Capitolo 41

Giacomo stava nel letto con Eleonora che si stringeva a lui. Era infastidito e leggermente infuriato per quello che era avvenuto durante la cerimonia. Se l’avesse saputo in anticipo, non ci avrebbe condotto Isabella. Su questo punto non aveva il minimo dubbio, anche se non conosceva la donna troppo a fondo.
“Non c’è mai stato molto affiatamento tra noi ma ho provato più che un pizzico di gelosia verso Isabella. Alla fine è pur sempre la mia consorte” rifletteva adirato, mentre la ragazza lo baciava sul collo, senza che lui desse segni di attenzione, rimanendo rigido e freddo.
“E’ stata magnifica Madonna Isabella” disse all’improvviso, rompendo un silenzio carico di tensione. “La cerimonia delle lampade è stata un successo. Negli ultimi quattro anni, da quando mi hanno affidato l’organizzazione, mai la festa ha raggiunto il livello di emotività di stasera. E’ stato tutto così naturale e spontaneo che ha rapito gli animi di uomini e donne”.
“Per gli uomini ci credo pienamente. Madonna Isabella avrebbe resuscitato anche un morto per come si è comportata. Ma le donne ..” esclamò Giacomo visibilmente adirato e contrariato, che a stento reprimeva l’ira.
“Madonna, volete spiegarvi?” aggiunse qualche istante più tardi con un tono duro e freddo.
“Messere, questa è una cerimonia vecchia di mille e cinquecento anni e forse più ..”.
“Sarà anche vecchia ma gli uomini se la sono spassata..”.
“Dovete sapere che, dove sorge la chiesa di Santo Stefano a Bologna, prima stava l’altare di Iside e il 12 di agosto di ogni anno si celebrava la cerimonia delle lampade ..”.
“Ebbene che nesso c’è con lo spettacolo indecoroso al quale ho assistito stanotte senza poter far nulla per Madonna Isabella?” replicò stizzito.
Eleonora continuò la narrazione ignorando l’interruzione di Giacomo, che comprese che doveva rimandare le spiegazione al termine.
“Il tempio era governato da un sacerdote anziano e da giovani sacerdotesse. La sera del 12 agosto attendevano l’arrivo del buio dinnanzi alla statua di Iside, la grande protettrice della vita, in grado di resuscitare Osiride, il suo sposo. La cerimonia iniziava al tramonto con il sacerdote avvolto in una tunica di lino bianco immobile davanti alla dea, mentre le sacerdotesse agitavano il sistro e gli altri sacerdoti tenevano in mano delle lampade a forma di piroga spente. Quando la luna era alta sul cielo un rullo di tamburi avviava la cerimonia dell’accensione delle lampade. La luce vinceva le tenebre e permetteva la resurrezione della vita. Sulle rovine del tempio venne costruita la chiesa, quando il cristianesimo si impose ma il culto di Iside rimase nell’ombra e continuò nei secoli successivi tramandati di generazione in generazione dalle donne di famiglia, che ne erano le custode e al tempo stesso le sacerdotesse del tempio. Loro dovevano agire di nascosto per sottrarsi alla chiesa cristiana e per non finire bruciate come streghe. La bisnonna Donnina Visconti fuggì da Bologna a Ferrara col figlio Giovanni per sottrarsi alle faide tra i Bentivoglio e i Piccinino. Si stabilì in questa dimora e trasportò qui il culto di Iside. Ogni anno un sacerdote viene in gran segreto nella Diamantina per la cerimonia delle lampade. Passò il testimone alla nipote Bianca Bentivoglio, quando la accolse presso di sé come dama di compagnia, l’organizzazione della cerimonia, trasmettendole tutti i segreti. Lei è mia madre, che è convolata a nozze col conte Antonio Brasavola. Cinque anni fa partecipai alla mia prima cerimonia dopo un lungo periodo di addestramento. L’anno successivo preparai e curai la mia prima cerimonia, poi mia madre lasciò tutte le incombenze a me, perché si sentiva vecchia ..”.
“Ho ascoltato in silenzio la tua narrazione. Ora è il tempo delle domande” disse Giacomo ancora innervosito dagli avvenimenti che avevano avuto al centro sua moglie.
“Cosa vuoi sapere?” chiese Eleonora mentre beveva da una coppa dell’acqua fresca.
“Madonna Isabella è stata drogata ..”.
“No, Messer Giacomo. Era una pozione magica ..”.
“Sarà come dite voi, Madonna, ma era incapace di intendere e volere. Ha subito tutti gli amplessi senza proferire una parola ..”.
“Però ha inarcato la schiena e ha fatto gemiti di piacere. Non credo che non sia rimasta soddisfatta. Provava godimento e passione ..”
“Ve lo concedo, Madonna ma mi ha infastidito il fatto. Anzi ..”.
“Vi siete rifiutato di unirvi a lei” replicò seccata.
“La preferisco cosciente. Ma ditemi. Cosa simboleggia l’unione carnale con la cerimonia? Non vedo collegamenti a parte fare sesso ..”
“Il ritorno alla vita di Osiride. Tutti gli uomini che hanno fatto sesso rappresentavano il ritorno del consorte che si unisce con la moglie. Lei incarnava Iside”.
“Sarà ma non siete convincente, Madonna Eleonora. Però potevate avvertirmi quale sarebbe stato il ruolo della mia consorte. Ma negli anni passati come procedevate nella scelta?”
“All’inizio era una ragazza vergine e di buona famiglia, che veniva preparata dalla sacerdotessa, ma poi .. E’ diventato sempre più difficile trovare una fanciulla adatta al ruolo. Deve avere un certo comportamento da consentire alla cerimonia di svolgersi come l’avete osservato stanotte. E Madonna Isabella è stata perfetta senza che nessuno l’abbia istruita. Si è calata nella sua parte in maniera spontanea e naturale come se fosse veramente Iside. Se ve lo avessi preannunciato, credo che avreste rinunciato ad accompagnarla.” rispose sospirando.
“Certamente ci avrei pensato su due volte. Comprendo anche le difficoltà nel trovare la donna giusta. Sono diventate sempre più rare”.
“Lo scorso anno fu un disastro. Abbiamo dovuto ricorrere a una delle mie serve. Nonostante avesse provato in precedenza è rimasta sempre fuori dal ruolo. Ha creato un clima di disagio. Quest’anno invece ..”.
Eleonora tacque e si strinse a Giacomo mentre gli accarezzava il petto.
“Vi prego. Convincete Madonna Isabella per il prossimo anno. E’ stata perfetta, sublime. Sembrava veramente Iside. Un comportamento regale. Se voi non aveste rinunciato ad accoppiarvi con lei, avreste capito come era permeata nel ruolo. Vi assicuro che ho ascoltato i commenti e tutti erano d’accordo. Sembrava una dea in grado di resuscitare i morti . Non solo in senso metaforico. Vi invidio”.
“Può darsi che quello che affermate sia vero, Madonna. Ma ho assistito a uno spettacolo che mi ha innervosito. Dovete capirmi. Se non avessi visto .. il solo pensiero non mi avrebbe creato ..”.
La ragazza gli sfiorò la guancia con la mano.
“Se non è gravida, vedrò e penserò alla vostra richieste ..” continuò asciutto allontanando la mano della ragazza con moto di fastidio.
“No, non rimarrà gravida. Non è mai successo in mille anni e non succederà nei giorni a venire. La pozione che il sacerdote le farà bere funziona benissimo contro questo pericoloso incidente. Non ricorderà nulla salvo che una sensazione di leggerezza. E’ scivolata lieve sulle acque del Nilo raggiungendo la beatitudine dei sensi. Ma ora basta di queste chiacchiere. Pensiamo a noi. La notte è volata via”.
Giacomo era duro come il ghiaccio ma la ragazza usò argomenti persuasivi fino a farlo sciogliere come il burro al contatto col fuoco.
Il sole era alto sull’orizzonte, quando Giacomo avvertì una presenza diversa nel letto.

Capitolo 40

A Isabella l’uomo sembrava più vecchio di lei, perché aveva notato capelli e barba grigi. Però non ne era certa per via della scarsa illuminazione. Era alto di statura, molto più di lei, di questo ne era sicura, perché aveva una corporatura minuta e bassa. L’aspetto era di una persona imponente e ieratica, che incuteva soggezione più che paura. Il vecchio, come l’aveva battezzato in assenza di un nome, indossava una tunica bianca a sacco che gli copriva anche le braccia. Due mani bianche, lunghe e affusolate fuoriuscivano dalle ampie maniche. Si sedette in silenzio alla sinistra della donna e fece un cenno col capo a un misterioso dominus. Si chiese a chi era diretto quel messaggio silenzioso. Non era riuscita a indovinarlo.
“Che significato ha quel gesto misterioso?” si domandò curiosa e nel contempo preoccupata perché non comprendeva cosa stava succedendo.
L’uomo si alzò e con voce forte e possente pose una domanda alla comunità che lo stava ascoltando senza quasi fiatare.
“Chi è la prescelta? Dov’è la giovane fanciulla vergine e pura, regina della festa?”.
Ci fu uno scoppio di ilarità contagioso, che ruppe il solenne silenzio., come se la battuta fosse uno scherzo del destino e non una domanda seria
“Una giovane fanciulla vergine e pura? Semplice utopia, maestro! Forse una bambina lo è ma qui non ci sono bambine. Lo eravamo forse appena nate ma la verginità ora è un lontano ricordo” replicò una voce femminile. Un nuovo scoppio di risate accompagnò la boutade.
“Allora chi è la prescelta per la cerimonia?” ridomandò quello che avevano chiamato maestro. Tutti come se fossero stati comandati da un misterioso filo alzarono il braccio verso Isabella.
“Ecco l’eletta” replicò volgendosi di lato e prendendole la mano per mostrarla a tutti. “Si dia inizio alla festa” disse mentre si sedette senza lasciarla. Due servi le posero sul capo una ghirlanda di fiori profumati come simbolo della regalità.
Lei rimase perplessa, perché era stata designata sulla base di qualche motivo oscuro e del tutto sconosciuto a lei. Le parve una decisione presa a sua insaputa con un rituale che giudicava singolare. Non comprendeva il significato di quella incoronazione e dei motivi per i quali sedeva accanto al cerimoniere. Forse avrebbe capito più avanti cosa si pretendeva da lei e quale ruolo avrebbe ricoperto nella cerimonia. Un attimo di ansia e paura attanagliò la mente ma subito si rassicurò, perché, se ci fosse stato qualcosa di pericoloso, Giacomo l’avrebbe protetta.
Uno squillo di trombe e un rullo di tamburi avviarono la festa.
I musici allietarono gli invitati, mentre i servi erano affaccendati a servire i commensali. Piatti scarsi e poveri, molta acqua e poco vino. La luna rossa salì verso il cielo impallidendo mentre illuminava il giardino coi suoi raggi sempre più luminosi. Le luci erano appena soffuse, lasciando i visi e spazi in ombra.
Isabella mangiò con calma lo scarso cibo che tuttavia era gustoso e raffinato, domandandosi i motivi di tanta parsimonia. Ai convivi ricordava vivande e libagioni in abbondanza, anzi fin troppo. La curiosità si faceva largo dentro di lei. Prima quella strana domanda del tutto inutile e retorica, poi l’indicazione caduta sulla sua persona, lei che era sicuramente la più anziana del gruppo e non era una fanciulla vergine e pura da molto tempo. Infine un convivio che assomigliava più a una cena di quaresima che a un convito estivo. Erano tutti motivi di riflessione per Isabella.
“Cosa riserverà il resto della serata? E in particolare a me. Messer Giacomo ha parlato di una festa. Questo vecchio di una cerimonia. Per il momento ho quasi digiunato con scarse libagioni come se tutto dovesse seguire un preciso copione di astinenza. Il mio consorte l’ho intravvisto fugacemente senza che si mostrasse apertamente, come se si volesse nascondere. Forse non vuole dimostrare interesse verso me e mettermi in imbarazzo. Certamente dama Eleonora che sta di fronte a lui è una bella donna, giovane e piacente, che farebbe impazzire qualsiasi uomo. Dovrò gareggiare duramente con lei per riconquistare i favori del mio consorte, anche se messer Giacomo dice che non è nulla per lui. Però è qui e non mi ha degnato di uno sguardo”.
La luna raggiunse lo zenit mentre i suoi raggi rendevano più visibili oggetti e persone, ricoprendoli di una patina d’argento.
Notò che il vecchio aveva fatto un movimento circolare col capo come per dare inizio a qualcosa. Non comprendeva cosa sarebbe avvenuto tra qualche istante, finché silenziosi due paggi vestiti con una tunica bianca non l’affiancarono e le fecero segno di seguirli. Isabella era incerta ma l’uomo le prese la mano facendola alzare.
Raggiunse un’ampia sala dove stava un immenso letto a baldacchino e due poltrone. In silenzio la spogliarono e cominciarono a cospargere in ogni punto del corpo ungenti e creme profumate. Provava brividi di piacere ma anche imbarazzo perché quelle mani maschili la toccavano e la frugavano senza ritegno. Pur non essendo la prima volta che le capitava, in questa occasione provava un misto di impaccio e piacere e doveva mordersi il labbro per non lasciarsi sfuggire gemiti di passione, mentre il rossore colorava le guance. Indossata una tunica bianca di lino e infilati dei calzari leggeri di foggia orientale, adesso era pronta per tornare tra i commensali.
Ripreso il posto a capotavola, osservò che molti degli invitati indossavano una veste simile alla sua e a quella del vecchio, mentre altri si avviavano verso la casa. Isabella si chiese nuovamente per quale motivo tutti indossavano un identico abito Nessuno diceva nulla, tutto si svolgeva in silenzio senza musica o suoni e con la sola luce lunare. Immersi un’atmosfera rarefatta e singolare, gli altri parevano sereni e rilassati, almeno questo era la sensazione che provava. Le donne avevano in mano uno strano oggetto, che emetteva dei suoni particolari, a forma quadrata con delle lame. Piccoli bagliori argentati brillavano nel buio. Era agitato senza una sincronia particolare mentre il timbro era indistinto e non assomigliava a nessuno strumento musicale che conosceva.
“Quale valore simbolico ha questo agitare uno strumento musicale da parte delle donne?” si chiese, comprendendo che la cerimonia stava prendendo il via. Un rullo di tamburi accompagnò l’ultimo commensale che riprendeva il suo posto. Le luci erano spente, la luna illuminava la scena. Sulla tavolata spoglia e ricoperta da una tovaglia bianca c’erano strani luccichii come piccoli bagliori. Gli unici suoni erano quelli provenienti dallo strano oggetto che agitavano incessantemente le donne.
Isabella si osservava intorno sbigottita e impaurita per l’atmosfera magica carica di tensione.
Il vecchio sollevò una coppa che brillava sotto i raggi lunari, alzandosi in piedi. Notò la presenza di una uguale dinnanzi a lei, mentre l’uomo senza proferire parola la invitava col capo a sollevarla. Quando lo fece, anche gli uomini eseguirono il medesimo gesto, mentre le donne continuavano a muovere quell’oggetto che brillava argenteo.
Si chiese se doveva berne il contenuto, incerta sul da farsi. Questa strana cerimonia le dava sensazioni non ben definite e le metteva una certa angoscia. Tutti erano in attesa che lei lo vuotasse e aspettavano solo questo momento. Appoggiò incerta le labbra sul bordo metallico freddo. Il liquido le appariva di colore grigio argento. Sorseggiò diffidente ma aveva un gusto gradevole che le scaldava la gola. Vuotò il calice e lo levò istintivamente verso la luna. Tutti compirono il medesimo gesto quasi all’unisono.
Percepiva strane percezione, mentre un calore saliva dallo stomaco al viso. Le paure svanirono, l’euforia le contagiò la mente. Le sembrò di essere diventata lieve come una piuma, poi tutte le luci si spensero.
“Hanno spento le luci o sto svenendo?” si chiese in un attimo di lucidità, mentre sentiva delle robuste mani che la sollevavano.
Isabella fluttuava leggera come se fosse su una barca che scivolava silenziosa sull’acqua. Suoni indistinti, mani, lampi di luce. Una cacofonia di sensazioni disparate la pervadevano senza che lei riuscisse a metabolizzarle. Frammenti del passato si mescolavano nel presente come se fossero parte del futuro che non conosceva ancora. Strani ricordi che sfumavano, senza essere ricordati, persi nel silenzio della mente, affollavano la testa.
Quando riaprì gli occhi, si trovò nella stanza dove poco prima era avvenuta la cerimonia della vestizione. Le sembrò che fossero passati pochi attimi dal momento che la luce degli occhi si era spenta. Era sul letto avvolta nella tunica bianca di lino, composta come un sudario di morte. La testa girava, facendole perdere il senso dell’equilibrio come se dovesse cadere in un abisso nero e pauroso. Uno stato di confusione mentale non le consentiva di percepire esattamente cosa stava avvenendo intorno a lei. Sentì sollevare il capo mentre del liquido dolce cercava di passare attraverso le labbra serrate, colando lentamente verso il collo.
“Bevete senza timore”. Era una voce suadente che le ordinava di aprire la bocca.
E poi nuovamente sparirono luci e pensieri.

Capitolo 39

Il paggio puntale la mattina successiva ascoltò le parole di Laura. «Il solito posto. Un’ora dopo il sorgere del sole.» , In novembre le giornate sono corte, il sole sorge tardi e tramonta presto ma il cielo spesso imbronciato le fa sembrare ancora più brevi.
La ragazza non riuscì a dormire per l’ansia di riabbracciare Alfonso ma un pensiero continuava a tormentarla. «Perché mia madre ha voluto raccontarmi quel lontano episodio?». Era una domanda che esigeva una risposta ma lei non riusciva a trovarne la motivazione razionale. Poteva non proferire parola né narrarle i dettagli. Poteva tenere per sé quel segreto che nessuno conosceva. Eppure più di una volta ne aveva accennato con allusioni non troppo velate. Pensava di trasmetterle un po’ di esperienza di vita per evitare quell’errore giovanile, che a quanto pareva non fu unico ma ripetuto altre volte.
“Forse vuole confidenze da parte mia? Ma i miei rapporti con Alfonso sono di ben altra natura. Vuole mortificarsi e mettere a confronto le sensazioni della prima volta? La sua è stata traumatica, sicuramente ha lasciato uno strato di dolore interno. La mia è stata dolce. Il duca è un esperto amatore dopo due mogli e le innumerevoli dame di corte passate dal suo letto e le molte meretrici che ha frequentato. Sapeva come prendermi senza violenza ma con la dolcezza. E’ vero ho provato dolore ma senza traumi e blocchi psicologici. Ha aspettato con pazienza dopo diversi incontri finché non mi ha sentito pronta a volare”.
Laura continuava a guardare nel buio e a riflettere su sua madre. Aveva detto che non avrebbe voluto ascoltare il seguito ma non era vero. Avrebbe sollecitato Paola a continuare il racconto, a porle domande precise su come, quando e quante volte. Avrebbe scandagliato le emozioni della madre. Avrebbe voluto conoscere tutto, nei minimi particolari. Però un altro pensiero la angustiava: era quello di Beatrice, che appena tredicenne, aveva perso l’innocenza dei suoi anni. Non riusciva a immaginare quale sensazioni dolorose avesse provato e come la sua psiche ne fosse rimasta sconvolta.
“La povertà riesce a sconfiggere tutte le resistenze dell’anima. Abbruttisce lo spirito e trasforma il corpo in merce di scambio. Sono stata fortunata ad avere dei genitori che mi hanno permesso di restare fuori da queste turpitudini, di osservarle con occhio distaccato”.
Si alzò e guardo fuori dalla finestra. Il cielo era ancora nero e l’alba non troppo vicina. Tornò nel letto nel vano tentativo di assopirsi ma i pensieri continuavano ad aggrovigliarsi nella mente. Si rassegnò e sognò a occhi aperti l’incontro ormai imminente con Alfonso. I tre mesi di assenza, di mancanza di notizie l’avevano sfiancata anche se apparentemente si mostrava distaccata e serena. Dentro di lei ribollivano dubbi e ansie senza che riuscisse a mettere ordine.
“Ora la penitenza è terminata. La quaresima è finita. Posso stringermi a lui, baciarlo e farmi possedere. Questa astinenza ha accesso un desiderio prorompente che non ero più in grado di controllare”.
Si alzò per tempo, si pettinò con cura. Sotto la gamurra di lana pesante indossò un camicione di tela grezza e grossa, mentre sopra avrebbe messo la pellanda per proteggersi dal freddo pungente della mattina. Era impaziente di mettersi in cammino verso Santa Giustina, che sperava di trovare aperta per accendere un cero davanti l’immagine. Finora l’aveva protetta e tutte le sere tra le solite preghiere ne recitava una per la santa quale ringraziamento per come procedeva il rapporto con Alfonso.
La carrozza si presentò puntale a raccoglierla e si diresse verso via dei Piopponi, che percorse fin quasi in fondo per fermarsi di fronte a una casa con la facciata decorata in cotto rosso. Sulla porta l’attendevano un paggio e una serva che l’aiutarono a scendere. Laura osservò con cura questa dimora, tanto diversa dal casale del Verginese ma ugualmente calda. Percepì immediatamente che le sarebbe piaciuta, che si sarebbe trovata magnificamente bene.
“Mi sento a casa” disse sottovoce ammirando il soffitto a cassettoni di legno scuro intarsiato con motivi floreali. I fuochi nei camini crepitavano allegramente dandole il benvenuto. Si accomodò in un ampia sala riscaldata da bracieri e illuminata da molti candelabri in argento. Aspettò con calma apparente l’arrivo del duca.
L’attesa non durò a lungo, almeno questo era stata la sensazione. Lo sentì arriva, udì il suo passo nervoso e deciso e alla fine lo vide sulla porta. Voleva corrergli incontro ma si trattenne mentre lui si precipitava ad abbracciarla con passione.
“Laura” disse abbracciandola con ardore e baciandola sul collo.
!Alfonso, mi siete mancato in tutti questi mesi. Mi pareva di impazzire non potervi toccare, annusarvi, giacere con voi” rispose la ragazza.
Il duca cominciò a sciogliere i lacci che legavano la veste mentre la trascinava verso la camera da letto. Lei freneticamente tentava di aprire il corsetto ma entrambi erano impacciati e impazienti.
I gemiti, i gorgogli di piacere risuonavano nella stanza in un ribollire di coperte d’agnello. Sembravano due affamati di passione che dopo anni si ritrovavano. Non mangiarono nulla. Non avevano intenzione di sprecare un solo attimo. Placata la furia amorosa, rimasero al caldo sotto le pelli a parlare come due giovani amanti.
“Questa dimora” cominciò il duca. “E’ stato il dono di Ercole, mio padre a Rossetti, l’architetto del ducato. E’ la città nova, l’addizione voluta dal duca dopo aver inglobato entro le nuove mura cittadine campagna e orti. Qui tutto è regolare, squadrato senza curve o strettoie. I nuovi e vecchi patrizi si stanno costruendo le ville di città, basse e con ampi giardini o parchi, abbandonando le vecchie case nella città vecchia tortuosa e maleodorante, popolata da meretrici e lenoni. Una città nova nella vecchia che vede il suo confine delimitato dal canale Panfilio e dal corso della Zuecca”.
Laura annuiva ascoltando la voce calda e possente del duca..
“Qui mi piacerebbe col tempo abitare tra il verde degli alberi e il canto degli uccelli, come ero abituava al Verginese”.
“Per voi ho in mente un’altra soluzione ma tutto a tempo debito. Se questa dimora vi garba ve la potrò donare tra qualche anno”.
“Dunque diventate nuovamente padre?” chiese sommessamente la ragazza.
“Sì. La mia consorte, la duchessa Lucrezia è gravida. Nascerà secondo i calcoli dei cerusici e delle levatrici sul finire di giugno. Lei non era troppo soddisfatta mentre io sì. Un altro figlio è sempre il benvenuto” replicò allegramente il duca.
Laura pensò che sarebbe stato bello avere un figlio da Alfonso ma non subito tra qualche anno. Li avrebbe legati ancora più solidamente, mentre l’ombra del racconto interrotto della madre oscurò per un attimo il cielo sereno che splendeva sopra di lei. Poi come era venuto, se ne andò, mentre lasciava il posto a chiacchiere e carezze.
Percepì che quei fili recisi bruscamente qualche mese prima si erano riannodati senza che rimanesse il segno dell’interruzione. Avevano ripreso da quella giornata di metà settembre come se il tempo avesse fatto un balzo in avanti.

Capitolo 38

“Ghitta” chiamò Giacomo con tono imperioso.

“Sono qui, Messere. Cosa posso fare per voi?”.

“Preparate il bagno per Madonna Isabella e chiedetele quali vestiti desidera indossare ..”

“Ma i vestiti sono nelle sue stanze ..” disse sorpresa la serva che non vedeva di buon occhio quel servizio. Temeva gli sgarbi di Zelinda, la cameriera personale della donna.

“Appunto. Le chiedete con garbo cosa indossare e dove si trovano. Li andrete a prendere e l’aiuterete a vestirsi” sorridente scandì con lentezza le parole, vedendo che la ragazza era imbronciata.

“Messere Giacomo, mi basta una tunica pulita per tornare nelle mie stanze. Non vedo la necessità che Ghitta mi lavi e mi vesta” intervenne preoccupata Isabella, ritenendo inopportuno questo servizio.

“Madonna, qui comando io. E voi” si rivolse alla ragazza. “E voi muovetevi in fretta, perché poi dobbiamo fare colazione. Ci sono anch’io da accudire. Devo essere in città per il tocco”.

Isabella era impacciata e imbarazzata al pensiero che Ghitta la lavasse ma aveva compreso che Giacomo era il più forte. L’aveva umiliata rinfacciandole i tradimenti col marchese, offrendole del denaro come se fosse una donna di strada, avendo rapporti non proprio ortodossi inizialmente come pretendeva l’amante attempato. Sembrava che sapesse tutto di loro come se fosse stato presente ai loro incontri.

“E’ vero che successivamente la notte è trascorsa più distesa e serena tanto che alla fine è stato un piacevole intermezzo. Però ora mi ha in pugno. Conosce le mie debolezze e le usa al tempo giusto senza forzature”. Così rifletteva Isabella, accoccolata su Giacomo nell’attesa che Ghitta la chiamasse.

La mattinata volò in un baleno e al tocco Giacomo giunse alla dimora di Eleonora come da accordi. Non era propriamente entusiasta al pensiero che Isabella partecipasse alla misteriosa festa in campagna ma l’aveva promesso incautamente e non poteva far marcia indietro. Pose la domanda alla ragazza.

“Madonna Isabella, la mia consorte” sottolineò col tono della voce il rapporto che c’era tra loro. “La mia consorte chiede di essere invitata alla festa in Diamantina. Non so se sia opportuno che ..”.

“Ci mancava proprio una persona di sesso femminile per la cerimonia notturna. Madonna Isabella ci risolve il problema che come gli altri anni era di difficile soluzione. Io farò coppia con voi. A dama Costanza ho assegnato un certo cavaliere, che potremmo scambiarci nelle quattro notti senza problemi. Forse viene anche dama Giulia .. non preoccupatevi si trascina il suo attuale amante. Sapete che è sposata? Ma tiene un amante quasi fisso da tempo. Le altre coppie le conoscerete sul posto. Per la vostra madonna devo mandare un servo per informarla che è la benvenuta stasera e prendere accordi per andarla a prendere? Naturalmente potrà rimanere finché vuole nel casale”.

“Va bene per il servo per condurla qui. Nel frattempo il mio staffiere rientrando la metterà sull’avviso. A che ora dovrà trovarsi pronta?”

“Per il tramonto. La cena propiziatoria inizia alle nove e poi via coi festeggiamenti. Ma ora godiamoci questi momenti. Stasera ci sarà minore intimità”.

Eleonora cominciò ad armeggiare col corsetto di Giacomo che avrebbe voluto spogliare.

“Madonna, se mi volete in forza stanotte è meglio mangiare qualcosa e oziare. Quella appena passata è stata alquanto faticosa” replicò col viso serio.

La ragazza strinse le labbra.

“La vostra madonna è così focosa da mettervi fuori combattimento?”

“No. Sarebbe troppo lungo da spiegare e poi non penso che possa interessare i miei rapporti con madonna Isabella” rispose sorridente, mentre la stringeva con ardore.

“E sia come dite. Ma non pensate di rispettarmi come una sorella e di dormire stanotte. Sarà una festa speciale e una nottata ancora di più”.

Isabella era in fibrillazione, eccitata al pensiero della festa notturna. Era da molti anni che non partecipava a questi eventi. L’ultima volta era stata prima della nascita di Beatrice, la primogenita. Una nube nera oscurò per un attimo la mente, pensando che assomigliava come una goccia d’acqua a Abramo, il commerciante di stoffe, l’ebreo affascinante al quale aveva ceduto più di una volta. Non era il momento di ricordare, doveva sbrigarsi, perché il tramonto sarebbe arrivato in fretta.

“Cosa indosso per la sera?” si chiese guardandosi allo specchio.

“Giacomo ha detto, e gli credo perché era sincero, che il vestito blu era uno splendore. Ne ho un altro rosa e azzurro con una scollatura ancor più generosa. Al collo metto la collana di topazi e agate gialle. La solita crocchia con la treccia va più che bene con un filo di perle”.

Stava chiamando Zelinda per il bagno, quando ripensò alla mattina.

“Ghitta mi ha rilassata e profumata come una rosa. Sarà lei a lavarmi con l’aiuto della mia cameriera”.

La fece chiamare anche se visibilmente mostrava la sua contrarietà. Isabella non disse nulla. Percepiva già che la tensione stava sparendo dopo il bagno e i massaggi con unguenti profumati.

Si ammirò davanti allo specchio e si domandò se sarebbe ancora piaciuta, perché ultimamente frequentava solo persone più vecchie di lei.

Notò una piccola ruga sui bordi degli occhi e cambiò umore.

Il servo di Eleonora giunse puntuale per accompagnarla in Diamantina, dove arrivò con le prime ombre della sera.

La donna, scesa dalla carrozza, ebbe un attimo di scoramento. Le altre invitate erano giovani o giovanissime. Non avrebbe potuto competere con loro. Si sentiva vecchia con i primi segni sul viso. Nessuno venne ad accoglierla: percepiva di essere una nota stonata nel contesto, avrebbe voluto riprendere la carrozza e tornare nel suo palazzo. Cercò con lo sguardo Giacomo, perché non conosceva nessuno all’infuori di lui. Mentre si muoveva agitata e dubbiosa, venne trafitta dagli sguardi focosi di qualche cavaliere. Comprese di essere ancora piacente e si rilassò. L’ansia era sparita.

“Non sono da buttare” si disse eccitata al pensiero di attirare le voglie di giovani ragazzi, che la spogliavano con la vista.

Si aggirò inquieta e euforica per il parco, illuminato da torce e grandi candelabri, che creavano effetti speciali tra gli invitati.

“Madonna” udì alle spalle una voce maschile. “Non vi ho mai visto. Chi siete? Siete un sogno o una realtà?”

Si girò verso un cavaliere che l’osservava con gli occhi, che la denudavano, e stava per rispondere, quando si sentì chiamare «Madonna Isabella, siete la benvenuta» e prendere per un braccio.

“Dama Eleonora non mi presentate questa splendida madonna? Dove l’avete scoperta?” chiese l’uomo che l’aveva avvicinata poco prima.

“Messere, dopo, dopo. Avrete il tempo per conoscerla a fondo. Ora le devo dare il benvenuto” replicò la padrona di casa, spingendola verso l’ingresso.

Isabella guardò questa fanciulla, molto più giovane di lei.

“Non potrò mai competere con lei. Giovane, fresca, senza rughe. Cosa possono pretendere da una donna di trentacinque anni?” rifletté entrando in casa.

“Dame e Messeri!” disse con voce forte e decisa. “Ecco l’invitata di riguardo della nostra festa. Sarà al centro dei nostri festeggiamenti” e la lasciò sola la centro della sala.

Isabella si sentiva imbarazzata, oggetto di sguardi e valutazioni di tanti giovani. Le guance assunsero un colore rosato per l’emozione e la lingua si arrotolò in bocca.

Una giovane dama si staccò dal gruppo per baciarla sulla bocca, seguita dal resto degli invitati. Solo Giacomo non era presente in quella processione di benvenuto. Si domandò dove fosse. L’imbarazzo cresceva, perché non comprendeva i motivi di tante attenzioni e nel contempo cresceva la stima delle proprie capacità di attirare gli sguardi lascivi di tanti uomini. Non era mai capitato prima di questo momento che tante persone di sesso maschile provassero per lei desiderio e stimolo sessuale. Alle feste di corte, organizzate in onore di qualche ospite speciale, si era sempre ritrovata con uomini che la osservavano come un oggetto semplicemente da portare a letto per sfogare gli istinti più bassi. Questa sera veniva considerata come una donna appetibile da conquistare.

“Venite, madonna” disse Eleonora prendendole una mano, mentre l’accompagnava verso una lunga tavolata.

Si ritrovò seduta su una poltrona di legno e pelle nera che pareva quella di un principe. Alla sua sinistra stava un’altra uguale che al momento era vuota. Da quella postazione leggermente sollevata poteva dominare le due tavole che lentamente venivano occupate dai commensali. Alla sua destra stava sorgendo una luminosa luna piena rosata che avrebbe illuminato il giardino. Il cielo limpido si stava riempendo lentamente di stelle. Isabella in silenzio ascoltava il brusio di quelle voci giovanili e scrutava i loro visi alla ricerca di Giacomo, che scovò seduto di fronte a Eleonora. Un moto di gelosia avvampò il suo viso. L’aveva ignorata preferendo le grazie di quella giovane fanciulla sicuramente avvenente. Mai una volta girò verso di lei.

Un liuto annunciò l’ingresso di una misteriosa figura di uomo dalla chioma e barba fluente che si sedette accanto a lei.

“Chi è” si chiese, osservandolo.

Capitolo 37

Laura considerava il casale del Verginese come la sua casa, il suo nido d’amore. A volte restava lì in attesa del Duca che poi non arrivava ma senza farsi prendere dall’ansia come le prime volte. Non poteva imporgli di trascurare il governo del ducato per correre da lei.

Quando il sole tingeva di rosso l’orizzonte e l’amante non era ancora giunto, chiedeva al cocchiere di riportarla in città.

“Passate domani un’ora dopo il sorgere del sole” gli diceva, mentre smontava vicino alla chiesa di Santa Giustina per affrettarsi a rincasare prima che le ombre inghiottissero il tragitto verso casa.

Così tra delusioni e attimi di felicità passò agosto e settembre. Le giornate diventavano sempre più corte e le prime nebbie avvolgevano il casale come un bozzolo di seta.

Era la fine di settembre quando Alfonso stringendola a sé le disse che la duchessa tra due giorni tornava dalla delizia del Belriguardo.

“Mi spiace, Laura ma per diverse settimane non potremo vederci. Poiché il casale è troppo distante dalla città per poterlo frequentare, troveremo un altro palazzo in città. Non sarà così avvolgente come questo ma sarà ugualmente confortevole e discreto. Lucrezia ha concluso le sue ferie estive e dopo molti mesi dovrò onorarla alla notte e adempiere ai miei doveri di coniuge. Sei una donna splendida che mi capisce e non mi soffia sul collo. Con te dimentico tutto: le preoccupazioni del governo, le guerre, le beghe coi fratelli e familiari e persino il piccolo Ercole, che un giorno mi succederà sul trono. Ora godiamoci questa notte che per qualche tempo sarà solo un ricordo”.

Laura non replicò ma si strinse a lui per accoglierlo dentro di sé. Non si faceva illusioni sul breve intervallo senza potersi addossare a lui.

“Finché la duchessa vivrà, io sarò la sua concubina segreta. Però più le giornate passano, più diventa complicato nascondere la nostra relazione. Circolano molte chiacchiere, quando mi vedono camminare in fretta alla mattina sempre nella medesima direzione. Ma ora mettiamo al bando questi pensieri e concentriamoci sul come soddisfare Alfonso”.

Assecondava l’amante, sognava di essere riverita come la duchessa ma si dimostrava sempre disponibile anche quando la stanchezza l’assaliva.

Passò il resto di settembre e ottobre senza che il duca si facesse vivo. Laura percepiva un gran vuoto dentro di sé e una profonda tristezza.

“Mi ha dimenticata. Era solo una stagione estiva con la duchessa lontana per sfogare i propri istinti” mormorava alla sera coricandosi mentre incubi malvagi popolavano i suoi sogni.

L’estate aveva lasciato ben presto il posto all’autunno che era giunto con molto anticipo. Le prime brinate avevano imbiancato i tetti, la nebbia regnava sovrana, la temperatura era diventata rigida.

Laura aveva ripreso il proprio posto nella bottega del padre. In silenzio cuciva e sistemava i cappelli che Francesco tagliava.

Era il 1 novembre del 1518, la festività degli Ognissanti, quando la madre la trattenne in cucina.

“Laura, il vostro duca è sparito, svanito come la stagione calda. Eri forse l’amante di stagione oppure devo usare un altro nome?” disse con tono tagliente spingendo le mani verso il fuoco del camino.

“No, madre. Mi aveva annunciato che per un po’ non avrebbe potuto frequentarmi”.

“Un po’? Forse quasi due mesi sono solo un po’?” replicò sarcastica. “Ma ditemi, cosa vi ha lasciato prima di liquidarvi? Non mi pare d’aver visto borse con scudi d’oro nella tua camera?”

“Nulla, madre. Nessuno scudo d’oro. Niente, solo una promessa”.

“Le promesse non servono a nulla. Fanno felici solo le gonze come mia figlia, che era illibata prima. O forse mi sbaglio?”

“Non vi sbagliate, madre. Non lo sono più da molti mesi ..”.

“E non vi ha pagato nemmeno uno scudo d’oro lo stato di verginità?”

“No. Non sono una donna di strada che si fa pagare aprendo le gambe ..”

“Siete ingenua, mia cara! Chi vi prenderà ora che non lo siete più?”

“Madre, ma voi lo eravate quando avete contratto il matrimonio con Francesco?” chiese la ragazza ricordando certi accenni e bisbigli di molti mesi prima.

“No, di certo!” esclamò divertita. “Come avrei potuto esserlo, se ho ..” e si interruppe, perché stava rivelando un segreto custodito per oltre vent’anni.

“Madre, già altre volte avete accennato a un misterioso conte e a una borsa di scudi d’oro. Ma siete sempre stata reticente” disse Laura, che voleva conoscere cosa era successo e le motivazioni di quelle parole appena sussurrate.

Paola diventò paonazza e farfugliò qualche parola sconnessa.

“Madre, vi vedo in difficoltà su questo episodio. Se non volete parlarne, non fatene più cenno nei paragoni con il mio stato. Però se lo volete narrare, sappiate che la mia bocca rimarrà cucita per sempre”.

Guardò la figlia e poi le prese le mani prima di iniziare il racconto.

“Avevo sedici anni ed ero la promessa sposa di Francesco più vecchio di me di due anni. Dovevo racimolare degli scudi per crearmi la dote di matrimonio. I tuoi nonni erano poveri e non avrebbero potuto contribuire un granché. Così andavo sulla riva del Po con le amiche per lavare i panni delle signore per qualche soldo da mettere da parte per le nozze. Ero bella, la più bella del gruppo”.

Fece una pausa sospirando, mentre pensava alla freschezza del corpo di allora rapportato allo stato attuale.

“Madre, ma lo siete ancora oggi. Molto di più di me che sono acerba”.

“Però non più vent’anni come te. I signori desiderano la carne fresca a quella stagionata. Ormai sono vecchia e nessuno sborserebbe un testone d’argento per venire a letto con me” concluse prima di riprendere la narrazione. Laura l’osservò stupita per l’affermazione.

“Ero l’oggetto di tutti i complimenti degli uomini. Se possiamo chiamarli così. Erano battute triviali e proposte oscene. Le amiche invidiose mi prendevano in giro, dicendomi che ero troppo sostenuta e che per uno scudo d’oro avrei aperto le gambe. Io alzavo le spalle e sorridevo, perché volevo conservarmi illibata per la prima notte di nozze. Nel tragitto verso Porta Paula si passava davanti a una casa patrizia abitata dal conte Giglioli, un vecchio bavoso ma molto danaroso. Aveva anche tre figli, il più giovane dei quali era un mio coetaneo. Quando si transitava, sbirciava dalla finestra senza dire nulla. Le amiche vedendolo dicevano che avrebbe sborsato molti scudi d’oro per una ragazza giovane e bella come me. Ridevano alle mie spalle. Il pensiero di essere posseduta da un vecchio mi faceva ribrezzo. Però il tarlo aveva cominciato a lavorare sotto la spinta delle loro insinuazioni, Erano invidiose che avesse occhi solo per me. Ma per pochi testoni d’argento avrebbero accettato. Mi dissi. Se devo andare a letto con quel vecchio bavoso, lo farei solo per cinquanta scudi d’oro. Ero convinta che non sarebbe accaduto. L’estate calda come quest’anno eccitava gli spiriti. Per lavare i panni arrotolavamo la gonna fin quasi in cintura, mostrando le gambe e forse anche qualcosa di più. Il guarnello era ridotto all’essenziale, senza maniche e scollato. Sotto non portavo niente per la calura e la povertà. Ben presto aderiva al corpo mostrando le forme del mio seno, piccolo e sodo. Una gran quantità di uomini sfaccendati ci osservava, commentava con oscenità masturbandosi. Le donne più anziane li tenevano lontani. Erano terribili. Se qualcuno era più intraprendente rischiava una bastonata. Un giorno di agosto il conte si avvicinò e confabulò con quella che era il capo delle lavandaie. Paola, mi disse, il signor conte desidera parlarvi in privato. Così formulò la proposta, sussurrata con un filo di voce”.

“Cosa vi chiese” domandò curiosa Laura, che non perdeva una sillaba del racconto.

“Sarei diventata la sua regina e mi avrebbe ricoperto di scudi d’oro, se avessi accettato il suo invito”.

“E voi, madre, cosa avete risposto”.

“Ci penserò e vi darò la risposta domani col capo. O sì o no”.

“E le altre non commentarono il vostro parlottare?”

“Qualcuna credette alla mia versione di un’offerta di lavoro ma molte finsero immaginando il tenore della proposta come le amiche. Beatrice, la più piccola ma anche la più smaliziate, disse che lei non sarebbe andata a letto con lui se non le versava in anticipo almeno cinquanta scudi d’oro, perché oltre il vecchio sarebbero passati anche i tre figli. Tornata a casa con la testa in subbuglio non avevo nessuna con la quale confidare il segreto. Non dormì. Feci incubi e mi girai sul pagliericcio inquieta. Il grande timore era la prima volta. Avevo ascoltato racconti paurosi su quel momento. Sangue, dolori, difficoltà a chiudere le gambe per qualche giorno. Insomma ero spaventata. Alla fine avevo solo sedici anni. La mattina, al sorgere del sole, Beatrice mi raggiunse. Aveva capito tutto. Mi disse. Accetta, perché si tratta di un giorno solo. Il conte vuole solo roba fresca e senza macchie. Però il primo rapporto l’avrai con Rainiero, il più vecchio, perché lui non ce la fa. Quindi tieni alta la posta senza timori. E’ chiaro che sono disposti a pagare bene. Non capita a tutte. Scelgono con cura le donne. Se non avessi avuto tredici anni, di certo non mi avrebbe chiesto nulla. Pretesi solo due testoni d’argento ma me ne pentì subito per l’esiguità della ricompensa. Accetta senza timori. Vali molto per loro”.

“Madre, ma quello che racconti è terribile! Una bambina di tredici anni!” disse arrossendo Laura.

“Beatrice ne dimostrava di più. Sembrava una donna con un seno ben sviluppato”.

“E voi cosa avete fatto quella mattina?” domandò ben conoscendo la risposta.

Paola stava raccogliendo tutte le sue forze per finire il racconto quando udì la voce di Francesco.

“Laura, venite. Un messo vi cerca”.

La ragazza si precipitò nella bottega, seguita dalla madre. Un paggio che ben conosceva le consegnò un messaggio chiuso col sigillo ducale.

“Passo domani per la risposta” disse, uscendo sulla strada.

A Paola brillavano gli occhi dopo l’imbarazzo del racconto interrotto sul più bello.

“Cosa c’è scritto?” chiese allungando il collo.

“Madre, lo saprete. Ora vorrei leggerlo da sola”.

Si allontanò e ruppe la ceralacca.

«Mia adorata Madonna,

Finalmente posso dedicarmi a voi per i prossimi mesi, anni.

Una splendida notizia ho per voi. Madonna Lucrezia è gravida e per molto tempo non dovrò più passare le notti nei suoi appartamenti. Sono libero di stare con voi per tutto il tempo che posso dedicarvi.

Ho voglia di stringervi a me e accarezzare la vostra pelle, annusare il vostro odore, affondare le mani nei vostri capelli neri.

Dite al messo quando e dove la carrozza passerà a prendervi.

Vostro Alfonso»

Paola rimase in silenzio in piedi, osservando la figlia e le sue espressioni. Le aveva rivelato un segreto e l’aveva resa complice di questo. Sperava che non ripetesse la sua esperienza. La vide ripiegare il messaggio e dirigersi verso la cucina. Il viso di Laura era sereno e disteso. Un buon segno, pensò prima di chiederle cosa c’era scritto.

“Madre, la storia riprende da dove si è interrotta tre mesi fa. Sta a me dire quando” rispose pacata.

Paola l’abbracciò. Sua figlia era stata più saggia e avveduta di lei. Ricordava che Beatrice aveva descritto con sincerità quell’incontro. Rainiero era stato un martello asfissiante in quel frangente, ma questo non lo poteva confessare a nessuno.

“Il resto del racconto lo rimandiamo a un altro momento, se vorrete proseguire. Credo di immaginare cosa sia successo, madre”.

Tra due giorni sarebbe stato nuovamente tra le braccia dell’amante.

Capitolo 36

Giacomo sogghignò ferocemente, perché aveva messo in riga Isabella.

“Non on mi è mai piaciuta fin dal primo incontro. Quell’aria tra l’arroganza annoiata e la sufficienza mi aveva dato ai nervi ma ho dovuto far buon viso a cattiva sorte, non sapendo nulla di questa mia nuova vita. Mi ha sottovalutato. Un errore imperdonabile di valutazione. Ma ora mi servo la vendetta, un piatto da consumarsi freddo. Più che vendetta ho ristabilito le gerarchie” rifletté mentre terminava il bagno ristoratore.

Avvertì che Ghitta era soddisfatta per come stavano procedendo gli eventi.

“Non fatevi illusioni, Ghitta” esclamò mentre sentiva scorrere l’acqua fresca sul corpo accaldato.

“Quali, Messere?” chiese cauta la furba ragazza.

“Lo sapete. Non c’è necessità che ve le spieghi. Avete salvato il posto ma dovete rigare dritta”.

“Cosa significa «rigare dritta»?”

“Che non pensiate di avere privilegi speciali o di parlare a sproposito col resto della servitù. Dovete rimanere quella che ho conosciuto fin dall’inizio. Rispettosa, obbediente e attenta ascoltatrice di quello che si dice di me e di avvertirmi. A proposito. Perché non mi avete informato che madonna Isabella mi attendeva nella mia camera?”

“Non ho potuto. Madonna mi ha detto ..” rispose tentennante, lasciando intendere l’esatto contrario.

“Bubbole. Avete avuto paura e basta”.

“Aveva minacciato di cacciarmi se..”

“E ci sarebbe riuscita se non fossi intervenuto con decisione. Ma ora prepariamoci alla cena nelle sue stanze. Ricordatevi di preparare la camera come vi ho spiegato in ogni dettaglio. Stanotte dorme qua”.

Tirato a lucido e senza troppe arie trionfalistiche Giacomo si presentò puntuale nelle stanze di Isabella.

“Madonna siete uno splendore. Forse in mio onore?” chiese sorridente, vedendola agghindata a festa.

In effetti non l’aveva mai trovata così bella: i capelli raccolti a crocchia con la treccia che le dava un tocco di sobria eleganza, un abito blu con un corpetto bianco attillato e un’ampia scollatura, che mostrava generosamente i seni. Questi parevano esplodere fuori ad ogni movimento del corpo ma rimanevano miracolosamente al loro posto. La pelle leggermente ambrata era liscia come quella di un bambino, mentre emanava fragranze delicate.

“Ha deciso di colpirmi col lato sexy del corpo che usa come arma di seduzione per volgere a suo favore queste schermaglie” rifletté Giacomo, che riuscì a controllare magnificamente voce e fisico. “Non posso cedere al ricatto sessuale. Per me sarebbe la fine”.

Isabella sorrise annuendo con la testa mentre dentro di sé covava rabbia, perché vedeva sfumare i suoi piani.

“Quest’uomo sembra di ghiaccio che nemmeno il sole agostano riesce a sciogliere. Ero sicura che avrebbe ceduto. Invece, impassibile, cortese e galante ha fatto un semplice commento senza grossi entusiasmi più come dovuti che sentiti. Il marchese si sarebbe sciolto in un amen e sarebbe rimasto appeso alle mie labbra per il resto della serata, sbavando e gemendo. E per guadagnare il mio letto avrebbe dovuto sopportare le pene dell’inferno. Giacomo invece non lo riconosco più. Sembra un altro, cambiato, determinato e attento a come si muove. Poi pare che sia ricercato da molte dame. Da quando gli ho assegnato Ghitta, non è più l’uomo che conoscevo. Quella ragazza l’ha stregato, mentre io mi ritrovo le armi spuntate”.

Giacomo si muoveva come un gatto che si divertiva a giocare col topolino. Lo lasciava correre un po’ e poi una zampata lo riportava in balia di lui. Colpi di fioretto, stilettate e fendenti la colpivano da ogni parte senza che lei potesse opporre resistenza. La serata procedeva con Isabella sempre più visibilmente agitata e incapace di ribattere le punture dell’uomo.

“Messere, sapete che sto diventando lo zimbello di Ferrara?” disse con tono accorato la donna.

“Perché, Madonna?” domandò curioso anche se immaginava dove voleva puntare.

“Voi mi tradite con molte dame. La contessa Giulia ..”

“Ah! Ah! Forse il marchese di Stellata vi manca di rispetto quando passa dal vostro letto?” replicò sornione.

Isabella avvampò nelle guance che divennero rosse per la collera e lo stupore. Non si aspettava quell’affermazione, perché le visite era discrete. Nessuno si era accorto della relazione. Almeno questa era la sua convinzione ma evidentemente si era sbagliata.

“Ma che dite, Messere! Il marchese di Stellata è un amico comune e non ha mai mancato di rispetto verso la mia persona ..”

“Un amico? Ma se è da anni che non lo saluto. Forse è venuto sotto questo tetto senza passare a salutarmi?”

“No, no. Rispondevo alla vostra ..” farfugliò diventando ancor più rossa per l’impaccio.

Giacomo si tratteneva dal ridere, perché aveva tirato un colpo alla cieca centrando il bersaglio senza troppa fatica.

“Capisco, Madonna, il vostro imbarazzo per il marchese e perché ho malignato, pensando che fosse stata violata la nostra casa”. Dopo una brevissima pausa riprese: “E’ bello il palazzo in via dei Piopponi?”. Aveva gettato l’amo con l’esca in bella evidenza.

“Ha un giardino magnifico, che vorrei avere anch’io. Il nostro è talmente squallido..” rispose abboccando.

“E la camera da letto è migliore della nostra?” continuò con ostentata indifferenza.

“E’ sobria e lineare come piace a me” replicò ingoiando amo ed esca.

“Ah! E’ mi fate il predicozzo perché qualche malalingua afferma che frequento delle dame, quando voi incontrate con regolarità il marchese?” disse infliggendole il colpo finale.

“Ma .. no.. mi avete frainteso..” farfugliò in maniera incoerente torcendosi le mani. “State pensando male di me. Qualche tempo fa ..”

“Sì, sì. E’ meglio cambiare argomento. Le bambine come stanno? Sono mesi che non le vedo. Non pensavo nemmeno che fossero in vita..”.

“Sono con la nutrice nelle loro stanze” rispose cercando di riprendere un colorito normale. “Domani, se ci siete, ve le porto in visita nelle vostre stanze”.

“Domani mattina ci sarò sicuramente. Ma ora è arrivato il momento di ricambiare la visita e ritirarci nelle mie stanze”.

Isabella si irrigidì prima di rispondere.

“Mi sento a disagio pensando che la vostra serva sia lì a origliare e ascoltare le nostre parole ..”.

“Però qualche tempo fa non lo eravate, quando sei venuta a farmi visita. Direi che siete rimasta molto soddisfatta”.

Si alzò e la prese per mano per condurla da lui. Isabella tentò di opporre un’ultima resistenza.

“Non posso di certo farmi aiutare dalla vostra serva per spogliarmi'”.

“No, di certo. So ancora come si spogliano le donne” replicò sorridente e suadente.

La stanza profumava di artemisia bruciata per scacciare gli insetti. Il letto era preparato con cura con ricche lenzuola di lino ricamate, mentre due tuniche leggere erano appoggiate sopra. Nel bagno erano pronte brocche di acqua profumata per ogni necessità Ghitta non si mostrò, restando nelle sue stanze, come le aveva ordinato Giacomo.

“Madonna, se vi girate, vi aiuto a togliere questa veste ricca ed elegante”.

“Ma ci riesco anche da sola. Preferisco farlo al buio” replicò indicando il candelabro sul tavolo.

“Mi togliete il piacere di spogliarvi con le mie mani e ammirare il vostro corpo alla luce delle candele”.

Con agilità cominciò a sciogliere i lacci e velocemente la lasciò nuda. Aveva davvero un fisico splendido, nel pieno della maturità dei suoi trentacinque anni e forse più. Fu il commento di Giacomo. Poi cominciò a spogliarsi lui con una certa fatica, perché era un’operazione che svolgeva con l’aiuto di Ghitta.

“Questi cosa sono?” domandò stupita e irata.

“Una borsa con qualche lira marchesana ..”

“Per chi mi avete preso?” avvampò la donna.

“Per mia moglie. Però il marchese vi fa sempre trovare una borsa tintinnante sotto il cuscino ..”.

“Come fate a conoscere tutto questo?” disse stizzita e imbarazzata.

“Dama Eleonora. Il marchese omaggia così le sue amanti. E ora da brava moglie voltatevi. E’ la vostra posizione preferita”.

Isabella cedette di schianto senza protestare e assecondò il marito.

La notte fu lunga e soddisfacente.

Il mattino li trovò abbracciati che dormivano serenamente. Un raggio di sole illuminò i loro visi, svegliandoli.

“Avete perso molte notti piacevoli” disse l’uomo.

“Potrei recuperare, passando anche le prossime”.

“Fra tre notti. Nei prossimi giorni sono invitato nella Diamantina per una festa d’agosto” rispose serafico.

“Posso venire anch’io?” chiese trepidante.

“Se dama Eleonora lo vuole”.

“Ghitta!” urlò mentre lei si materializzava come un fantasma.