Una storia così anonima – parte ventinovesima

foto personale
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Poitiers, 26 febbraio 2015, ore dieci

Intraprendente il nostro Pietro” chiosa Luca al risveglio. “Parte per il sud della Francia senza nemmeno avere un’idea dove si trova la meta”.

Vanessa non risponde. Vorrebbe dormire ancora dopo la maratona del giorno precedente e la lettura notturna. Si copre il viso con le lenzuola.

Toh!” esclama il ragazzo divertito. “La nostra mancata pescatrice!”

Luca consulta le mappe online per valutare quante ore servano per raggiungere Rennes-le-Château. Tuttavia adesso ha fame. ‘Ieri in pratica abbiamo fatto un solo pasto e molti chilometri’ si dice, mentre chiude il computer. ‘Una bella colazione a base di viennoiseries calde e caffè nero bollente ci vuole proprio. Ma posso abbandonare Van?’ Scuote il capo. Sa che, se lo facesse, glielo rinfaccerebbe per il resto della sua vita.

Pensa a Henri e allo scherzetto che gli hanno fatto. Dubita che lui non ritorni presto a seguirli come nei giorni passati. ‘No, no. Non ce lo abbiamo tolto dalle palle. É un mastino. Conosce il percorso di Pietro. Quindi ce lo ritroviamo a Rennes-le-Château di sicuro. Spero qualche giorno dopo il nostro arrivo’ riflette, mentre sta escogitando un sistema indolore per tirare giù dal letto Vanessa.

‘É una brava ragazza. Una vera amica, che non esiterebbe a gettarsi nel fuoco pur di salvarti. Però te la raccomando con quel caratterino che si ritrova’ ghigna Luca, che apre con delicatezza le imposte. La stanza viene inondata dai raggi del sole. La giornata, dopo diversi giorni, è serena. Alcuni la colpiscono in viso.

Sei impazzito” strilla Vanessa, mettendosi ritta con una mano sugli occhi.

Il ragazzo sorride. La mossa non gli sembra che sia stata particolarmente astuta. Non ha pensato alla giornata serena dopo tanto grigio e nuvole nere. ‘Dovrò pagar dazio’ si dice ‘ma almeno è sveglia’. Evita qualsiasi battuta per non peggiorare la situazione.

Non hai fame?” fa Luca sornione. “Io ho un buco nello stomaco”.

Ordina la colazione in camera” afferma con decisione la ragazza, che appare piuttosto irritata. “Ho sonno e vorrei dormire”.

Non ti ricordi che ieri sera ci hanno detto che non servono la colazione in camera?” dice il ragazzo. “E poi sono già le dieci. Le colazioni le servono fino alle nove e mezza”.

Vanessa sbuffa, scende dal letto per avviarsi al bagno. “Sei un negriero! Me la pagherai” afferma la ragazza, chiudendo la porta alle spalle. “Sono quattro giorni che mi fai girare come una trottola”. Urla per farsi sentire.

Luca sorride, perché alla fine non si è arrabbiata più di tanto. “Ci aspettano più di cinquecento chilometri e quasi otto ore di viaggio”.

Non ci penso proprio” strepita attraverso la porta chiusa. “Come minimo si spezza il tragitto in due tappe. Ho il culo piatto a forza di stare seduta in macchina. Almeno fosse comoda”.

Luca sorride. ‘Il culo piatto? No, è sodo e tondo come una zucca violina’ si dice, mentre si prepara per lasciare la stanza.

Si fermano in una sala da tè poco distante dall’albergo, dove hanno alloggiato. Fanno una ricca petit dejeuner, che costa più un pranzo. Mangiano senza parlare più di tanto. Hanno sempre la bocca piena. Non è da educati farlo.

Possiamo fare un tragitto breve oggi e uno lungo domani” fa Luca, mentre sta guidando verso Limoges.

La ragazza non risponde subito. Il breve per Luca significano centinaia di chilometri. Quindi non c’è da fidarsi.

Spiegati meglio” dice Vanessa sulla difensiva, controllando la voce.

Il ragazzo ride. ‘Diffidente, Van’ pensa. “Se ci fermiamo a Brive-le-Gaillarde” comincia Luca, subito interrotto da Vanessa.

Niente nomi. Spara chilometri e tempi” esclama la ragazza.

Ho capito, ho capito. Sta tranquilla che oltre alla località ti avrei ragguagliata con chilometri e ore” dice Luca.

Tranquilla, mica tanto. Sei un negriero. Mi svegli all’alba, mi fai fare migliaia di chilometri al giorno, mi costringi a leggere fino a notte fonda. Posso stare tranquilla con te?” fa Vanessa, per nulla convinta dalle parole del compagno.

Luca ride di gusto, mentre la ragazza schiuma di rabbia.

E va bene. Allora il tragitto breve di oggi è di duecento e diciannove chilometri. Poco più di tre ore di marcia. Mentre la tappa di domani, sono trecento e tredici chilometri con quattro ore di cammino. Più o meno. La tappa sarebbe a Brive-le-Gaillarde” fa il ragazzo, che aspetta commenti dall’amica.

La seconda opzione, quale sarebbe?” dice la ragazza con tono ironico.

Si prosegue fino a Cahors. Chilometri trecento e dodici. Oltre quattro ore di viaggio. La seconda tappa è di soli duecento e ventisette chilometri e circa tre ore” conclude Luca.

Vanessa spalanca gli occhi gli occhi verdi e scoppia in una risata.

Sono stato divertente?” chiede il ragazzo, contagiato dall’ilarità della compagna.

Sì!” fa la ragazza. “Ora pensa a guidare. Quando siamo quasi a …”

Brive-le-Gaillarde” suggerisce il ragazzo.

Ci siamo capiti” dice Vanessa che continua a ridere. “Decidiamo se farci un’altra ora di viaggio oppure no”.

La stanchezza e il buio consigliano di fermarsi a Brive-le-Gaillarde. Hanno trovato traffico, che ha rallentato la loro marcia. Sono quasi le diciotto quando entrano nella città.

La mattina seguente si mettono in viaggio per Rennes-le-Château. La giornata è grigia. Dense nuvole li accompagnano fino a Couiza, dove iniziano i primi contrafforti dei Pirenei orientali. Le nubi basse non permettono di vedere né il colle dove sta la cittadina, né le cime delle montagne che dovrebbero essere alle spalle. Si inerpicano per una strada che taglia in due un bosco, che appare spoglio in questo periodo. Scheletri con le mani verso il cielo immersi nella nebbia.

Sembra di essere a Ferrara in Novembre” chiosa Luca, immerso in una foschia densa e lattiginosa.

Pensa a guidare” lo rimbrotta Vanessa. “Non ti distrarre con accostamenti inutili”.

Fatto l’ennesimo tornante sbucano fuori dalla nuvolaglia e vedono davanti a loro una cittadina arroccata sulla collina.

Ecco!” esclama Luca “Siamo arrivati”.

Vanessa stringe gli occhi ma non riesce a vedere quasi nulla. Quello che nota tra i rami spogli di piante enormi sono delle creste di un bianco sporco, che elevano le mani verso il cielo sereno.

Ma dove?” chiede la ragazza.

Il ragazzo guida con prudenza. La salita non è ripida ma deve fare attenzione.

Ora si è nascosta” dice sollevando per un istante gli occhi verso l’alto. “Ma tra poco… Ecco si vede la torre e qualcosa che assomiglia a un castello”.

Vanessa scuote il capo. Osserva qualcosa che poi si nasconde. Dopo l’ennesima giravolta il paese si presenta davanti a loro. Sembra disabitato. Grandi parcheggi fuori il perimetro delle abitazioni vuoti. Non si nota nessun movimento. Né di pedoni, né di auto.

Ma sei sicuro che sia questo il posto?” domanda Vanessa per nulla convinta.

Sì” fa Luca che si ritrova dinnanzi al naso un cartello, che non riesce a comprendere.

dal sito di Rennes-le-Chateau
dal sito di Rennes-le-Chateau

I fogli sono interdetti?” fa il ragazzo con ironia. “Che cavolo vuol dire?”

La ragazza ride con le lacrime agli occhi, mentre Luca entra nel centro abitato. La guarda stupito, perché non comprende l’ilarità dell’amica. Scuote il capo. ‘Non conosco il francese’ pensa ‘ma mi hanno sempre detto che assomiglia tanto all’italiano’.

Vuoi sapere cosa vuol dire?” fa Vanessa, mentre Luca parcheggia in un piccola piazzetta circondata da case basse.

Non muoio dalla curiosità. Però se vuoi” dice il ragazzo interrompendosi.

Dice semplicemente che gli scavi nel territorio comunale sono proibiti” traduce la ragazza.

Ma non dobbiamo scavare un bel nulla” afferma Luca, che spegne il motore. “Ci facciamo quattro passi in questa metropoli?”

Vanessa annuisce. Infila il piumino nero e lo chiude per bene. Il freddo è pungente. Intorno la neve arriva a quote basse. Girano per le strade, che sono deserte. Sembra che tutti siano chiusi in casa. Un solo ristorante è aperto con un unico cliente.

Toh! Chi si vede!” esclama Luca, come se si aspettasse quella vista.

Chi?” domanda curiosa Vanessa.

Il nostro Henri” fa il ragazzo, accennando con la testa l’avventore solitario del locale. “Ha capito che l’abbiamo fregato e senza perdersi d’animo è arrivato qui”.

La ragazza si aggrappa al braccio dell’amico, come per rincuorarsi. “E ora che facciamo?” chiede.

Nulla” dice Luca. “Mi sono appuntato un paio di gite”.

Cosa?” domanda scandalizzata Vanessa.

Il ragazzo si schernisce. “Lo sai che il francese non lo mastico. Sul sito di Rennes compare questo nome les gites, che sono forniti di camere. Chambres, sono sicuro, vuol dire camere. Poi il numerino, tre, è chiaro e lampante”.

Vanessa ride, mentre si stringe ancora di più addosso a Luca. “Impara le lingue” chiosa la ragazza. “Gite significa alloggio. Probabilmente è un bed & breakfast. Dove si trova?”

Quasi di fronte a dove abbiamo parcheggiato” dice il ragazzo. “Però avrei fame”.

Hai il verme solitario?” lo rimbrotta la ragazza. “Sai dire solo ‘ho fame’. Andiamo a vedere se hanno camere libere. Poi ti accontento. Ti porto al ristorante”.

Come è buona lei!” replica sarcastico il ragazzo. “Se sono libere tutte e tre, le blocco. Così Henri rimane a bocca asciutta”.

Non passava giorno – cap. 9

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Marco, alzatosi presto dopo la nottata agitata da sogni e rimpianti, aveva deciso di cancellare ogni traccia di Laura sia fisica sia virtuale dalla sua vita. ‘Quando?’ si era chiesto. La risposta non arrivava. Allora puntò a una passeggiata distensiva, mentre la giornata stava muovendo i primi passi.

‘Devo uscire all’aria aperta’ si disse vestendosi. ‘Devo scaricare lo stress, che non mi dà tregua’. Doveva ritrovare quell’equilibrio che si era frantumato attraverso i dubbi, le riflessioni e il rammarico su quella rottura inspiegabile a tutti’. Rischiava di bruciare a fuoco lento.

Guardò fuori dalla finestra. La giornata di inizio settembre, né fredda né afosa, sembrava l’ideale proscenio per una bella pedalata. Amava pedalare sulle strade di campagna. Per lui era un ritorno al passato. La Colnago da passeggio era parcheggiata nel garage di casa. Immaginò che fosse ricoperta da uno bello strato di polvere, perché ben raramente negli ultimi cinque aveva avuto l’opportunità di usarla. Quando veniva a Ferrara, non troppo spesso in verità, doveva ragguagliare i genitori sull’andamento degli studi, sulla relazione con Laura. E non solo quello. Quindi gli rimanevano pochi spiccioli di tempo libero per uscire in bicicletta.

Quando scese nel box, lui non era nella classica tenuta da ciclista. Aveva comode scarpe da ginnastica, pantaloncini corti e una maglietta leggera. Sotto il sellino in una piccola borsa c’era un tubolare di scorta per eventuali forature, sempre in agguato, e alcuni attrezzi di prima emergenza. Sotto la canna della bicicletta stava un contenitore non troppo ingombrante, che conteneva alcuni indumenti, un impermeabile e il telefonino.

Sotto il telo di plastica trasparente stava sonnacchiosa la bicicletta in attesa che Marco la facesse uscire dal letargo. Era tutt’altro che dozzinale, perché aveva un ottimo telaio con accessori di prima qualità. Il padre la teneva in ordine, oliata e pulita, perché fosse sempre pronta per lui.

Tolse il telo, saggiò le gomme che erano gonfie al punto giusto. ‘Papà, sei una persona eccezionale!’ si disse soddisfatto, mentre usciva sulla strada. Dopo le prime pedalate incerte, prese un buon ritmo. La brezza fresca del mattino gli accarezzava il viso, mentre usciva dalla città. Si sentì subito bene, dimenticando Laura, il sogno, i sensi di colpa. Era tornato adolescente, quando per scaricare le delusioni amorose e lo stress della scuola prendeva la bicicletta per un lungo giro su strade poco trafficate. Aveva avuto sempre il potere di fargli dimenticare le preoccupazioni.

Dopo pochi chilometri dalla mura cittadine svoltò a destra, imboccando una strada asfaltata stretta, che costeggiava una campagna curata. Il percorso si snodava tra filari di alberi e di siepi. Salvo le immancabile macchine agricole e qualche rara automobile, che strombazzava per far sentire la loro voce, era l’ideale per pedalare senza troppe ansie o timori.

La campagna riposava in attesa della semina autunnale con qualche campo già arato di fresco. Scoli secchi e canali d’irrigazione, pieni d’acqua verdastra stagnante, facevano da contorno. La vista era rilassante e l’occhio di Marco spaziava libero. Osservava i primi gabbiani e aironi cinerini, le iniziali avanguardie di uccelli acquatici, che si sarebbe installati tra zolle umide, pronte a raccogliere le sementi del frumento.

Percepiva di essere disteso, mentre assaporava delle sensazioni che credeva di avere smarrito. Pedalava di buona lena, quando gli parve di scorgere tra le basse siepi divisorie una figura, seduta sul ciglio erboso. Era ancora distante, un paio di curve più avanti. ‘Forse si sta riposando’ pensò Marco. ‘Oppure ha necessità di aiuto”.

Un paio di pedalate vigorose e qualche curva pennellata l’avvicinò a quella figura, un ciclista, che aveva le sembianze di una ragazza dal volto imbronciato e appoggiato sul palmo delle mani. Al suo occhio esperto non sfuggì che era in attesa del passaggio di qualcuno per farsi aiutare.

Fermatosi a un metro da lei, le rivolse la parole. “Salve, ha necessità di aiuto oppure si sta riposando?” le chiese con gentilezza.

La ragazza alzò lo sguardo per nulla amichevole. Lo squadrò dai piedi alla testa. “Mi serve aiuto” gli rispose secca con la voce acida per la rabbia repressa.

In che modo le posso essere utile?” disse Marco, ignorando il suo tono secco.

Ho forato. Non ho con me il materiale per eseguire la riparazione” affermò, addolcendo la voce. “Nemmeno il telefono mi è stato d’aiuto, perché è ammutolito dopo il primo squillo”.

Marco osservò il pneumatico floscio, sistemandosi accanto a lei. “Avrei un tubolare di scorta” fece con tono cortese, fingendo di non aver udito quel tono insofferente e arrabbiato. “Purtroppo non è adatto alla sua bicicletta. Posso prestarle il telefono, se l’offerta l’interessa”.

La ragazza lo guardò stizzita, quando Marco riprese a parlare senza attendere risposta. “Oh! Sono davvero desolato. Non mi sono presentato” esclamò. “ Marco e possiamo darci del tu”.

La ragazza superò il momento di rabbia e di stizza che l’aveva colta. “Agnese” rispose con tono addolcito. “Grazie per l’aiuto e l’offerta”.

Si sentì in obbligo di mostrarsi cortese, perché, se Marco non fosse passato per quella strada, lei non avrebbe saputo come uscire da quella situazione. Non si vedevano case nelle vicinanze. Solo qualche indistinta forma in lontananza. Inoltre non era pratica della zona, perché era la prima volta che si avventurava da queste parti. Rischiava di vagare alla ricerca di aiuto.

Eseguito il cambio di sim, armeggiò a lungo con il telefono senza risultati apprezzabili, salvo alcune imprecazioni poco consone a una ragazza. Nessuno aveva risposto alle sue chiamate.

Sono desolata,“ disse Agnese sconsolata, “ma non trovo nessuno”.

Si diede della sciocca perché aveva lasciato a casa il tubolare di scorta. “L’esperienza mi sarà utile per la prossima volta” concluse.

Il paese più vicino non dista più di tre o quattro chilometri”. Le spiegò che c’era un vecchio artigiano, che riparava le biciclette, o almeno c’era fino a un anno. Marco le propose di salire sulla canna della sua bicicletta e aggiunse che con una mano potevano portare la sua incidentata.

Non sarà comodissimo. Ma possiamo farcela” concluse, sorridendo.

Agnese, rassegnata, allargò le braccia e si sistemò sulla Colnago di Marco, mentre si avviarono lentamente verso il paese. Rischiarono più di una volta di cadere. L’allegria per l’insolita avventura, che rompeva la monotonia della pedalata in solitario, li aveva contagiati come una malattia infettiva.

Arrivati, trovarono fortunatamente l’officina aperta.

Buongiorno,“ disse Marco, “questa mia compagna di viaggio ha forato, ma non abbiamo niente per ripararla. Lei potrebbe farlo?”

Certamente,“ rispose l’anziano artigiano, “ci sarà un po’ da pazientare”. Nell’attesa li fece accomodare all’ombra di una quercia nella corte. Intuendo che avessero sete fece portare loro qualcosa di fresco. Marco e Agnese si sistemarono su due sedie da bar un po’ sgangherate attorno a un tavolo rotondo di ferro con diverse traccia di ruggine. Una signora dai capelli candidi arrivò poco dopo con una bottiglia di acqua fresca, una birra e due bicchieri.

La ragazza aveva il viso cotto dal sole, come gambe e avambracci, che indicava con chiarezza che era una ciclista. La pelle candida, che faceva capolino dalla maglia intrisa di sudore, contrastava col colore di quella accanto. Aveva una corporatura minuta e ben proporzionata con muscolatura tonica, non troppo appariscente. Un caschetto di capelli scuri incorniciavano il viso dove spiccavano due bellissimi occhi blu, molto vivaci. Il seno sotto la tuta era sodo e non troppo pronunciato, come se fosse un’adolescente. Nel complesso era piacevole da vedersi, perché le forme erano proporzionate e armoniche.

Marco parlò di sé, mentre sorseggiava la birra. “Sono laureato di fresco in ingegneria gestionale” disse. “Al momento sto valutando le offerte ricevute”. Aggiunse che desiderava trovare qualcosa in zona, perché amava troppo Ferrara per lasciarla. “Ho venticinque anni. Tu cosa fai?”.

Agnese, dopo alcuni istanti di silenzio, rispose che era laureata in economia e commercio e lavorava da un paio d’anni nell’area amministrativa del centro commerciale Le Valli. La sua grande passione era la bicicletta, che inforcava ogni volta che gli impegni le lasciavano un po’ di tempo libero.

Oggi è una giornata di ferie non troppo felice per il momento” affermò, facendo un lungo sospiro. “A parte il tuo arrivo provvidenziale”. Ironicamente auto commiserandosi, aggiunse che era vecchia, perché aveva quasi ventinove anni e sarebbe rimasta zitella. Scoppiò in una gran risata. “Chi vuoi che mi prenda?” esclamò, ridendo. “Amo solo la bicicletta! Se potessi andrei a letto con lei”.

Rimasero in silenzio per qualche minuto, come se avessero esaurito le parole per conversare. Agnese osservò Marco attentamente. ‘Mi sembra una persona tranquilla con le idee chiare in testa ma poco pratiche’ rifletté. “Cosa pensi di trovare in zona per sfruttare la tua laurea?” disse per dare corpo alle sue perplessità. “Non mi sembra che ci siano molte possibilità!”

Marco sorrise. “Qualcosa troverò, basta avere pazienza”.

Continuarono a parlare di ciclismo, di libri e di hobby come vecchi amici, mentre si dissetavano senza accorgersi che il sole era alto nel cielo. Il vecchio arrivò con la bicicletta di Agnese, scusandosi di averli fatti attendere più del tempo preventivato.

Ecco la vostra bicicletta, signorina” disse.

Quanto le devo per la riparazione?” gli chiese la ragazza.

Nulla. Ho messo una pezza, che le permetterà di arrivare a casa. Non avevo un tubolare adatto per sostituirlo” rispose.

Nulla?” fece Agnese con tono sconcertato e sorpreso. “Avete lavorato, ci avete offerto da bere e non volete nulla?”

Dal portafoglio nel marsupio tolse venti euro, che cacciò nella tasca del vecchio. “Non so come ringraziarvi perché ero in un bel guaio” gli disse. “Voi mi consentite di tornare a casa!”.

I due ragazzi, dopo aver salutato e ringraziato quella coppia di anziani gentili e simpatici, salirono sulle rispettive biciclette per tornare in città.

Erano ormai prossimi a Ferrara, quando Agnese disse: “Grazie, Marco. Sono stata molto felice d’averti incontrato e senza il tuo opportuno aiuto sarei ancora là sul ciglio della strada a meditare sui miei peccati. Prima di salutarci, possiamo scambiarci i nostri numeri di telefono?”

Eseguito lo scambio, immaginando un improbabile nuovo incontro, Marco salutò Agnese, che prese la prima strada sulla destra.

Ritornato a casa, dimenticò l’episodio e non ci pensò più per molti mesi.

Non passava giorno – cap. 8

 

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Laura attese invano la telefonata di Marco nei giorni seguenti la partenza e ricominciò a vivere faticosamente tra inviti e colloqui di lavoro.

La ferita era aperta e non rimarginava per nulla. Dopo la serata trascorsa insieme cortesemente ma con fermezza si era sottratta alle attenzioni di Paolo. ‘Non è questo il modo per uscire dalla crisi per la rottura con Marco’ si disse. ‘Affrontando un’avventura con lui, so che sarà un’effimera storia’.

Il corteggiamento le faceva piacere, perché la faceva sentire viva. Tuttavia lo percepiva come un errore, perché avrebbe cercato di sostituire Marco con una persona che in questo momento non la stimolava per nulla. Paolo era una persona simpatica e intelligente, gradevole nella compagnia. Questo era insufficiente per trasformarlo in qualcosa di più.

Rifletté che nelle prossime settimane la lista dei pretendenti si sarebbe allungata e di certo non sarebbero mancate occasioni in futuro. Adesso doveva mettere ordine nella testa, che pareva come quella di un pugile groggy, e recuperare un minimo di equilibrio interiore, spezzato dal trauma per la rottura con Marco.

Le due amiche si vedevano e si sentivano, ma le loro strade stavano prendendo due direzioni diverse: Laura da single senza speranze, Sofia in relazione stabile.

Sofia dopo la laurea in matematica aveva trovato lavoro presso una società di consulenza informatica. Ben presto si era conquistata la fiducia dei superiori per le sue capacità professionali e per il carattere deciso e spiccio nell’approccio con la clientela, che era stato apprezzato da tutti. Non aveva avuto storie importanti ma brevi relazioni che morivano da sole per la sua personalità spiccata e forte, che non lasciava spazio al compagno. Lei li annichiliva e li riduceva a comparse. Sofia cercava uomini speciali pronti a raccogliere le sfide, che lanciava, creativi per compensare il senso di routine e di abitudinario del suo carattere, abili nel contrastare il suo decisionismo. Insomma desiderava un uomo che fosse un coacervo di tanti temperamenti diversi e contrastanti. Nessuno andava bene.

Tuttavia una svolta importante nella sua vita era scaturita dopo l’incontro con Matteo. Sofia aveva preso una sbandata paurosa per lui. Faceva coppia fissa, quando era disponibile. Gli effetti si notavano: il suo temperamento spigoloso si era addolcito. Aveva trasformato la sua personalità. Con Matteo era il primo e vero rapporto sentimentale che l’aveva coinvolta, stravolgendo un’esistenza, scandita da ritmi regolari e quasi metodici.

Era ancora vergine. ‘Se devo donare il mio corpo a un uomo,’ si diceva sempre ‘lui dovrà essere per forza il compagno della vita, la persona giusta secondo le mie aspettative’. Questo concetto lo ribadiva con forza anche con Laura. Tuttavia pur sentendo una forte attrazione fisica, evitò di fare sesso con Matteo: voleva essere certa che fosse il partner giusto.

Lui era stato attratto dalla personalità di Sofia, decisa e determinata, e dalla cultura vasta ed enciclopedica, che le consentiva di spaziare su qualsiasi argomento. Sofia era informata su qualsiasi tema, che trattava con proprietà e competenza. Trovava piacevole ascoltarla e dialogare con lei. Per questo motivo l’aspetto fisico era passato in secondo ordine. Matteo si era imbattuto fino a quel momento in ragazze scialbe e scolorite, con le quali faticava a intavolare una conversazione, che non vertesse sul sesso e sul gossip mediatico. Alcune di loro a letto erano delle autentiche bombe atomiche, perché parevano il kamasutra spiegato in pillole per le tecniche che adottavano. Queste relazioni duravano poco, perché, terminata la prima ondata di spinta erotica, non c’erano altri argomenti adatti a far lievitare il rapporto. Arrivato a trenta anni, come Paolo, e inserito come socio senior in uno studio di commercialisti, sentiva la necessità di trovare una donna da amare non solo nel letto ma soprattutto nel tempo libero. Spesso partecipava a cene di lavoro importanti e non poteva permettersi il lusso di trascinarsi dietro delle ragazze appariscenti tanto frivole quanto disinibite. Così agli occhi dei commensali appariva come lo scapolo d’oro impenitente, il single solitario e un po’ snob, poiché era rimasto praticamente l’unico a presentarsi sempre solo. Qualcuno con più malizia diceva: “Non l’ho mai visto con una donna. E’ sempre insieme con l’amico architetto, un altro single d’oro. Che sia gay?”

Questi commenti acidi e maligni lo ferivano a morte ma era impossibilitato a replicare con fatti concreti. ‘Non posso portare ai pranzi la Debby o la Vale’ si diceva amaramente, ‘loro sono capaci di farsi scopare dal primo commensale disponibile sotto il tavolo’. Quindi concludeva, che da gay finiva per diventare cornuto e mazziato.

L’incontro con Sofia sembrò offrirgli la classica scialuppa di salvataggio per mettere a tacere le dicerie. ‘Sofia ha una discreta serie di caratteristiche positive’ rifletté Paolo. ‘É una donna con un bel corpo, modellato dal nuoto, è intelligente quanto basta per di tenere in piedi qualsiasi conversazione. Ha un caratterino niente male che le permetterebbe di farsi un sol boccone di tutti i maligni’.

Non erano solo questi i motivi che lo rallegravano. Dopo quel fortuito incontro alla Caffetteria del Corso rifletté, se quella istintiva simpatia, che era sorta tra di loro, avrebbe potuto tramutarsi in qualcosa di più. Per lui era decisamente bella, una bellezza non vistosa o appariscente ma ricca di concretezza e sostanza. Ne era rimasto colpito fino dal primo istante in maniera non casuale. Era scattata una scintilla che adesso si era trasformata in un vistoso fuocherello, perché gli era piaciuto il modo gradevole di proporsi. Gli sembrava che anche Sofia ricambiasse la simpatia, perché questa era la sensazione ricevuta.

Conoscendola più a fondo, si convinse che sarebbe stata la partner giusta per lui. I loro caratteri era complementari. Sofia aveva una personalità decisa ed era una persona metodica e abitudinaria. Matteo era più timido negli approcci ma amava improvvisare e cercare le novità. Tuttavia non aveva altrettanto sicurezza che sarebbe riuscito a trasformare un’attrazione empatica in amore. Matteo giudicò, qualche settimana dopo il primo incontro, che fosse venuto il momento di uscire allo scoperto per verificare, se la reciproca simpatia era un bluff oppure realtà.

Matteo affrontò l’argomento una sera di fine settembre con l’estate, che tardava a lasciare il posto all’autunno e alle prime nebbie. Stavano sotto il pergolato di una trattoria sul lago di Como a cenare a lume di candela, quando le prese la mano.

Sofia“ cominciò Matteo. “Sento dentro di me una vocina che mi sussurra queste parole. Parlale col cuore in mano. Sarà buffo di questi tempi. Dichiarale il tuo amore. Sembrerà ridicolo e antiquato. Ma man mano che imparo a conoscerti meglio, capisco che ti voglio bene. Non oso dire che sia amore ma lo penso. Mi sento impacciato e un po’ fuori dal mondo di oggi nel pronunciare queste parole”.

Rimase in silenzio in attesa di una risposta.

Sofia deglutì nel tentativo di riacquistare la padronanza dei pensieri. Pensò di rispondergli di essere stata colta di sorpresa e di non essere in grado di affermare che anche lei lo amava. ‘Che parole vuole ascoltare da me?’ si disse in un attimo.

Ti amo” esclamò decisa, dopo aver superato un breve momento di smarrimento. Proseguì affermando che sentiva dentro di lei una strana sensazione che non aveva mai provato.

Dicono che è amore. Se questo è vero, allora è bellissimo!” concluse Sofia, che, alzatasi dalla sedia, diede un bacio sulle labbra a Matteo.

Erano entrambi incuranti degli sguardi maliziosi degli altri avventori, che ascoltarono curiosi le parole che la coppia si scambiava a voce alta.

Aggiunse che al ritorno a Milano lo invitava a casa per il brindisi della staffa a suggello della splendida serata.

Non mettersi in testa idee malsane” lo minacciò. “Il sesso è bandito almeno per questa sera”.

Matteo scoppiò in una risata fragorosa, che fece nuovamente voltare tutti verso di loro. “Di sesso ne ho fatto un’abbuffata talmente grande che ho fatto promessa di castità per i prossimi vent’anni!”.

Se è così” rispose maliziosa Sofia “e meglio chiudere qui la partita!”.

Non fraintendermi” replicò di buon umore Matteo, conscio di avere detto una baggianata. “I vent’anni si possono ridurre a giorni od ore, perché, sia ben chiaro, non è un voto vincolante. Ma una semplice scommessa con me stesso, che sinceramente vorrei perdere!”

Tornati a Milano, Sofia brindò con Matteo per l’inizio di una relazione voluta e sognata da entrambi. Teneva in frigo un Veuve Clicquot Ponsardin da stappare in una occasione speciale. Lei andava pazza per questo champagne dal gusto morbido e delicato con leggere bollicine, che amava regalare agli amici più cari o berlo in loro compagnia.

La voce sesso fu bandita dalle loro conversazioni. Si tenevano per mano come due ragazzini ai primi amori seduti sul divano di pelle azzurro Tahiri di Natuzzi illuminati dalla luce di Parentesi di Flos, mentre la notte avanzava decisa.

Una storia così anonima – parte ventottesima

dal web
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Poitiers, 15 novembre 1307, ora sesta – anno secondo di Clemente V

Pietro rientra nella sua stanza, trovandola sottosopra. La sacca da viaggio vuotata sul pavimento e completamente stracciata. I ricambi degli indumenti ridotti in brandelli. Anche la camera appare devastata. Il pagliericcio, su cui ha dormito, devastato, la piccola poltrona di velluto squarciata. Uno spettacolo da lasciare allibiti chi avesse visto lo scempio.

‘Cosa cercavano?’ si chiede, osservando quella desolazione. ‘Ma è tanto importante, quello che ho stretto in cintura, da provocare queste rovine?’ si dice, cercando di ridare una parvenza di ordine alla stanza. Prima di mettersi in viaggio dovrà procurarsi una nuova sacca e degli indumenti di ricambio. Sa che il viaggio sarà lungo e pericoloso. Chi gli dà la caccia, non arretrerà di un pollice. Tuttavia per il mobilio non può fare nulla.

Mentre esce, s’imbatte in Philippe. “Qualcuno mi vuole male” fa Pietro, mostrandogli la camera.

“Ma chi?” domanda il chierico.

“Non saprei” afferma il frate, scuotendo la testa. “Passo dal cardinale per salutarlo”.

“Partite? Così presto?”

“Sì, la commenda di Bologna mi attende. Il viaggio di ritorno sarà lungo e disagevole per il tempo” dice Pietro, abbracciandolo con vigore.

Philippe resta in silenzio. Si era affezionato a questo templare rude ma sincero. Il pensiero che parta e che difficilmente lo rivedrà, gli lascia nell’anima un vuoto e una profonda amarezza. Vorrebbe seguirlo ma non gli è permesso. Lo vede allontanarsi a passo svelto, mentre lui ritorna nella sua stanza.

Pietro si avvia senza indugi. Non vuol mostrare l’emozione che l’ha colpito e gli volta le spalle. Cancella dalla mente questo addio e si concentra sulla missione da compiere. É consapevole che anche i muri hanno orecchie e occhi. Cerca di mostrarsi disinvolto, fingendo di ignorare che qualcuno lo possa seguire. Salutato il cardinale, al quale narra gli ultimi inconvenienti, acquistato nella cittadina, quanto gli serve per il viaggio, compresa una rudimentale mappa per orientarsi, esce da Poitiers all’ora nona. Inizia la nuova avventura verso quel posto sperduto nel sud della terra dei Galli, dove un tempo vivevano i Catari. Cavalca spedito, perché tra non molto dovrà fermarsi. Le giornate corte di novembre e il cielo cupo di nuvole gli danno solo un paio d’ore di cammino.

Riflette. ‘Anche se non lo vedo, di certo quel cavaliere mi viene appresso e dovrò fare molta attenzione. Sono in un territorio nemico, dove a ogni passo si nasconde un’insidia. Il cardinale mi ha concesso un salvacondotto. Tuttavia servirà a poco’ si dice, mentre, arrivato a un villaggio vicino a un fiume, si ferma per la notte nella locanda de I Tre Cervi.

Poitiers, studio del cardinale Colonna, 15 novembre 1307, ora sesta – anno secondo di Clemente V

Il cardinale Colonna riceve Louis de Chevalier e ascolta quello che gli dice. Tiene il capo appoggiato alla sua mano e pensa che questo cavaliere sia un incapace. Non mostra i suoi pensieri ma annuisce ogni tanto.

“Cosa proponete di fare?” gli chiede brusco, interrompendo la lunga litania di scusanti.

“Di seguirlo, se abbandona questo palazzo” risponde Louis, che ha compreso che il cardinale è di umore tutt’altro che buono.

“Non avete dato prova di grande abilità” replica acido Colonna.

Il cavaliere resta in silenzio. Senza dubbio ha ragione. Gli è sfuggito di mano in un tragitto abbastanza facile. ‘Non è che qui mi sia dimostrato abile’ si dice, ‘qualsiasi cosa dica a mia discolpa, appare come un’ammissione di incapacità’.

“Non siete riuscito nemmeno a ucciderlo al primo albore nel silenzio di una notte buia” continua il cardinale a infierire su Louis. “Sono certo che entro domani tornerete con la coda tra le gambe, perché lui vi ha seminato”.

Colonna è irritato. Quel Pietro da Bologna ha aiutato il nemico, Bonifacio VIII, nella guerra tra le due famiglie. Nuovamente è ricomparso, protetto dall’avversario, cardinale Caetani, che è riuscito a toglierlo dalle grinfie di Guillaume de Nogaret. Il viso è una maschera di ghiaccio ma dentro bolle come la camera magmatica di un vulcano in eruzione.

Louis intuisce i pensieri malevoli del cardinale e onestamente non lo può smentire. Ritiene che il silenzio sia la migliore difesa, Però rischia di irritarlo ulteriormente, facendolo esplodere.

“Col vostro permesso” dice Louis de Chevalier “uscirei dal palazzo per attendere la preda”.

Il cardinale fa un gesto con la mano infastidito. “Andate ma se tornate a mani vuote, vi farò giustiziare”.

Il cavaliere fa inchino e si prepara a seguire Pietro. Lo vede uscire e poi rientrare. Non comprende quel muoversi ma attende fiducioso. Si sta annoiando, osserva due giocatori di dadi e si distrae. Alza gli occhi e vede il frate in fondo alla via. Impreca, raggiunge il suo cavallo e si pone all’inseguimento. ‘Il cardinale aveva ragione. Rischio l’ennesima figura da incapace’ si dice col cuore a mille. ‘Dove sarà andato? Non lo scorgo più’ fa, bestemmiando contro se stesso.

Prova a ragionare con lucidità, mentre raggiunge la porta di uscita. ‘Se sta facendo ritorno in Lombardia, potrebbe puntare o a est o a sud. Se invece…’. Impreca per la sua dabbenaggine. Chiede al sergente delle guardie se ha visto uscire un cavaliere con un mantello bianco. “Sì” gli risponde. “Che direzione ha preso?” insiste Louis, che scalpita per mettersi all’inseguimento. “Quella strada lì” gli risponde, indicando un sentiero fangoso, che taglia un fitto bosco. Senza ringraziarlo, Louis parte al galoppo all’inseguimento di Pietro. Le tracce sono nette sul terreno molle per la pioggia della notte. Raggiunge un villaggio posto sulla riva di un fiume. Ormai è sera. Di sicuro il frate si è fermato lì. C’è un’unica locanda. Non ha molta scelta. Non conosce l’area.

“C’è una stanza per la notte?” chiede alla locandiera, una donna dalla corporatura robusta quasi obesa e dai capelli scuri e unti.

“Sì. Due denari d’argento” dice, pretendendo il pagamento in anticipo.

Louis scende nella stanza dove servono la cena. Una graziosa servetta gli serve una zuppa di cipolle, carote e ceci, condita con pane nero di segale. Il cavaliere le fa un cenno col capo. Mette sul tavolo in bella vista una moneta d’argento. La ragazza si avvicina, incurante degli sguardi della locandiera. “Volete altro” gli chiede, avvicinando la mano alla moneta.

“Sì. Un’informazione” fa il cavaliere, spingendo con un dito il denaro sotto il palmo della servetta, che lo afferra saldamente.

“Cosa?” domanda sottovoce.

“C’è un monaco tra i vostri ospiti?”

“Sì” risponde sibilando, prima di riacquistare il tono normale. “Cosa vi servo?”

“Il piatto della locanda” risponde Louis, mentre compare un denaro d’argento.

“Montone e cavoli” fa la ragazza, alla quale brillano gli occhi alla vista della nuova moneta. ‘Il mio Claude sarà felice’ pensa.

“Va bene” dice il cavaliere, facendola rotolare sul tavolo. Gli piace. É graziosa e pare smaliziata. Una compagnia durante la notte non sarebbe male per migliorare l’umore.

“Cosa vuole da te quel forestiero?” dice la locandiera, che ha seguito con sospetto la conversazione.

“Cosa c’è dopo la zuppa” risponde, andando in cucina.

Mentre la ragazza serve il montone, Louis le sfiora la mano, insinuando il denaro tra le dita. “Avete degli impegni per la notte?” le domanda, mentre afferra la carne.

“Potrei essere libera per due denari” replica la servetta, mentre si allontana.

Louis sorride. ‘Mica stupida la servetta’ si dice, mentre strappa un altro lembo di carne. ‘Due denari li vale. Ha un culo sodo e ben tornito. Credo che mi farà divertire stanotte. Avrò modo di interrogarla, senza avere addosso gli occhi di quella grassona’.

Terminata la cena, il cavaliere chiede un bicchiere di vino rosso speziato con qualche dolcetto, che gusta lentamente. Non ha fretta e vuole tenere sulle spine la ragazza, che gironzola irrequieta attorno al tavolo, dove in bella mostra stanno tre denari d’argento.

“Vi aspetto” fa Louis, mentre le tre monete cadono per terra. La servetta si ferma a raccoglierle e finge di restituirle. “A dopo” gli dice sorridente.

Louis con calma si alza e paga alla locandiera la cena consumata, prima di ritirarsi nella sua camera.

Passa qualche ora, quando ode un bussare discreto. “Avanti” dice il cavaliere disteso sul letto. Dalla porta vede sbucare il viso lentigginoso della ragazza, che scivola velocemente dentro.

“Credevo di non vedervi stanotte” dice acido l’uomo.

“Non ho potuto prima” risponde la ragazza, che fa scivolare a terra la veste di lana, rimanendo nuda.

“Venite qui o vi prenderete un accidente” fa Louis, facendole posto accanto a lui. “Però prima di divertirci, voglio qualche altra informazione”.

“Non era nei patti” replica risentita la ragazza, già pentita di avere accettato l’invito.

“Però l’accordo era per due denari. Io ve ne ho dati tre. Un quarto è per le informazioni” afferma il cavaliere con decisione, abbracciandola. “Il monaco, non l’ho visto in sala? Per caso è partito?”

La ragazza non si sottrae all’abbraccio. Tuttavia vorrebbe monetizzare quello che gli rivelerà. “Un altro denaro e vi racconterò tutto quello che vi interessa”.

Louis ride, mentre con le mani le fruga il corpo. “Siete troppo avida. Rischiate di non ottenere nulla” le dice senza smettere di toccarla. “Ora rispondete senza indugio, se volete evitare guai”.

La servetta vorrebbe sgusciare fuori dal letto ma le mani robuste del cavaliere la inchiodano sul materasso di paglia. “Non costringetemi a usare la forza” le sibila nell’orecchio, mentre si mette a cavalcioni su di lei.

La ragazza trema. Ha capito di essere stata troppo imprudente. Ha ragione il cavaliere nell’affermare che l’avidità potrebbe perderla. Sente l’uomo che si scarica dentro di lei. Prende coraggio e parla. Sa che non può fare altrimenti “Gli ho servito una frugale cena in camera”.

“Così va meglio” risponde Louis, che con le mani le blocca le braccia. “La sua stanza dove si trova?”

“Al vostro stesso piano. Tre porte avanti” dice con la voce incrinata dal pianto.

“Suvvia, siate allegra. Vi divertirete stanotte con me” esclama Louis. “Se vi dimostrerete docile, altri due denari finiranno nelle vostre tasche”.

Non passava giorno – cap. 7

 

Foto tratta da compagniadelgiardinaggio.it
Foto tratta da compagniadelgiardinaggio.it

Sofia e Laura a Milano si sistemarono nel letto matrimoniale, per parlare di Matteo, delle loro paure e delle loro aspettative, di Marco prima di addormentarsi. La serata era andata in modo diverso da come l’avevano programmata. Ricca di avvenimenti inattesi e per certi versi movimentata.

Sofia era eccitata per avere conosciuto Matteo. Continuava a raccontare quello che si erano detti nella serata. Pareva caricata a molla. Era difficile per l’amica interromperla.

Laura era invece nervosa e depressa. Aveva compreso che Paolo l’avrebbe corteggiata, se lei gli avesse offerto l’opportunità.

Marco a Ferrara stentava ad addormentarsi per il tumulto interiore dopo il suo ritorno da Milano. Si girava nel letto e non riusciva a chiudere gli occhi. I pensieri erano per Laura. Non riusciva a dimenticarla. Era sempre presente nella sua mente. Lei lo guardava coi suoi occhi verdi per rimproverargli la rottura.

La notte finalmente calò nera su tutti, mettendo fine alla giornata, che pareva non finire mai. La stanchezza aveva vinto la battaglia del sonno.

Laura era con Marco. Stavano seduti nel parco dell’università sull’erba tappezzata di margherite bianche, stringendosi le mani. Lei con passione gli parlava dell’amore che provava. Si sentiva forte e senza timori, perché Marco le era vicino. Era felice come mai lo era stata in passato. “Ho passato un momento di incertezza e angoscia per la tua lontananza” gli disse. Le brillavano gli occhi per la presenza inaspettata del suo amore.

Ieri ti ho pensato con un’intensità tale che mi è sembrato che la testa esplodesse. Per magia sei qui con me” fece Laura, guardandosi intorno. “C’è troppa gente. Mi sento osservata, spogliata nel corpo, frugata nell’anima. Voglio stare sola con te”.

Marco raccolse una margherita, che mise tra le ciocche ramate dei capelli, che brillavano sotto il sole. “Vieni, andiamocene” le sussurrò nell’orecchio, mentre l’aiutava ad alzarsi.

Laura aspettava con impazienza che Marco la prendesse tra le braccia per sentirsi stretta forte a lui. Arrivati a casa, si abbracciarono e si baciarono con un’intensità che non ricordava.

Amore,“ gli disse “amore prendimi: sono tua. Dono me stessa a te, affinché i nostri sensi siano appagati”.

Si spogliarono in fretta ansiosi di accontentare il loro desiderio.

Sofia, agitata e appassionata, come una ragazzina al primo amore, smaniava con Matteo. Si trovavano in un giardino sconosciuto, immenso e solitario, con grandi alberi frondosi ed enormi aiuole piene di fiori. Il posto era indefinito, forse una miscela di tante località assortite insieme.

Camminavano lungo un viale, contornato da cespugli di rose canine bianche lievemente rosate. Sembrava che parlassero ma non si udiva nulla.

Sofia lo guardava in estasi, avrebbe voluto dire molte parole. Dalla bocca non usciva alcun suono a rompere il silenzio del posto incantato.

Matteo la conduceva sicuro e deciso all’interno del giardino verso un gazebo rotondo sotto la quale stava una panchina di legno di rovere. Un arco adorno di rose rampicanti e di gelsomino rustico lasciava libero l’ingresso: sembrava un’alcova nascosta, pronta ad accoglierli. Tenendole la mano con dolcezza, la condusse all’interno, che era illuminato da una spira di sole.

Sofia si strinse a lui a cercare protezione, perché soffriva nei luoghi chiusi. Rimasero a lungo sulla panchina strettamente abbracciati, mentre si scambiavano degli intensi baci. Sentiva le mani di Matteo che l’accarezzavano con dolcezza infinita. Le dita leggere esploravano il suo corpo, mentre lei appoggiava le sue sul petto di lui. Sentiva il desiderio crescere, salire dalla mente, esplodere dentro di sé.

Marco era con Laura in un luogo indistinto e sconosciuto. Era agitato e nervoso, mentre scorreva immagini, composte di frammenti e di ricordi, che si alternavano in un turbine vorticoso.

Laura, ho bisogno di sentire la tua voce, il calore delle tue parole” borbottava incerto, come se fosse stata lei ad abbandonarlo.

Per incanto si trovò in un posto sfumato nei contorni e ignoto ai suoi occhi, sembrava uscito dal libro delle favole tanto era affascinante e seducente. Era una città come Milano a misura d’uomo. Strade ampie si aprivano davanti a lui. Le persone camminavamo a piedi o in bicicletta senza fretta e con il sorriso sulle labbra senza nessun timore, perché le auto erano state bandite Qui tutti si conoscevano e si rispettavano. Ebbe un senso di smarrimento. Incredulo e perplesso si chiese, dove fosse. In lontananza una donna dai capelli rossi avanzava e spariva tra raggi di sole e ombre trasparenti, ‘Chi sei?’ si domandò. ‘Laura non abita in questa città misteriosa e straniera’.

Grandi ontani fiancheggiavano la strada. Una siepe di photinia dalle belle foglie verdi e rosse separava la sede stradale dal marciapiede. A destra e a sinistra giardini e abitazioni di modeste dimensioni guardavano Marco, che camminava verso quella donna misteriosa.

‘Si, è lei, Laura! La donna che sogno tutte le notti’ si disse Marco sorridendo. ‘L’ho abbandonata piangente su una panchina qualche giorno fa’. La ragazza appariva radiosa, bella come mai l’aveva vista prima.

Laura, “ sussurrò Marco “Laura sei tornata! Ti sto aspettando”.

Aspettava un suono, che non arrivava. Voleva cogliere un suo segno, mentre il silenzio, che rimbombava nella sua mente, lo tormentava.

Ora ti vedo, ti sento, ti tocco” le disse deciso e sincero “dammi la mano ed entriamo nel giardino d’inverno”.

La strinse con dolcezza e la condusse nel giardino d’inverno. Era un posto fatato, ammantato di pulviscolo bianco. Una panchina appena imbiancata di polvere, che sembrava neve, li aspettava, impaziente di ascoltare i loro segreti. Una brezza fresca tolse il bianco candore, lasciando nudo il legno di rovere. Questo era il posto magico, dove si rifugiavano gli innamorati in cerca di pace e silenzio.

Laura, “ bisbigliava Marco all’amata, “dove sei stata?”.

La guardò con gli occhi dell’innamorato. Tuttavia lei continuava a tacere.

Ti ho attesa” le disse “ho aspettato dal giorno nel quale ti ho lasciato sotto il cedro del Libano. Non sei venuta, perché sei irritata con me?”

Marco,“ rispose con un sussurro Laura, “sei tu che devi chiarirmi perché mi hai abbandonata. Sei tu, che dovevi chiamarmi e dirmi ‘Amore, perdonami! Ritorno da te.‘. Io ti avrei perdonato”.

Il sogno svanì. Marco a fatica aprì gli occhi. Sapeva di avere sbagliato.

Non trovo la forza di telefonarti per dire ‘Amore, perdonami!‘”.

Non poteva farlo, perché la sua esistenza era qui per sempre.

Amore, perdonami!”

Sofia e Laura si svegliarono con un sussulto con le mani e la bocca che cercavano gli amanti.

Laura, “ disse ridendo Sofia, “perché mi stai baciando? Io non sono Marco!”

E tu, “ rispose lei assorta e insonnolita, “ mi hai scambiata per Matteo! Mi hai sfiorati seni e sesso!”

Oh, no. Facevo questo? Perdonami. Stavo sognando Matteo. Eravamo in un posto incantato e mi sono lasciata trasportare” replicò Sofia non troppo imbarazzata.

Anch’io ho reso troppo realistico il mio sogno e ti ho scambiata per Marco” aggiunse Laura con le guance imporporate dalla vergogna.

Risero a lungo e si lasciarono cullare nuovamente dal sonno.