse la sua età.
“Chi sei?” le chiese con cipiglio guerresco, mentre percepiva chiaramente la presenza di altre persone nella sala.
“Non mi riconosci? Sono Angelica. Non fare quella faccia sorpresa. Ci siamo incontrati giorni fa dopo che ti ho medicato la mano sinistra. A proposito come va?”. La prese e l’osservò con cura.
“E’ guarita perfettamente. Dunque Ur può essere cancellato”.
Lui la guardò smarrito, perché parlava una lingua sconosciuta.
“Ah! dimenticavo che possiamo colloquiare solo con la mente” sentì risuonare nella testa.
Continuò a divagare senza dare modo a Pietro di organizzare e preparare una qualsiasi domanda per risolvere tutti i misteri, mentre si guardava intorno, perché la cucina doveva essere rigovernata.
“Siediti mentre io comincio a lavare le stoviglie. Così possiamo chiacchierare un po’ tranquillamente. Dicevo che la mano è guarita perfettamente e posso cancellare il simbolo di Ur” disse mentalmente mentre con gran velocità strofinava, risciacquava e asciugava piatti e bicchieri.
“Ur?” chiese stupito Pietro. “Il simbolo di Ur da cancellare? E da dove? E cosa rappresenta?”.
Un’allegra risata risuonò argentina mentre compariva per incanto una tazza.
“Da qui. Indicava che presto la salute sarebbe stata con te. E la mano è guarita come puoi ben vedere”.
Stava per replicare quando percepì scivolargli accanto due persone.
E un «Oh!» di stupore affiorò sulle labbra.

Amanda 27

Amanda e Alice proseguirono il loro tour per la Londra segreta, ignorando Luca, che avevano abbandonato al suo destino in Trafalgar Square. A piedi, sui rossi bus a due piani, nel tube, il mitico metrò, le due ragazze girarono la città per molte ore, finché stremate si rifugiarono in un pub, a dire il vero non molto raccomandabile, alla ricerca di ristoro.
“Dove siamo finite?” chiese con un filo di voce Alice, guardandosi intorno.
C’erano solo uomini, loro erano le uniche donne del locale. Tutti si voltarono a squadrarle da capo a fondo spogliandole con gli sguardi.
“Non ti preoccupare. Il tempo di un tè e qualche pasticcino e poi filiamo via” rispose Amanda, poco convinta delle sue parole, cercando di rassicurare la compagna. Le scocciava ammettere di avere sbagliato locale e ostentava una falsa sicurezza, che non riusciva a trasmettere con il tono della voce.
“Tè? Pasticcini? Non credo che ne tengano. Vedo solo boccali di birra!” replicò per nulla tranquillizzata, mentre la seguiva al bancone.
“Ho paura!” sussurrò Alice intimorita da quelle occhiate moleste che si posavano su tutte le parti del corpo e soprattutto su alcune in particolare.
Un uomo grezzo con la testa rasta apparve come per magia da sotto il bancone.
“Cosa prendete, mie care fanciulle?” chiese loro con un tono che fece scorrere brividi di paura anche a chi non ne aveva.
“Due tè verdi con qualche pasticcino” rispose asciutta Amanda, pronta a non lasciarsi intimorire dall’espressione sgraziata della voce.
Una risata rozza uscì dalla bocca dell’uomo mostrando una dentatura incompleta e giallastra.
“Due tè?” e rivolgendosi agli altri avventori urlò “Avete sentito, ragazzi?”. Un’altra risata sguaiata risuonò nel locale.
“Forse volevate dire «una pinta di birra rossa». Dico bene, Rossa? Va bene anche per te, Biondina? O preferisci la bionda?” e ammiccò verso una spaurita Alice come se volesse renderla complice dell’espressione inelegante.
Amanda prese la mano di Alice e si girò dirigendosi con passo deciso verso l’uscita. Aveva compreso pienamente l’errore madornale commesso e riteneva opportuno allontanarsi prima che la situazione degenerasse in maniera pericolosa. Si sentiva in colpa verso la compagna per averla trascinata in quel locale. Una cantonata, di certo,  per la scelta effettuata senza pensarci troppo nonostante i vari trilli d’avvertimento che aveva percepito.
“Dove credi di andare, Rossa?” disse l’uomo con una voce poco promettente.
Lei proseguì determinata a uscire dal locale senza badare a nessuno, come se loro non fossero mai entrate. Intendeva svanire nel nulla. La stanchezza le aveva giocato un brutto scherzo, ma adesso era sparita come per incanto. Ragionava lucidamente come venirne fuori indenni dal pub, senza dover ricorrere a qualche artifizio.
“Usciamo. Abbiamo sbagliato locale. Grazie per l’accoglienza” rispose con tono garbato ma determinato a far valere le proprie ragioni, mentre poneva la mano sul battente d’ingresso.
“Rossa, mi sembri scortese non accettando di bere un boccale di birra insieme a noi! Dico bene, ragazzi?” e un coro di si fece eco all’ultima esternazione.
Alice si sentì perduta, perché dubitava che sarebbero uscite senza danni dal locale, ammesso che ci fossero riuscite. Le facce erano sempre più vogliose di fare loro la festa senza che nessuno le potesse difendere. Si guardò intorno con crescente timore, avvicinandosi il più possibile a Amanda che invece ostentava sicurezza.
“Da dove ricava la tranquillità di uscire senza graffi dal pub? Le facce non sono per nulla rassicuranti. Quel bestione dietro al banco sembra incitare le persone a saltarci addosso! E io me la faccio sotto!” rifletteva con l’occhio che denunciava paura e sgomento.
“Non ti preoccupare” le rispose Amanda. “Tra un attimo saremmo sulla strada”.
Alice sul momento non fece caso alla rassicurazione ma ragionando si accorse che aveva espresso solo dubbi mentali senza aprire bocca. Stava per dire qualcosa, quando uno strattone la portò fuori dal locale.
“Cammina svelta senza voltarti indietro. Ancora dieci passi e poi siamo alla fermata del bus, che sta arrivando”.
Alice si mise a correre per restare al passo della compagna e quasi incespicò nel tentativo di salire in fretta sul bus.
Nel pub il banconiere era rimasto a bocca aperta, perché non aveva capito come le ragazze fossero riuscite ad aprire la porta che aveva chiuso elettricamente da dove si trovava prima della loro sparizione.
“Ragazzi ..” cominciò con voce tremante che non nascondeva sorpresa e paura.
“Ragazzi, avete visto come la Rossa e la Biondina siano uscite?”
Un coro di no fece eco nel locale, mentre tutti ripresero a bere e giocare con le freccette, fregandosene dei dubbi dell’uomo.
Alice cominciò a fare lunghe respirazioni per calmare l’affanno della corsa e la paura provata nel pub. La mente sembrava intorpidita dalle tossine dell’avventura mentre lei non riusciva a connettere bene i diversi spezzoni degli ultimi avvenimenti.
Poi lentamente quietò il respiro e calmò i battiti del cuore. Stava tornando alla normalità e con essa a ragionare con maggior lucidità.
Due erano i dubbi. Il primo come Amanda avesse letto con chiarezza quello che stava pensando.
“Non ho aperto bocca anche perché la paura mi aveva incollato la lingua al palato. Eppure ha risposto nella maniera corretta ai miei dubbi. Se non legge il pensiero, è un’intuitiva alla ennesima potenza. Poi quel tocco di magia. Sono dentro al locale e un secondo dopo mi ritrovo al di là della porta sulla strada. Come ci sia riuscita non riesco a capacitarmene”.
“Nessuna magia. Semplicemente siamo state svelte ad aprire la porta” replicò asciutta Amanda senza guardarla.
Alice, rimasta a bocca aperta per qualche istante, replicò che le leggeva il pensiero.
“No, no! Mi basta osservare i tuoi occhi e so con esattezza quello che stai pensando”.
E poi rivolgendosi a una donna di colore accanto a loro le domandò dove erano diretti.
“A Clapham Junction” rispose in uno slang molto particolare.
“Clapham Junction? E dove si trova?” chiese Amanda con stupore.
“Non lo so. Io prendo questo bus e arrivo alla stazione di Clapham Junction. Io sono arrivata. Voi non lo so” replicò con un tono che troncava le possibili domande di rincalzo.
Alice si sentì mancare, perché aveva la sensazione di essersi smarrita. Il nome della località non le diceva nulla. I passeggeri del bus non erano quello che si dice «persone rispettabili». Insomma un mix che sembrava riprodurre la situazione del pub.
“Amanda sta commettendo troppi errori per i miei gusti” pensò in un baleno Alice.
“Calma, Alice. La donna ha detto che arriva in una stazione. Ebbene una volta arrivati prendiamo il primo treno per Londra oppure un black cab, il famoso taxi londinese che pare uscito da una cartolina ingiallita” continuò Amanda.
Lei non replicò sperando che questa volta l’intraprendenza della compagna avesse centrato l’obiettivo.
“Clapham Junction Railways” disse una voce gracchiante.
Le due donne si apprestarono a scendere non senza qualche timore visto l’orario.
“Che Dio ce la mandi buona” recitò in silenzio Alice.
“Speriamo di non fare brutti incontri e di riuscire a riportare in albergo Alice sana e salva” replicò Amanda senza esternare con la voce i suoi dubbi.
Con questi pensieri si immersero nella notte senza stelle in un posto sconosciuto che incuteva più di un timore.
Nonostante l’ottima illuminazione entrambe avevano paura neppure troppo velata, mentre percorrevano le poche yard che le dividevano dalla stazione, vista come un rifugio sicuro.

Amanda 26

“Voci? Risate?” si domandò stupito Pietro, fermandosi a un passo dalla soglia della baita.
Quando era uscito per raggiungere il forno, la casa era silenziosa e non abitata da altri all’infuori di lui. Adesso sembrava che ospitasse un gruppo vociante e allegro dal tenore del volume acustico che percepiva.
Era ancora incerto se proseguire entrando o ritornare precipitosamente da Alice, quando comparve Arianna che indossava una tunica bianca fermata sui fianchi da una cintura di corda con degli strani simboli appesi.
“Ti vedo in forma, Pietro” chiosò garrula prendendogli una mano.
“Vieni con me per aiutare Alice a trasportare il pane appena sfornato”.
Lui la seguì o forse fu trascinato dalla grazia della donna. Alice stava riempiendo dei cestelli col pane ancora caldo che fumava leggermente per la temperatura bassa della giornata.
In silenzio afferrarono i cesti di pane che sembravano leggeri come se il contenuto non esistesse. Pietro si stupì e stava per domandare alle due donne perché le pagnotte non pesano più dell’aria circostante.
“E’ pane magico” rispose Alice troncando sul nascere la domanda appena abbozzata nella mente dell’uomo.
“Ah!” fu l’unico commento mentre portava due cesti pieni di pane con irrisoria facilità.
La stanza al piano terra presentava un colpo d’occhio notevole. Un lungo tavolo occupava la parte centrale, contornato da un nugolo di sedie. Una tovaglia ricamata lo ricopriva, scendendo con abbondanza sui lati. Piatti con simboli strani, bicchieri di fogge singolari, posate d’argento facevano bella mostra insieme a bottiglie e altro.
“Da dove spuntano tavoli e sedie? E poi quei piatti che non mi appartengono da dove escono? Chi sono questi misteriosi commensali? Chi festeggiano così allegri?”.
Erano queste solo alcune delle domande che si stava ponendo, osservando come la baita si fosse trasformata in un ristorante. Aveva ancora i due cesti in mano, quando una ragazza dai capelli rossi e dagli occhi blu si alzò da tavola per afferrarne uno dei due.
“Dammene uno perché ti vedo sofferente per la fatica!”
“Sofferente?” esplose con voce dubbiosa alla richiesta della ragazza.
“Sofferente? Assolutamente no! Sono talmente leggere che ne potrei portarne anche una sulle spalle!” rispose quasi basito con un viso beota per la sorpresa.
“Leggera? Non mi pare! Fatico a sollevarla di un centimetro” replicò strisciando la cesta sul pavimento.
“E tu chi sei?” chiese un Pietro sempre più sbalordito dagli avvenimenti degli ultimi giorni.
“Anthea” rispose con un sorriso che mozzava il fiato.
Pietro come folgorato da un fulmine osservò il lungo tavolo, perché gli sembrava smisuratamente enorme rispetto alle dimensioni che ricordava della stanza. Si chiese se era un’illusione ottica oppure se questa si era ingrandita per magia allo scopo di ospitare quella lunga tavolata.
“Immagino che ognuna di voi ..” mentre osservava quella distesa di capelli rossi che pareva un mare intinto nell’inchiostro al tramonto del sole.
“Immagino che tutti i vostri nomi comincino per A ..” e subito fu sommerso da una valanga sonora di presentazione.
“Agata..” “Amina” “Alma” “Angela” “Agnese” “Alessandra” “Astrid” “Aurora” …
Pietro era sempre più meravigliato. Il pane che non era pane e non pesava un briciolo di grammo, la stanza dilatata nello spazio, un numero di donne non piccolo dai capelli rossi e dagli occhi blu o verdi, i nomi che iniziavano tutti per A. Ce ne era anche troppo per lui per non essere stupito e in confusione. Mentre era fermo nel centro della stanza con ancora il cesto del pane in mano, se lo sentì sfilare dolcemente da Anthea che iniziò a decorare la tavola.
“Cosa si festeggia?” domandò rivolgendosi alle ragazze.
“Il tuo compleanno” risposero in coro.
“I mio compleanno?” replicò disorientato.
“Ma il mio compleanno è il 21 luglio e oggi è il 21 settembre ..”
Un coro di no allegro e confuso lo sommerse e lo gettò nell’ angoscia perché gli sembrava di vivere un sogno che a tratti si trasformava in un incubo per quanto mitigato dalla presenza di tante ragazze. Percepì accanto la presenza di qualcuno che con dolcezza gli aveva afferrato la mano e lo stava conducendo a capotavola.
“Vieni. L e domande riservale per dopo”.
“Ma è veramente il 21 luglio?” chiese mentre si accomodava sulla sedia.
“No! Le ragazze si stanno prendendo gioco di te”.
“Dunque cosa si festeggia?” ridomandò con voce ferma.
Una breve risata risuonò prima di udire le parole.
“Il tuo compleanno!”.
Sconsolato Pietro preferì non replicare.
“I misteri sono troppi e le risposte non ci sono. Il mio compleanno? Bah! Pazzesco! Sono passati due mesi..”
Seduto gli pareva che il tavolo si fosse allungato ancora e il numero di donne coi capelli rossi fosse cresciuto.
“Illusione ottica o la febbre mi fa delirare ancora?”
Accanto a lui c’erano quattro posti liberi: due a destra due a sinistra.
“Chi manca ancora?” si domandò.
Una voce risuonò nella mente «Rilassati!».
“Ci provo ma non ci riesco. Mi sembra un sogno oppure è una realtà?” replicò stizzito a quella voce mentre osservava il piatto che presentava uno strano decoro.
“Sembra una runa. Ma cosa significa?” fu l’ultimo pensiero guardando quel simbolo.

Amanda 25

Luca inseguì le due ragazze senza mai raggiungerle. Sembravano dei fantasmi che attraversavano i muri scomparendo alla vista. Stremato, stanco e anche un po’ affamato ritornò all’hotel sperando di trovarle finalmente lì.
La chiave della stanza era ancora appesa alla reception in bella mostra.
“Dunque non sono ancora tornate” rifletté amaramente mentre una deliziosa ragazza negra gliela porgeva.
“Ha un sorriso che colpisce. Non l’avevo ancora notata. Ma siamo arrivati solo ieri pomeriggio e come avrei potuto!” rifletté rapidamente mentre in lui si risvegliava il galletto italico. In un attimo aveva dimenticato le due compagne di stanza stregato da quei denti candidi che scintillavano sul viso scuro. Si attardò per fare quattro chiacchiere e prima di salire, le chiese dove si poteva mangiare senza essere spennati nelle vicinanze.
“Io fra mezz’ora smonto dal servizio. Se vuoi ti accompagno. E’ sulla strada di casa. Si mangia bene e si spende il giusto. Conosco il cuoco” gli disse con un sorriso complice che non poteva essere scoraggiato.
“Si, volentieri. Sei molto gentile. Il tempo di darmi una rinfrescata e sono da te”.
“Okay. Allora ti aspetto nella hall, se per caso ritardi”.
Luca si precipitò in camera come una furia. Fece una doccia veloce, cambiò i jeans e la camicia, indossò una felpa pesante azzurra con la scritta Fiat e delle Nike oro. Guardò l’orologio, scoprendo con sorpresa che la mezz’ora era passata da un pezzo.
“Acc.. Chissà se mi ha aspettato. Non credevo di perdere tanto tempo per rimettermi in sesto! E poi critico le ragazze che fanno sempre tardi” e si precipitò nella hall. Lei era ancora lì. Gli sembrava una venere ma forse lo smacco patito da Amanda e Alice gliela faceva sembrare ancora più bella di quanto lo era in realtà.
“Ciao. Sono Luca” e le porse la mano.
“Ciao. Annie” e l’afferrò con calore facendosi aiutare ad alzarsi.
Camminarono per Cromwell Rd. in direzione Gloucester Road, restando in silenzio ma tenendosi per mano. Nella testa di Luca si rincorrevano molti pensieri. Era la prima esperienza con una ragazza di colore e si poneva molte domande.
“Come sarà?” si interrogò, dando per scontato che avrebbe passato la notte con lei. Si chiedeva quale effetto avrebbe avuto su di lui quando le sarebbe apparsa nuda e se era vero che odoravano di selvaggio. La mente ormai era fuori controllo, mentre si stava eccitando fuori misura.
“Ma sarà così? Oppure sono solo sogni? Il risveglio sarà sull’ingresso del ristorante. Oppure il sogno continua anche dopo” rifletteva mentre le loro mani erano sempre più unite.
“Mi fai compagnia?” le chiese quasi sussurrando le parole.
“Vorrei ma non posso ..”
“Perché?”
“Vedi, avevo avvertito che sarei tornata a casa stasera..”
“Ecco il telefono” e glielo porse “Puoi telefonare dicendo che rientri più tardi”.
Lei scosse la testa dicendogli che il telefono l’aveva anche lei. Però doveva andare a casa, perché l’aspettava il suo ragazzo.
A Luca crollò il mondo addosso, perché pregustava una serata piacevole con anche un diversivo come dessert. Tutti i castelli che aveva fantasticato stavano franando miseramente mentre lui ritornava sulla terra coi piedi per terra.
“Però se sei libero, domani sera possiamo passare la serata e la notte insieme..” gli disse avvicinando il corpo in maniera inequivocabile.
“E il tuo ragazzo? ..” replicò basito per l’amara scoperta e sorpreso per l’avance del tutto esplicita.
“Domani si imbarca e per sei mesi lo sentirò solo tramite Skype”.
“Ah! Ho capito. Quindi stasera sei impegnata. Peccato, perché ..” e non concluse la frase.
Avevano percorso le quattrocento yard che li separavano dal 68-86 Restaurant ed erano fermi sulla porta.
Luca osservò la facciata scoprendo che era il ristorante del Vanderbilt Hotel, un quattro stelle tutti lustrini.
“Perché?” domandò Annie.
“Perché avevo fatto un pensierino per mangiare insieme e poi trascorrere la serata in un pub nelle vicinanze. Però sei impegnata e quindi ..” concluse amaramente.
La ragazza continuava a tenere la mano di Luca come se non volesse farsela scappare. Quel ragazzo italiano le piaceva, aveva un fascino che l’aveva sedotta fin dalla prima volta che l’aveva visto in giorno precedente al suo arrivo. Però stasera non poteva deludere Dick che alle undici doveva scappare alla stazione di London King’s Cross per non incominciare male i sei mesi di navigazione.
“Però alle undici sono libera e …” le balenò questo pensiero.
Un senso di rimorso le mordeva la carne. Dick usciva dal letto caldo e lei qualche istante dopo lo tradiva con uno straniero del quale conosceva solo il nome.
“No, non posso fare questo. Mi sentieri come una ..” ma subito scacciò la parola dalla mente. Era troppo tentata per lasciarsi intimidire da questi pensieri. Guardò l’orologio del telefono che segnava le diciotto.
“Dunque cinque ore di intervallo. Ma lui avrà la pazienza di aspettarmi?”
Luca percepiva che nella mente di Annie si stava architettando qualcosa nel quale lui era parte in causa. La ragazza gli aveva fatto dimenticare Amanda e Alice, che erano un qualcosa di nebuloso perso tra le mitiche nebbie londinesi. Adesso tutta la sua attenzione era concentrata su questa ragazza di colore della quale ignorava tutto. Non aveva importanza conoscerne di più, perché per lui era un’avventura da raccontare agli amici al rientro condita da qualche particolare piccante nel caso in cui si fosse rivelato un fallimento. Non aveva un minimo rimorso nel pensare questo.
“Chissà cosa stanno combinando Matteo, Enrico e Paolo. Mi sa che stanno andando in bianco. Io invece ..” e la riflessione sfumava mentre osservava in silenzio Annie.
“Deve avere un bel corpo .. e domani sera lo scoprirò, se non cambia idea..”.
Luca ruppe il silenzio chiedendo nuove indicazioni.
“Annie, c’è un pub decente nelle vicinanze? Dopo la cena per non rinchiudermi in camera alle nove, mi vorrei fare una pinta di birra. Naturalmente che sia vicino, perché non mi va di girare per Londra di sera”.
La ragazza rotti gli indugi si propose di vedersi dopo le undici.
“Si c’è un discreto pub dove puoi stare per qualche ora senza essere disturbato o cacciato via. E’ qui a due passi. Prosegui in direzione della fermata della metropolitana, avanti cinquanta yard c’è Stanhop Arms. E’ un pub tipicamente inglese dove si mangia e si beve. Stasera rimane aperto fino alle 23 e 30. Aspettami lì. Ti vengo a prendere” e si allungò sulle punte dei piedi per dargli un bacio prima di sparire di corsa verso un posto a lui sconosciuto.
Luca guardò l’ora e decise di fare una passeggiata fino a Stanhope. L’aria fresca della serata gli avrebbe schiarito le idee.

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Amaqnda 24

Pietro non comprendeva quel «Sono ..» o meglio l’aveva capito benissimo ma quello che gli sfuggiva era il nome pronunciato. Nome e figura del tutto sconosciuta e facevano tre le donne che aveva incontrato in questi pochi giorni. Tre donne differenti per personalità e aspetto fisico. Solo di Arianna sapeva qualcosa in più, mentre le altre erano avvolte nel mistero.
“Sono Alice” ripeté con voce dolce e vellutata quella donna affaccendata a preparare e cuocere il pane senza distogliere l’attenzione dall’attività che stava svolgendo. Ripeté il nome perché Pietro sembrava non avesse compreso bene chi era.
Lui, rimasto in silenzio come se non avesse afferrato pienamente la situazione, si appoggiò allo stipite della porta per osservarla, domandandosi ancora «Chi è?».
Era una figura minuta dall’età indefinita ma riconoscibile dai capelli rossi e dagli occhi verdi. Pensò che potesse avere una decina d’anni meno di lui o forse anche di più ma non aveva certezze. L’aspetto poteva trarlo in inganno perché lui lentamente riemergeva da uno stato di apparente torpore mentale. Notò che non c’era traccia di fili d’argento tra il rosso dei capelli, mentre il viso gli appariva ancora fresco con poche rughe a solcare la fronte. Però non riusciva a classificarla. Scosse la testa perché riteneva inutile spremersi per trovare una risposta che solo lei era in grado di produrre.  
“Ancora una donna coi capelli rossi sta attraversando il mio cammino. Chi è? Perché è nel forno a preparare il pane? Da dove viene? E poi quegli occhi che assomigliano tanto alla mia Amanda. Chi sono queste donne il cui nome inizia sempre per A. Angelica, Arianna e ora Alice. Senza contare quell’Amanda della quale ho letto i diari e visto il simulacro di corpo. Cosa le accomuna? Ma in particolare perché questa curiosa assonanza nella lettera iniziale?”
Erano questi i quesiti che si poneva mentre avanzava cautamente verso il tavolo dove stava il pane già cotto e quello in attesa di essere infornato. Rifletté sulla quantità già pronta e quella ancora in lavorazione.
”E’ di gran lunga superiore alle mie necessità. Qui si sfama una divisione di clochard affamati! A chi sono destinati?” si chiese stupito.
Poi si chiese se era proprio per lui tutto quel pane. Un dubbio circolava subdolo nella testa.
Alice continuava a voltargli le spalle e a lavorare con abilità e destrezza quelle forme rotonde, che si trasformavano sotto le sue mani in croccanti e saporite pagnotte.
“Chi ti manda?” le disse riproponendo la domanda sulla sua identità.
Una risata argentina quasi fanciullesca riempì la stanza mentre col capo gettava indietro una chioma quasi leonina.
Pietro si sentiva stanco e un po’ sfiduciato. La lunga camminata resa difficoltosa dalle incertezze delle gambe aveva fiaccato quel poco di energie residuali che possedeva. Però era il senso di impotenza che lo frustrava, il non sapere cosa stava succedendo intorno a lui che lo rendeva nervoso.
“Prendine una. Sono appena sfornate! Ti darà forza”.
Erano queste le parole che Alice disse come se avesse intuito le difficoltà di Pietro.
“Mangiala e ti sentirai rinascere” lo incalzò nuovamente visto che lui era titubante nell’accogliere il suggerimento, indicando una forma ancora fumante.
Afferrata una pagnotta scura con un spacco centrale e ricoperta di cumino, cominciò a mangiarla. Come per magia dopo il primo boccone si sentiva già meglio, più in forze. Sembrava effettivamente miracolosa per gli effetti che stava producendo in così poco tempo.
“Ottimo” disse con la bocca piena, quasi vergognandosi per la maleducazione dimostrata.
“Hai ragione! Già mi sento già rinato! Le energie sono tornate e le gambe non sono più malferme”.
“Cosa ti dicevo? E’ un pane ricco di miracoli! Eppure eri titubante nell’accogliere il mio suggerimento”.
“Sei per caso una fata buona? Con quale ingrediente miracoloso hai lievitato la farina?”
Una nuova risata argentina e allegra risuonò nella stanza diffondendosi anche nel bosco.
“Perché ridi delle mie parole?” le chiese come per costringerla a rivelare chi era.
Un pensiero fisso continuava a girare per la testa: chi era questa donna e chi l’aveva mandata. E perché sfornava quella enorme quantità di pane.
“Non sforzarti a pensare chi sono e perché sto cuocendo tutto questo pane. Vedrai con i tuoi occhi le risposte. Ricordi i quattro simboli sulla tazza della tisana offerta da Angelica?”
Pietro sgranò gli occhi per lo stupore.
“E chi si ricorda quella tazza!” esclamò basito.
Alice senza mai interrompersi nella preparazione del pane rise come prendersi beffe di lui.
“Non ricordi? La febbre ha fatto svanire la memoria? Dovrò preparare una pozione per riportarla a galla!”
“Perché mi prendi in giro? Tra incubi, sogni e realtà non riesco più distinguere nulla. Sembra una melassa dolce e appiccicosa nella quale ho navigato per molti giorni. Ricordo delle mani bianche e affusolate che mi porgevano una tazza ma dei disegni non ho memoria. Dimmi, dunque. Cosa c’era?”
“Il simbolo di Ur”.
Pietro non cambiò espressione. Quel nome non era associato a nessun simbolo né significato.
“Pertanto Ur ..”
Una nuova risata interruppe la frase.
“La salute presto sarà con te” replicò fermandosi per qualche istante nella preparazione del pane.
Lui aggrottò la fronte come se avesse compreso il significato ma poi pose una nuova domanda.
“La mia salute?”.
“Si, la tua salute. E ora rientra nella baita mentre finisco di cuocere le ultime pagnotte. Ci vediamo là”.
Pietro con un passo più spedito e il portamento eretto si avvicinò all’uscio.
Stranamente udiva delle voci provenire dall’interno. Suoni allegri e spensierati.
“Eppure la baita era silenziosa prima, quando l’ho lasciata. Quale altro mistero dovrò svelare?” ed entrò con passo deciso.

Amanda 23

“Bene” disse Amanda riemergendo su Trafalgar Square “Ora andiamo a visitare la pietra di Bruto”.
Luca si fermò guardandola di traverso. Non aveva molte intenzione di camminare l’intera giornata in giro per la città seguendo le due donne, che sembravano volerlo ignorare. Cosa avesse in mente non lo sapeva neppure lui ma di sicuro al massimo le avrebbe scortate al National Gallery che stava proprio di fronte a loro e poi un tuffo sul prato del St. James’s Park che stranamente era proprio lì vicino, ammirando il laghetto che sta al centro e prendere il sole settembrino di Londra.
“E poi al Cafè in the Crypt, che rimane in zona, si mangia bene e si spende poco. Oggi mi sembra di aver visto sulla lavagna del menù del giorno Homemade soup served with bread and butter, poi servizio di buffet caldo e per finire bread and butter pudding annaffiato con un bicchiere di vino della casa. Nel pomeriggio un salto al pub: o il Prospect of Whitby a Wapping, la famosa Taverna del Diavolo oppure il Myflower, più piccolo e modesto, da dove è possibile godersi la vista del mitico veliero per portò i primi coloni in America, i pilgrim fathers, mi pare”.
Rimasto fermo, deciso a imporre il suo tour, che non aveva ancora esternato, aspettò le reazioni delle due ragazze al suo stare immobile.
Amanda aveva percepito che Luca non aveva intenzione di seguirle nel giro che aveva in mente. Si interrogò se fingere di non conoscere i disegni del compagno oppure no.
“Meglio tenere un profilo basso e far finta di niente” si disse riflettendo.
Fece alcuni passi e poi si fermò girandosi verso di lui, mentre Alice era incerta se proseguire lasciando quel rompiscatole di Luca in mezzo alla piazza oppure ascoltare quello che Amanda aveva intenzione di dire.
“Ha voluto inseguirci, intromettersi tra noi. Ora si comporta come un bambino capriccioso che non vuole più camminare. Ma quanto è str ..” disse in silenzio lasciando l’ultima parola in sospeso.
Si sentiva profondamente irritata per questo comportamento ma non aveva alcuna intenzione di esternarlo pubblicamente.
“E’ meglio stare zitta. Per le parole in libertà c’è sempre tempo”.
Si girò lentamente per osservare meglio i due compagni di avventura che si fronteggiavano in silenzio.
“Non l’ho mai potuto sopportare con quella sua aria di finto snob. Incravattato e vestito come un dandy di buona memoria. Puah! Quello che dirà Amanda andrà sicuramente bene. Spero proprio che lo molli al suo destino perché rischierà di trasformare una giornata piacevole in ansia e tensione continua”.
Mentre Alice faceva tutte queste riflessioni senza lasciar trasparire nulla dal viso, Amanda si avvicinò a Luca in silenzio puntando lo sguardo diritto negli occhi. Sembrava che lo volesse trapassare.
Lui sostenne la vista senza tentennamenti, determinato far valere la propria decisione in merito al tour. Però si domandò per quale misterioso motivo la ragazza aveva percepito che lui era fermamente deciso a non seguirla alla pietra di Bruto.
“Eppure non ho detto nulla. Mi sono limitato a fermarmi alle loro spalle in silenzio. Amanda una frazione dopo mi stava già puntando come se mi avesse letto nei pensieri! E se fosse così? No, no .. non è possibile! Sarebbe una .. mi sfugge il nome. Ma che importa. Ora mi devo concentrare e mantenere calmo, se intendo imporre il mio giro. Ormai è a un passo da me”.
Amanda continuava a guardarlo dritto negli occhi senza mai distogliere la vista su di lui. Era irritata perché Luca aveva compreso le sue intenzioni.
“Il fattore sorpresa è svanito. Devo puntare su altre fiche perché mi sta stancando”.
Fermatasi a pochi centimetri dal viso del ragazzo, lo attaccò decisa a chiarire una volta per tutte che lei non ammetteva deroghe. «La guida sono io». Ecco il messaggio che doveva trasmettere.
“Conoscevi il programma della giornata. Quindi se non ti andava ..” e fece una pausa calcolata per stimolarlo a parlare.
Luca rimase impassibile senza battere ciglio.
“Vedo che sei rimasto senza parole. Muto e incazzato” e senza aggiungere altro si girò voltandogli le spalle.
Lui le afferrò un braccio come per trattenerla ma uno strattone gli fece perdere la presa. In un baleno lei fu accanto a Alice, avviandosi con passo svelto verso la fermata dell’autobus.
“Proviamo l’emozione dei rossi bus londinesi. Così vediamo il panorama scorrere dai finestrini. Volendo in un paio di miglia raggiungiamo il posto a piedi ma ..”
Alice annuì con la testa perché era troppo impegnata a seguirla senza rimanere troppo indietro. Non poteva sprecare il fiato per risponderle visto che la camminata assomigliava, almeno per lei, a una corsa.
Amanda sorrise rallentando un po’ il passo, perché aveva intuito la difficoltà di Alice di restarle accanto.
“Se accelerò rischio di perderla o di raccattarla stremata a terra. Ha la lingua a penzoloni come un cane dopo una lunga corsa. Però non demorde, mentre quello sciocco di Luca non si è ancora ripreso dallo shock di essere stato piantato in asso. Però vedrai che tra non molto l’avremo ancora tra le balle. Non capisco perché si ostini a volerci seguire”.
Mentre Amanda rifletteva e camminava per raggiungere la fermata del bus che doveva condurle in Cannon Street, Luca era rimasto fermo impalato senza parole. Non riusciva a capacitarsi di essere stato mollato dalle due donne. Era la prima volta che capitava. “Ma una prima volta c’è sempre!” rifletteva amaramente.
In effetti era talmente convinto di domarle entrambe che non si era posto minimamente il problema che Amanda fosse capace di tenere quel atteggiamento.
“Dove ho sbagliato?” si chiedeva con un retrogusto di amaro.
“Perché l’approccio ha fallito miseramente?”
E mentre meditava amaramente sul suo insuccesso, si riscosse guardandosi intorno alla loro ricerca. In un baleno erano scomparse dal suo campo visivo come se si fossero volatilizzate. Avrebbe avuto tempo per analizzarne i motivi, adesso doveva organizzare la rincorsa. Dalla tasca posteriore dei jeans tolse un foglio tutto sgualcito dove avrebbe trovato quale era la destinazione, perché non aveva memorizzato cosa aveva detto Amanda uscendo dal Cafè in the Crypt.
“La casa di Cesare? No, no .. parlava di una pietra .. Accidenti .. E’ scritto in inglese! Beh! cosa pretendevi? Dunque .. vediamo .. qui si parla di London Stone .. La pietra di Londra .. Ah! ecco perché ho pensato a Cesare! La leggenda narra che Bruto di Troia .. Dove si trova questa pietra? Cannon Street. E ne so quanto prima! Pazienza al primo Bobby che trovo glielo chiedo”.
E si avvia verso lo Strand, perché quella era la direzione che avevano preso Amanda e Alice.
Un po’ sconsolato e demoralizzato si avvicina a due poliziotti a cavallo per chiedere informazioni.
E ripartì alla caccia delle due ragazze.

Amanda 22

Pietro trascorse diversi giorni tra sogni e sensazioni strane con l’assistenza invisibile di Arianna. Era come sospeso in un mondo virtuale che fluttuava senza sosta tra l’irreale e la concretezza senza che lui riuscisse a porre una barriera tra questi.
Lentamente uscì da questo limbo indefinito nel quale era sprofondato, riacquisendo la capacità di discernere quello che era concreto da quanto era immaginario.
La mano andava migliorando, le forze ritornavano. Pasti leggeri ma sostanziosi erano sempre pronti accanto al letto. Sembrava che fossero sfornati al momento perché non erano mai freddi ma caldi al punto giusto. La barba bianca cresceva spontanea sulle guance. Solamente il tempo sembrava essere impazzito senza che lui percepisse se era giorno o notte. Era tutto un continuo divenire senza una vera distinzione temporale.
L’ennesimo sogno ancora più strampalato di quelli precedenti aveva popolato il suo ultimo sonno. Era talmente contorto e improbabile che lo aveva già cancellato dalla mente quando un raggio di sole gli ferì gli occhi e lo fece girare verso la parete per ripararli.
“Qualcuno ha aperto la finestra” esclamò stordito dalla troppa luce. “E fuori il sole di settembre è alto nel cielo. Forse è già mezzogiorno” e si mise ritto senza l’aiuto di nessuno.
Si sentiva sufficientemente in forze e provò a mettere i piedi per terra.
“Dovrò pure cominciare a saggiare il livello delle mie energie!” disse ad alta voce come per scacciare dei cattivi pensieri.
Con cautela poggiò prima la palma del piede poi l’intero peso del corpo. Traballò come una pila di libri sistemati in bilico sulla libreria pronti a rotolare rovinosamente sul pavimento. Sembrava che dovesse cadere a ogni istante, mentre ondeggiava paurosamente in equilibrio precario. Però riuscì a rimanere eretto. Mosse cautamente un passo, poi un altro e un altro ancora. Adesso camminava più spedito verso la finestra pur avendo ancora dei movimenti ondulatori.
“Sì, riesco ancora a camminare senza cadere. E’ meglio così perché non saprei cosa sarebbe successo” disse a voce alta per ascoltare dei suoni articolati e rinfrancare lo spirito.
Si affacciò e guardò in basso il prato. L’erba non sembrava crescere mai. Rimaneva sempre bassa come se qualcuno la tenesse curata tutti i giorni. Osservò il vecchio abete che maestoso non mostrava il peso degli anni. Ai suoi piedi era cresciuto il maniera spontanea e caotica un folto roveto tra i cui rami occhieggiavano frutti maturi. E il pensiero tornava indietro nel tempo.
“Mi sono sognato oppure è vero che Elisa è ancora in vita?”. E spezzoni di ricordi si accavallarono nella mente.
“Non so il perché ma il profumo del pane appena cotto mi è rimasto impresso nelle narici. Era veramente abile nel prepararlo! Dopo quella stagione effimera ma felice il forno è rimasto spento. Mai più nessuno l’ha riacceso. Sarebbe stato come se profanassi un luogo sacro”.
E guardò verso la costruzione bassa che stava alla sua destra. Ebbe un sussulto. Un filo di fumo usciva dal camino. Qualcuno l’aveva riacceso, mentre il profumo del pane a dorare invadeva la stanza.
“Sto ancora sognando o qualcuno sta effettivamente cuocendo il pane?”
Si domandò chi potesse essere. Lui era solo a parte la compagnia mentale di Arianna, che appariva alle prime luci dell’alba e svaniva nel crepuscolo della sera. Angelica gli era apparsa una volta sola in occasione della rovinosa caduta. Amanda, sua figlia, era lontana. L’altra Amanda, che aveva conosciuto molti anni fa, era un fantasma senza corpo.
“Chi sta preparando il pane? Con quali ingredienti?” si domandava stupito.
“Eppure il profumo è inconfondibile e il fumo è reale”.
Si concentrò nella speranza di conoscere il volto di chi stava nel forno. Però un disturbo gli impediva di materializzarne le forme. Qualcosa di anomalo aleggiava nell’aria. Una sensazione di un pericolo incombente ostacolava, interferiva la visione.
“Cos’è?” si chiese confuso.
Ricordava vagamente di aver ascoltato delle parole che lo mettevano in guardia per la presenza di forze oscure e pericolose che lui non era più in grado di dominare e scacciare.
“Chi è stato a dirlo? I sogni si sono susseguiti senza interruzione e la realtà si è mescolata alla fantasia. Non ricordo nulla, ma solo questa avvertenza”.
Come il sole faticava a perforare la cortina di nubi, così Pietro si sforzava di scacciare queste sensazioni negative.
Chiuse la finestra allontanandosi per scendere al piano terra. Con passo malfermo e incerto si apprestava ad affrontare le scale tenendosi allo corrimano.
Adesso la mente era più lucida mentre lentamente si formava l’immagine. Quello che gli apparve lo lasciò sbalordito. Una nuova figura femminile era apparsa del tutto diversa da quelle precedenti.
“Chi sei?” domandò curioso.
“Come ti chiami?”
Però lei sembrava muta e impermeabile alle sue domande.
“Eppure la figura era nitida e chiara senza ombre o sbavature. L’aspetto era minuto come se fosse un’adolescente. Gli occhi erano blu come quelli di Amanda, il fantasma, Elisa, Arianna. Una vera stranezza che lo lasciava perplesso. Solo sua figlia, l’altra Amanda, aveva gli occhi di un colore diverso, che variava con la stagione e il tempo. Dalla madre aveva ereditato quella chioma rossa e quel viso chiaro chiazzato di minuscole efelidi. Dell’altra Amanda aveva notato come assomigliasse a Elisa. Sembravano due gemelle. L’unica figura femminile della quale non conosceva il volto era Angelica. Aveva intravvisto solo il corpo e neppure per intero. Però la nuova immagine gli diceva che non era lei.
“Chi è dunque questa donna o ragazza della quale intravedo solo il corpo e il colore dei capelli?” diceva dentro di sé mentre cautamente scendeva i gradini.
E passo dopo passo raggiunse il forno e si fermò incredulo.
La figura era una donna reale e non immaginaria.
“Chi sei?” le chiese con dolcezza.
Lei si voltò e disse sorridendo “Sono ..”

Amanda 21

Amanda poteva usare i suoi poteri di sparire o far comparire gli oggetti, ma voleva essere esattamente come gli altri senza magie o colpi a effetto. Così il depliant del secret tour di Londra lo aveva scovato tra centinaia di opuscoli pubblicitari nella hall dell’albergo lasciandolo sul tavolo per Luca.
“Seguimi, Alice” le disse trascinandola nel tube per raggiungere Trafalgar Square senza altre spiegazioni.
Alice trottava felice e sorpresa dietro Amanda. La vedeva come un leader che trascina le folle. E lei rappresentava tutte quelle persone che seguono il capo. Non si poneva problemi dove stesse andando e perché fossero dirette lì.
“Ma dove?” si chiese mentre le porte della metropolitana si chiudevano alle sue spalle.
Stazioni e fermate si susseguivano veloci mentre lei era raccolta sui suoi pensieri.
“La seguo e basta. Amanda sa dove deve condurmi e la meta mi sta bene. Qualunque sia. La seguirei anche se mi trascinasse all’inferno! Ma se la perdessi di vista non saprei nemmeno sono. Ho preso il tube ma quale? Poi siamo scese in un posto .. Il nome della stazione mi suonava familiare. Mi ricordava un libro o forse un film o che ne so! Piccadally? .. Forse. Non importa! L’ho seguita e basta su un’altra linea. Una fermata e fuori all’aria aperta! Il nome, questa volta, me lo ricordo: Charing Cross. Non so il perché ma questa l’ho memorizzato. Se dovessi rifare il percorso inverso, forse finisco a Clapham Junction oppure nei bassifondi di Londra”.
Mentre questi pensieri le sfioravano la testa e i nomi le rimbombavano familiari, non perdeva di vista Amanda che la stava conducendo in un luogo aperto dove spiccava nel centro un’alta colonna e una fontana.
Camminavano spedite attraverso l’immensa piazza. In realtà Alice arrancava sorridente stentando a tenere il passo della compagna. Però si sentiva leggera come se camminasse sulle nuvole che solcavano il cielo. Trafalgar Square era animata come al solito. Turisti con naso in aria a cogliere i particolari degli edifici che facevano da corona. Compassati e algidi londinesi che passavano veloci senza prestare attenzione a nulla, immersi solo nei loro pensieri diretti allo Strand o alla City.
Amanda si fermò sotto l’obelisco di Horatio Nelson, alzò gli occhi al cielo e poi si guardò intorno alla ricerca della chiesa di St. Martin’s, che era il primo obiettivo del tour.
Alice rimase in silenzio, osservandola con attenzione. Quella figura femminile l’attirava incredibilmente. Non aveva mia sospettato di avere queste inclinazioni.
“Ma che me ne importa1 Sto bene con lei e ha un carisma veramente eccezionale. La seguirei in capo al mondo” e si tuffò nuovamente nell’immagine che le vedeva sole e per mano.
“Cosa cerchi?” le chiese con dolcezza col timore di spezzare quell’aura incredibile che era scoccata tra loro.
“Ecco! Là la nostra meta. St. Martin’s in the field! Vieni, andiamo a fare colazione” replicò seccamente ma con garbo e si diresse verso l’angolo a  nord est della piazza.
Alice rimase ferma e perplessa all’idea di fare colazione in chiesa.
Amanda fatto qualche passo si fermò voltandosi perché aveva percepito che la compagna era rimasta basita.
“Vieni” e allungò una mano come per trascinarla verso sé.
Alice si mosse con lentezza. Si sarebbe aspettata di tutto ma il solo pensare di entrare in una chiesta per il breakfast la sconvolgeva.
“Dovrò confessarmi prima della comunione? Sono anni che non la faccio! E poi come mi confesso? In italiano, latino o inglese? Io il Padre Nostro lo conosco solo in italiano. Vale lo stesso?”
Era immersa in queste riflessioni quando sentì la mano di Amanda prendere la sua e la risata allegra quasi di scherno.
“Ma no! Cosa hai capito? Nella cripta della chiesa c’è uno dei migliori posti per fare colazione, prendere il tè e mangiare qualcosa. Se vuoi confessarti prima, nessun problema” replicò sorridente mentre la trascinava con sé.
Alice era ancora più stupita, perché non aveva espresso ad alta voce le sue preoccupazioni e i suoi dubbi.
“Ma leggi nel pensiero delle persone?” chiese titubante quasi imbarazzata.
“Sì! Ma non crederci! Mi è bastato leggere le rughe del tuo viso per comprendere quali timori attraversavano la tua mente. Ho tirato a indovinare”.
Amanda si era salvata in extremis con questa battuta apparentemente vera. In realtà aveva letto chiaramente quali dubbi attraversano la mente di Alice.
Mentre dicevano questo, erano arrivate all’ingresso della cripta per scendere nel caffè. Stavano spingendo l’uscio per entrare, quando la voce di Luca un po’ trafelata le fermò.
“Aspettatemi!.
Amanda lo vide distante una decina metri rosso in viso e ansante per la lunga rincorsa. Un moto di stizza guizzò veloce sul suo viso, avrebbe preferito che avesse tardato ancora un po’. Non credeva che fosse stato così svelto a inseguirle.
Ora che c’era non doveva mostrare il suo disappunto. Un largo sorriso di circostanza illuminò il viso rendendo ancora più brillanti quegli occhi blu.
“Benvenuto” e tenendo aperta la porta li fece passare.
Scesero al piano di sotto nella cripta di St. Martin’s accolti dall’atmosfera magica del 18 ° secolo. Stavano scoprendo il Café in the Crypt, un luogo magico dove londinesi e turisti non mancavano mai di fare una visita per una tipica colazione inglese o passare il pomeriggio gustando il tè. Alla sera era possibile cenare avvolti in quell’aria tipicamente di Londra con piatti preparati al momento, utilizzando ove possibile gli ingredienti di provenienza locale, a un prezzo puramente simbolico. Per questo non c’erano mai posti vuoti.
Mentre si sistemavano in un tavolo d’angolo sotto le ampie volte, Amanda mise da parte il menù e disse che lei ordinava la specialità della casa con un tè.
“E’ quale sarebbe la specialità?” chiese curiosa Alice, mentre Luca era ancora stravolto dalla lunga rincorsa.
“Cumberland sausage, Northamptonshire black pudding, scrambled eggs e apple crumble, servita con abbondante crema pasticcera” rispose pronta.
“Ma non hai letto il menù! In cima recita che essendo tutto preparato con ingredienti freschi e locali, la lista è puramente indicativa! Come fai a sapere che ..”
Amanda si morse le labbra per non essere riuscita controllarsi e alzando gli occhi vide un cartello scritto a mano appeso a una colonna.
“Ecco!” replicò indicando col viso il menù in bella mostra.
“Hai la vista lunga! Io non mi sono ancora ripresa dalla magia del posto e fatico a inquadrare ogni particolare!” dichiarò arrossendo Alice.
Un cameriere discretamente si posizionò accanto al loro tavolo pronto a raccogliere le ordinazioni.
“Cumberland sausage, Northamptonshire black pudding, scrambled eggs e apple crumble with lashing of custard. Yellow tea”.
“Anche per me!”
Luca che si stava riprendendo diede un’occhiata distratta alla lista e ordinò pomodori freschi e toast con caffè.
“Caffè? Qui è un surrogato nero! Un intruglio che non odora nemmeno!” disse ridendo Amanda in faccia a un allibito Luca.
“Il tè non mi piace..” borbottò contrito. “Cosa dovevo ordinare?”
“Una birra! Un bella birra rossa!”
“Non reggo l’alcol!” replicò ancor più mortificato.
“Ma che uomo sei? Funzioni solo con l’acqua!” aggiunse suscitando l’ilarità di tutti e tre. Il clima si era scaldato con queste risate che suscitarono la disapprovazione degli altri clienti.
Amanda frenò l’ilarità che le sue affermazioni avevano innescato e sottovoce nell’attesa della colazione descrisse come i proventi delle vendite erano per il sostegno della chiesa.
“Qui tutto è business!” concluse ridendo ma in maniera appena percettibile

Amanda 20

Pietro aveva perso il senso del tempo. Non sapeva nemmeno se era giorno o notte. L’unica certezza era che stava nel proprio letto e aveva la mano sinistra fasciata e steccata che gli doleva in maniera esagerata. Si sentiva spossato, debole e affamato.
“Da quanti giorni non mangio?”
Udiva il brontolio della pancia che reclamava qualcosa. Anche le labbra sembravano secche, ruvide e riarse dalla sete. Cercò con gli occhi se c’era un po’ d’acqua ma vide solo contorni sfocati. Così decise di alzarsi alla ricerca di qualcosa per dissetarsi e sfamarsi.
Provò ad mettersi eretto, ma una mano lo ricacciò sdraiato. Tentò una seconda volta, ma nuovamente venne respinto sul cuscino.
Girò gli occhi alla ricerca della figura che si opponeva affinché lui potesse alzarsi.
“Perché?” si chiese ad alta voce. “Perché non posso alzarmi? Chi me lo impedisce?””
“Sei troppo debole per scendere al piano terra. Non saresti in grado di affrontare le scale né in discesa né tanto meno in salita. Rischieresti solo di produrti dei danni. Cosa vuoi che ti porti? Acqua? Pane? Oppure ..”.
La voce l’aveva già ascoltata ma era in sogno. Almeno questa era l’impressione. Si domandò se era stato effettivamente una visione onirica o solo immaginazione legata alla febbre. Si sentiva smarrito e confuso. Dalla caduta lungo il sentiero che portava alla baita tutto appariva irreale come un’immensa fantasia scaturita da una mente malata.
“Sei Arianna?” domandò scavando nella matassa dei ricordi.
“Mi sei apparsa in sogno pochi istanti fa. Sei minuta e coi capelli bianchi ..”.
Una risata quasi stridula riecheggiò nella mente.
“Dunque non sei Arianna? Allora chi sei?” replicò mentalmente con un pizzico di angoscia. Ormai aveva compreso che per visualizzare le persone che lo stavano aiutando doveva ricorrere al dialogo mentale. Però nessuna immagine gli era apparsa nonostante che si fosse concentrato sulla voce che stava ascoltando.
Una nuova risata risuonò acuta nella mente.
“Certo che sono Arianna! Ma non sono minuta e non ho i capelli bianchi. Come hai potuto immaginare una visione così da vecchia? Non mi vedi?”
Pietro si concentrò, ma lo sforzo lo stava prostrando.
“Vorrei vederti ma non posso. Mi sento debole e senza forze. Non riesco mettere a fuoco la tua immagine”.
“Cosa vuoi che ti prepari? Un caffè oppure un thè caldo con brioche e biscotti?” replicò quella figura ammantata dal riserbo.
“Caffè con biscotti. Anzi portami tutta la scatola. Ho fame. Ma non riesco ancora a vederti …” ma nessuna risposta gli giunse. Adesso era tutto silenzio interrotto solo dal ritmico pulsare dei polmoni.
Poco dopo percepì il rumore caratteristico della moka, che borbottava mentre stava eruttando un liquido nero e denso. L’odore del caffè era inconfondibile e saliva lungo le narici come uno stimolo a svegliarsi. Avrebbe voluto alzarsi, aprire le imposte, fare entrare luce e aria nella stanza ma preferì aspettare il ritorno di Arianna.
“Perché non riesco a visualizzarla? Eppure in sogno.. ma era effettivamente un sogno visto che afferma di non essere minuta e coi capelli bianchi? Ma forse l’ho vista da vecchia? In proiezione futura?”
Era immerso in questi pensieri quando percepì senza poterla osservare la presenza amica.
“Chi sono Angelica prima e Arianna poi? Quali poteri magici hanno?”
“Non affannarti con delle domande sciocche” riprese la voce a martellare la mente “Saprai tutto e senza fatica. Adesso mangia qualcosa e bevi questo caffè caldo bollente”.
Mentre sorseggiava il caffè e masticava un biscotto secco provò a riflettere su quelle immagini che ancora turbinavano nella testa. Dedusse che sicuramente era stato un sogno, perché ricordava bene la data odierna: era 15 di settembre o almeno era l’ultima che aveva in mente. La visione era di una giornata di agosto calda e afosa, mentre lui si vedeva vecchio e stanco.
“Dunque una fantasia proiettata nel futuro! Ecco perché ho visto Arianna invecchiata come lo ero anch’io!”
Un leggero bussare lo distolse da questi pensieri.
“Riposa la mente. Ne avrai bisogno”.
“Adesso ti vedo! Sei diversa dall’immagine che ho conservato in un angolo della mente! Hai capelli neri corvino, lisci e cadenti sulle spalle. La figura mostra una ragazza giovane ..”
“Ah! Ah! non correre troppo con la fantasia! Non sono poi così tanto giovane! Magari .. solo apparenze”.
“Ma anche tu hai gli occhi blu! E assomigli a ..”
“A chi? Elisa? Ma lei ha i capelli rossi! ..”
“Dov’è Elisa? Sento la sua mancanza. Anzi sono trent’anni che soffro perché lei non è al mio fianco..”
“Non lo so. Ma è da qualche parte. Elisa è mia sorella..”
“Dunque sei la zia di Amanda!” esclamò mettendosi a sedere di scatto.
“E quasi ..” senza riuscire a concludere il pensiero. Arianna con dolcezza posò le mani sul petto e lo risospinse a sdraiarsi.
Lei si morse le labbra in segno di disappunto. Non doveva lasciarsi coinvolgere emotivamente e riferire questi dettagli. Ci sarebbe stato tempo per rivelarli.
“Perché ho detto questo? Ormai mi sono lasciata sfuggire questo particolare e non posso porre rimedio. Da questo momento dovrò fare attenzione a non svelare altro in anticipo sui tempi” rifletté amaramente, osservando Pietro che era entrato in agitazione a questa rivelazione.
“Tranquillo, Pietro, tranquillo. Non agitarti perché sei troppo debole fisicamente. Sì, Amanda è la mia nipote prediletta ma non so dove sia. Non chiedermelo. Non saprei cosa risponderti. Adesso riposa. Se hai bisogno di qualcosa mi puoi cercare col pensiero” e sparì dalla mente.
Pietro era in subbuglio. La notizia che Elisa fosse ancora viva aveva messo in moto gli ingranaggi dei ricordi. Lui la ricordava col viso sorridente dove spiccavano due grandi occhi blu e incorniciati dai capelli rossi.
“Elisa” mormorò mentre scivolava nel inconscio. “Elisa, dove sei? Perché sei sparita dalla mia vita?”
E con quest’ultima domanda chiuse gli occhi e cominciò a sognare di nuovo.