Zipepecchia, caos Liberty o altro ancora?

Tramonto - Foto personale
Tramonto – Foto personale

Zipepecchia col suo Caos Liberty ha avuto la sventurata o meravigliosa idea di pensare a me per qualcosa che ho compreso poco. ma visto che era simpatico ho pensato bene – o male a vostra discrezione – di proseguire il giochino.
Vediamo in soldoni cosa si tratta. Innanzitutto si partecipa e non si vince nulla. Ottimo e abbondante, così non devo nemmeno imprecare contro la malasorte. Poi hai il libero arbitrio di poter scegliere. Meraviglioso. Ma procediamo con ordine.
Vi sono due liste di regole da eseguire per chi partecipa, ognuno è libero di scegliere quali delle due effettuare, io ho optato per la prima:) Tanto la seconda non mi piaceva per niente. E poi se qualcuno legge il post il commento non lo lascia di certo.
La prima regola

  • Ringraziare le persone che ci hanno nominato;
  • Rispondere alle 10 domande da loro proposte;
  • Scrivere 10 nuove domande;
  • Nominare altri 10 blog;
  • Comunicare ai blog scelti la nomina con un commento sotto un loro post

La seconda regola

  • Lasciare un commento a questo post;
  • Seguire il blog di Bamboo Road e quello di Neogrigio;
  • Rispondete alle 11 domande da me formulate per voi e taggatemi in modo da leggere le vostre risposte;
  • Formulate 11 ulteriori domande a vostra scelta a cui dovranno rispondere i vostri nominati;
  • Nominate 11 blog e avvisateli;
  • Inserire nel post il distintivo del Liebster Award.

Uffa! Cominciamo la solita trafila.
I ringraziamenti  a Zipepecchia a modo mio glieli ho gia fatti. Però se non fosse chiaro scrivo

GRAZIE

Più chiaro di così…

Vediamo le 10 domande, che in realtà sono undici – Ma nella regola 1 era indicato 10. Evidentemente Zipepecchia è cresciuta –

Comunque bando alle polemiche, ecco le dieci, pardon undici, bubbole a cui devo rispondere.

  1. Se hai visto il film “La grande bellezza”, dimmi ciò che ti ha trasmesso, ciò che hai captato all’interno del film e le sensazioni che hai provato guardandolo.

Non l’ho visto. Mi riservo il diritto di non rispondere.

  1. Preferisci il dolce o il salato?

Dolce o salto, per me pari sono.

  1. Ti è mai capitato/capita di addormentarmi mentre dici una preghiera?

Come no! Tutte le sere!

  1. Quali sono i ricordi più stretti che hai con tuo nonno/a?

Bella domanda. Ero talmente piccolo che non ricordo nulla. Va bene?

  1. Vorresti essere sepolto o cremato? Se cremato, dove vorresti che fossero “gettate” le tue ceneri?

Cremato, cremato. Così sto in poco spazio. Gettare? Giammai! Non vedo il motivo di sprecare tre o quattrocento euro nell’urna e poi gettarla nel rusco. Sono venale?

  1. Perché scrivi?

Oh, bella! Sai che non ci avevo pensato. Fammi pensare? La maestra mi ha imposto di scrivere. Prima le aste, poi le lettere, infine i temi. Ho provato a dire che preferivo far di conto ma vi è andata male. Ho continuato a scrivere.

  1. Hai un sogno o un qualcosa o una persona che saresti voluta/o diventare e per vari motivi non hai potuto realizzarlo/ti?

Sogni? Ho un cassetto pieno. Domani al mercato ne provo smerciare qualcuno. Sarà dura. Una persona? No. nessuna invidia. Mi basta e avanza quello che sono. Qualcosa? Mica sono un dipinto o una statua!

  1. Cosa significano per te spensieratezza, libertà, felicità?

Chi mi conosce ha capito tutto. Comunque per il popolino spiego essere in pace con la propria coscienza.

  1. Se vincessi €500.000 ne daresti la metà o addirittura tutti a chi ne ha più bisogno di te?

Meglio di no! Perderei il sonno. Tutti che vorrebbero piluccare qualcosa. Se anche li donossi a chi ne ha bisogno più di me, avrei comunque la fila alla porta. Dunque, grazie ma non vinco nulla – tanto non ho mai vinto nemmeno al Gratta e Vinci-

  1. Se potessi essere un animale, quale vorresti essere?

Please? Un animale? Non basto io?

  1. Perché mi stai dando retta e se mi segui sul mio blog, perché lo fai? Rispondete senza peli sulla lingua.

Peli sulla lingua non ne ho. La barba, quella sì, che non mi faccio da una vita. primo cara Zipepecchia non ti dò retta. Ci mancherebbe altro! Non sapevo nemmeno che tu esistessi. Seguo il tuo blog? Non mi pare. Vedi la frase precedente. Se ripassi tra qualche tempo, forse posso rispondere all’undicesima domanda.
Stremato, mi fermo qui. E le dieci domande? Un’altra volta. Per i dieci blog da nominare farei un torto al resto del mondo. Dunque non mi sforzo nemmeno.
PS la foto non è nuova ma il tramonto delle idee ci sta tutto.

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Non passava giorno – cap. 32

Mangiarono senza troppe chiacchiere come se avessero paura di ripescare i fantasmi che con tanta difficoltà avevano confinato altrove.

Liberata la tavola, si sistemarono comodamente sul divano pronti ad affrontare argomenti e racconti, domande e risposte, quesiti e interrogativi in un clima pacificato.

Marco, sistemato in mezzo a Laura e Sofia, le teneva abbracciate. Aveva percepito che il bacio di conciliazione era stato qualcosa di più. Come se avessero trasmesso l’un l’altra un messaggio saffico. Era rimasto imbarazzato, perché non avrebbe immaginato di vivere una simile situazione. Nel contempo si era stupito. Non tanto per il gesto che visti i tempi potrebbe apparire normale ma perché non aveva mai ravvisato queste tendenze nelle due ragazze.

Mentre lui era impegnato a decifrare il loro comportamento, Sofia chiese senza troppe perifrasi a Marco le motivazioni per le quali aveva lasciato Laura.

Non capisco” disse la ragazza, guardandolo in viso, “i motivi per i quali hai rotto con Laura. Percepisco che esiste tuttora un grande e sincero amore tra voi”.

Laura conosceva le risposte, perché ne avevano parlato a lungo nel pomeriggio. Non diede segnali d’irritazione, mentre si preparava ad ascoltare le spiegazioni. Il suo viso era disteso, senza una ruga.

Marco rimase in silenzio, mentre osservò prima Sofia, poi Laura. Voleva essere chiaro nell’esposizione per non creare dei nuovi equivoci.

Ho vissuto fino a venti anni a Ferrara, una piccola città di provincia, dove i piedi e la bicicletta sono il mezzo di trasporto più usato” scandì con lentezza Marco. “È una città sonnolenta e pigra dai ritmi lenti. Qui ci si muove senza frenesia”.

Il ragazzo fece una pausa. Laura non mutò espressione. Nessuna ruga le increspò la fronte.

Di sicuro’ riconobbe Sofia, ‘questo ha modellato il tuo carattere, come un vestito cucito su misura’.

Marco sorrise alla battuta della ragazza. In effetti era proprio vero che questi ritmi di vita erano nel suo patrimonio genetico.

Giunto a Milano, mi sono sentito fuori posto. Ma allo stesso tempo stimolato dalle novità dell’ambiente” proseguì Marco. “Ero proiettato in un’altra dimensione esistenziale. Un mondo differente che si muoveva frenetico, di corsa. Nei primi momenti la curiosità di esplorare un ambito diverso dall’abituale, la ricchezza di offerte e di svaghi mi hanno colpito e in qualche misura attratto. I cambiamenti mi hanno fornito la spinta ad analizzare con attenzione un ambiente differente rispetto ai primi vent’anni della mia vita. La crescita e la maturazione del mio carattere avrebbe potuto essere, nel bene e nel male, positiva”.

Le due ragazze lo ascoltavano con attenzione, annuendo ai vari passaggi. Marco si fermò per qualche secondo. Doveva cercare di formulare il proprio pensiero con maggiore precisione.

Superato il primo impatto, tutto sommato stimolante, mi si è presentato un problema. La difficoltà di accettare i cambiamenti” disse Marco, riprendendo il filo del discorso. ”Sono entrato in crisi. Sono mancati quelle piccole certezze alle quali ero abituato. I punti di riferimento, ai quali ero avvezzo. Mi sentivo fuori posto, incapace di seguire ritmi così incalzanti e frenetici. Sarei sicuramente tornato a casa, se non avessi incontrato Laura e quel gruppo di persone eccezionali, che la frequentavano. Per me avrebbe rappresentato una sconfitta, se non ci fosse stato lo stimolo della laurea da conseguire in fretta”.

Si interruppe per osservare Laura, che si sistemava più vicino, mentre percepiva chiaramente il calore che trasmetteva.

Laura è stata in cima alla piramide per il sostegno, per l’amore che mi ha dato con sincerità” aggiunse, volgendo lo sguardo verso di lei. “Un gradino immediatamente più in basso è stato il gruppo, che mi ha aiutato e sostenuto a vincere la malinconia delle radici”.

Ricordava con piacere quanto fosse stata disinteressata la loro amicizia.

Senza di loro” concluse Marco, “non ho un’idea di cosa sarebbe successo”.

Nella stanza si udivano solo i loro respiri. La voce di Marco era incrinata dall’emozione nel ripercorrere quegli anni.

Si, Laura è stata la mia scialuppa di salvataggio, il mio faro di riferimento” disse Marco, abbracciandola. “Non so come ringraziarla. L’ho amata allora, l’amo tuttora e l’amerò domani, anche se saremo lontani”.

Percepì che le doveva molto di più di quanto non riusciva a trasmettere con le parole.

Però di una cosa sono conscio. I miei interessi e i miei desideri possono essere in contrasto coi suoi” affermò Marco. “Questo condurrà al disaccordo tra noi”.

Laura sussultò a queste parole, mentre Sofia sgranò gli occhi per la sorpresa.

Avrei dovuto mantenere distacco senza coinvolgerla. Ma non ci sono riuscito” proseguì. “La verità è che sono incapace di adattarmi a una vita diversa da quella immaginata. Nessuna intenzione d’imporre a Laura la mia volontà ma mi sarei opposto, se ella avesse tentato di fermarmi in ciò che desideravo fare. Dopo la laurea avevo tre possibili scenari: Laura si trasferiva a Ferrara, io restavo a Milano oppure tornavo a Ferrara, rinunciando a lei”.

Marco si fermò in attesa di obiezioni che non arrivarono.

Nessuna delle tre opzioni presenta dei pro che bilancino i contro. La prima non è percorribile, perché significa per Laura seppellirsi in un ambiente lontano anni luce da quello nel quale ha vissuto da sempre. Con in più altre problematiche, come la difficoltà di trovare un lavoro soddisfacente. Con grande fatica ho trovato un posto dopo otto mesi di ricerche a Bologna. Quale futuro avrei potuto riservarle, a parte il mio amore? La seconda mi avrebbe consentito di starle accanto, come la prima. Non avremmo avuto difficoltà a trovare ottimi posti di lavoro per entrambi”.

Marco, per rimarcare l’ultima affermazione, accennò al posto sicuro e interessante, che era disponibile il giorno seguente la laurea.

Ma aspiravo a quello che ho sempre desiderato” disse. “Tornare a Ferrara. Vivere a Milano per me sarebbe stato un inferno, un supplizio, al quale sarei sopravvissuto solo qualche mese. Rimaneva percorribile solo la terza soluzione, che avrebbe causato dolore a entrambi. Il tempo, le attività quotidiane sarebbero state in grado di lenire prima e guarire poi le ferite. Non avevo altra scelta” disse a conclusione del lungo monologo. “Quella dell’addio”.

Sofia, rimasta silenziosa durante il suo racconto, l’osservò stupita, vedendolo accanto a Laura.

Hai forse cambiato idea?” gli chiese.

Marco la guardò sorpreso e infastidito.

Se non l’amassi, ora sarei con Agnese anziché con Laura”.

Agnese?” esclamò Sofia basita, sentendo un nome sconosciuto della cui esistenza ignorava tutto. “Chi è?”

Marco riassunse in breve la storia di Agnese. “Ora sono qui a godere della vostra compagnia. Domani sarà un altro giorno. Al momento vivo alla giornata”.

Sofia stava replicando ma lui la interruppe.

Ho sentito di un audace domatore” disse Marco con un sorriso ironico. “A lui è riuscita l’impresa di domare la tigre. E’ vero?”

Veramente la tigre ha ingabbiato il domatore” affermò Sofia, ridendo di gusto. “Appeso alle mie labbra, lo faccio saltare attraverso il cerchio di fuoco allo schiocco delle dita”.

L’atmosfera era mutata. Le due ragazze non mostravano più segni d’interesse tra loro. Guardavano Marco, che polarizzava la loro attenzione. La conversazione proseguì su altri argomenti, finché Sofia non lesse l’ora. Si alzò di scatto dal divano.

Accidenti!” esclamò contrita ma allegra. “Ho promesso a Matteo di vederci alle undici. E’ mezzanotte passata. Non l’ho ancora chiamato! Sarà furibondo, perché non ama aspettare, come me. Ciao!”

Si” disse Laura con un tono algido, “è meglio che tu divida il tuo letto con Matteo, mentre io mi occuperò di Marco”.

Salutata Sofia, le augurarono una felice nottata.

Finalmente erano soli. Si abbracciarono teneramente.

Iniziarono i preparativi per la notte che li aspettava.

Marco pretese che la preparazione venisse eseguita insieme, nonostante le proteste di Laura.

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una storia così anonima – parte cinquantesima

Foto personale
Foto personale

Bologna, 1 marzo 1308, ora prima – anno terzo di Clemente V

Pietro arrivato in prossimità di Bologna dalla via Emilia, che proveniva da Ariminum, ha preferito entrare in città da Porta San Isaia. Ha atteso la mattina, quando le guardie hanno aperto i portoni delle cinta muraria più esterna, mescolandosi con i contadini che portano le loro mercanzie al Mercato di Mezzo. Ritiene opportuno non mostrarsi apertamente, perché per loro tira aria brutta. È impaziente di riabbracciare i fratelli e attende in un casolare abbandonato che il sole sorga.

Pietro è rimasto ospite presso l’Abbazia di Valvisciolo fino ai primi di febbraio, perché il maltempo in pratica aveva impedito qualsiasi movimento verso la Lombardia. Anche se si fosse messo in cammino prima, sarebbe rimasto bloccato nella terranova di Fiorenzuola. I valichi appenninici erano impraticabili per le tempeste di neve che si erano succedute da metà gennaio per diverse settimane con insolita violenza.

Nell’attesa del nuovo giorno ricorda la sua sorpresa, quando Berthod de la Roche aveva aperto il sacchetto di canapa in sua presenza. Ne ignorava il contenuto. L’essere ammesso alla sua apertura è stato un momento che ricorderà per sempre. Non potrà condividere questa gioia con i suoi fratelli, perché ha giurato di non rivelare a nessuno quello che stava osservando con occhi increduli.

Dal sacchetto è comparso un grande lenzuolo, piegato in più parti. Un tessuto dalla grana grossa, color ocra chiaro, dai bordi irregolari. Disteso sul pavimento occupava uno spazio di circa sette bracci per due. Era riconoscibile una figura umana dai contorni sanguigni.

Siamo rimasti impietriti dall’emozione’ ricorda Pietro di quegli istanti. ‘Il telo ha un ordito che non appartiene alla nostra epoca. È stato usato un telaio non usuale delle nostre provincie, aveva aggiunto Berthod. Sì, a memoria non ho riconosciuto dove poteva essere stato intrecciato’.

Cosa dite, fratello Pietro” ha domandato l’abate dell’Abbazia, cercando di decifrare i segni sul telo.

Mi paiono quelli di un corpo umano” ha replicato Pietro, inginocchiato accanto al lenzuolo, mentre lo esamina.

Restano in silenzio per qualche minuto, prima che Berthod non formuli una nuova teoria.

Potrebbe essere il sudario di nostro Signore, Gesù Cristo. Il mandylion scomparso da Costantinopoli nel 1204 durante il saccheggio dei crociati” fa l’abate. “Da sempre ho sentito parlare di questo manufatto dai racconti dei nobili francesi di ritorno da quella crociata”. Non può confessare che a un parente, Ottone de la Roche, è attribuito il trafugamento del mandylion bizantino e il suo trasporto in Francia.

Ma come è arrivato da noi?” chiede Pietro, che sa che i cavalieri del Tempio hanno raccolto molti oggetti in Terrasanta.

Probabilmente attraverso i vostri confratelli” accusa con garbo Berthod. Nessuna ignora che un de la Roche è un alto dignitario dei cavalieri del Tempio.

Pietro tace, perché ritiene plausibile l’ipotesi. Preferisce sorvolare sull’argomento per evitare equivoci o malintesi. Entrambi sanno che non è il momento di approfondire il tema. Quindi conviene cambiare argomento.

Secondo i racconti evangelici” comincia con cautela Pietro, “il corpo di Gesù Cristo, deposto dalla croce, venne avvolto in un telo per essere collocato nel sepolcro”.

Berthod annuisce con la testa, Anche lui ha letto gli antichi testi dei vangeli che parlano esplicitamente di questo. Tuttavia non riesce a credere che questo grande telo sia quello che ha avvolto il corpo di Cristo.

Sicuramente è antico” fa l’abate, osservando l’impronta del viso, che appare appena accennata. “Ma come possiamo affermare che esso sia il sudario dei vangeli?”

Poi in silenzio ricominciano a piegare con cura il lenzuolo, seguente le tracce delle antiche piegature. A Berthod sorge una domanda, che finora non ha esplicitato.

Ma il cardinale Francesco Caetani cosa vi ha ordinato?” domanda l’abate, riponendo il manufatto nella sua custodia.

Nulla di più di quello che vi ho detto” afferma Pietro. “Un’unica raccomandazione. Il sacchetto deve essere consegnata nelle mani di Berthod de la Roche, Come ho fatto puntualmente”.

All’abate non rimane altro da fare che nascondere in un posto sicuro la preziosa reliquia.

Ancora adesso nel riportare a galla quelle memorie provoca in Pietro una commozione irrefrenabile. ‘Per molte settimane è rimasto a contatto con la mia pelle’ pensa, mentre rievoca tutte le vicende che l’hanno visto coinvolto in Gallia e in Lombardia. ‘Non ero a conoscenza del valore simbolico di questo telo’.

Porta San Isaia si apre, mentre i contadini a piedi o coi carri si mettono in moto per accedere alla città. Pietro si mescola con loro, che hanno atteso prima del sorgere del sole il via libera all’ingresso. Il frate segue la seconda cinta fino a raggiungere Strada Maggiore. Riconosce il luogo familiare dall’imponente torre campanaria.

Pietro è di ritorno alla magione, mentre un motto di commozione inumidisce i suoi occhi. Non si avvicina ma prosegue verso la chiesa di Sant’Homobono.

La città gli è apparsa uguale a quella che ha lasciato a fine ottobre dell’anno precedente. Il solito frastuono del mercato di Mezzo, la triplice cinta muraria a protezione e gli abitanti più propensi al divertimento che a mostrarsi timorosi di Dio. Solo la commenda gli è apparsa più triste rispetto a quattro mesi prima. Intuisce che il precettore, frate Giovanni, non è riuscito a superare l’inverno lasciando un vuoto. Deve chiedere notizie senza dare nell’occhio. Ha visto uomini armati che sostavano dinnanzi al portone. Quelle che riceve non sono confortanti. Sono rimasti tre templari e un servo a mandare avanti la commenda. Il vecchio precettore, prima di morire, gli riferiscono, li ha esortati a rispettare Dio e attendere il ritorno di Pietro.

Pietro da Monte Acuto sarà il mio successore’ ha detto qualche giorno prima di spirare ai tre fratelli intorno al suo giaciglio. “Attendete con pazienza. So che sarà ancora qui con noi. Vi guiderà fuori da questa tempesta”.

L’informatore non l’ha riconosciuto. Pietro torna sui suoi passi.

Pisae, 21 dicembre 1307, ora terza – anno secondo di Clemente V

Louis esce dall’arcivescovado infuriato. ‘Quel frate non nemmeno voluto ascoltare le mie ragioni’ si dice col viso congestionato, mentre torna alla locanda dove alloggia. ‘Non ha voluto nemmeno leggere la lettera del cardinale Colonna”.

Sa che la sua missione si concluderà senza un niente di fatto. Ritiene inutile mettersi in viaggio subito, perché ormai la preda gli è scivolata tra le mani. ‘Chissà dov’è!’ pensa il cavaliere, entrando nella locanda ai tre Gufi.

Rimane a Pisae per tre giorni prima di prendere la strada per Ravenna. ‘Un viaggio inutile’ si dice, spronando il suo cavallo, ‘ma tentar non nuoce’. Gli hanno consigliato di proseguire verso Florentia seguendo il corso dell’Arno. Proseguendo oltre, si va a Pontem de Sieve e poi verso Bibbiena. Da lì si superano gli Appennini verso Forum Livii.

Louis non ha fretta. Si ferma per Natale a Florentia, prima di prendere la strada controvoglia della via aretina. Leggere nevicate ostacolano il suo cammino. È talmente sfiduciato che non chiede nemmeno se per caso un templare fosse transitato dalle locande dove pernotta. È l’ultimo giorno dell’anno, quando si ferma a Bibbiena ai tre usignoli per festeggiare l’arrivo del nuovo.

Vi conviene aspettare” gli ha detto l’oste. “Il valico è sotto una bufera di neve. Se vi mettete domani in cammino, rischiate grosso”.

Louis sbuffa ma non può combattere contro il maltempo e si rassegna a restare in paese. Se avesse chiesto notizie sul passaggio di un templare, l’oste gli avrebbe detto: ‘Sì, un templare è arrivato dalle terranove di Fiorenzuola. Stamani è ripartito verso meridione, seguendo la via aretina’. Tuttavia Louis pare che si sia dimenticato di Pietro e della missione da svolgere. Preferisce la compagnia di donne allegre e pronte a entrare nel suo letto. Con ogni probabilità in un paio di giorni l’avrebbe raggiunto e poi chissà cosa sarebbe successo. Invece Louis pensa a raggiungere Ravenna per parlare con l’arcivescovo, dando per scontato che il frate si sia fermato nella magione bolognese.

Solo alla fine di gennaio Louis è a Ravenna ma l’arcivescovo non lo riceve. Lui fa anticamera fino al sette febbraio, quando alla fine lo ammette al suo cospetto nel castello di Argenta. La sua residenza abituale.

Rinaldo da Concoregio ha una figura che incute rispetto. Gli occhi mobili, la parlantina sciolta mettono soggezione a chiunque. Anche Louis ne subisce le conseguenze.

Prova a perorare la sua causa ma viene liquidato da un perentorio ‘No’.

I templari obbediscono solo al Papa” fa Rinaldo nel respingere la richiesta del cavaliere francese.

Ma il mio Re li ha accusati di blasfemia ed eresia” tenta di dire Louis.

Rinaldo stringe gli occhi e incupisce il viso.

Il vostro re” dice l’arcivescovo, senza nominare il nome di Filippo IV, “commette uno spergiuro. I templari sono soggetti alla solo legge divina che il nostro Papa, Clemente V, amministra con grande saggezza”.

Detto questo con un gesto perentorio della mano dichiara chiusa l’udienza e comanda l’uscita di Louis. Rinaldo è un fine giurista e un abile diplomatico ma dal 1306 si è dedicato alla vita pastorale della sua vasta diocesi con visite frequenti nelle parrocchie e con numerosi sinodi provinciali. Proprio due settimane prima ne ha indetto uno per discutere la bolla papale sui templari e sui loro beni del 22 dicembre dell’anno precedente. Hanno deciso di applicare la regola per la quale l’ordine dei Cavalieri del Tempio sono sotto la giurisdizione del Papa. Quindi non procederanno al loro arresto ma li lasceranno nelle loro commende, anche se non potranno amministrare i loro beni.

Louis nel lasciare il castello di Argenta capisce che la sua missione è terminata e non gli resta che intraprendere il viaggio di ritorno verso Paris.

Il primo marzo del 1308 si mette in cammino verso la Lombardia superiore col tempo che è soleggiato.

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Una storia così anonima – parte quarantanovesima

dolcetti - foto personale
dolcetti – foto personale

Mentone, 9 marzo 2016, ore diciannove

Luca ha trovato un parcheggio custodito a tempo a trecento metri dall’hotel. Salito al piano, trova la porta socchiusa. Luca si stupisce. ‘Non è da Van lasciare la porta aperta’ si dice, spingendo il battente. La camera presenta un colpo d’occhio notevole, anche se ormai è buio. La vista del porto con le sue luci multicolori colpisce per un istante Luca, che nota il loro bagaglio a terra vicino al letto matrimoniale.

Van?” chiama il ragazzo, senza ottenere risposta. La porta della terrazza è chiusa. Alla sua destra filtra la luce del servizio.

Van, dove sei?” fa Luca, che si sta allarmando. Non è da Vanessa fingere di essersi nascosta, pensa, muovendo qualche passo cauto in direzione del bagno. Sul pavimento nota le mutandine della ragazza. Adesso il sospetto acquista certezza. ‘È successo qualcosa a Vanessa’ si dice inquieto. Nel bagno non c’è nessuno. Per terra qualche pezzo di carta igienica. Gira intorno al letto matrimoniale senza vedere nulla, come dietro i due divani. Solo adesso osserva la tracolla dell’amica sul letto, abbandonata. Probabilmente gettata da Vanessa, quando si è precipitata nella stanza.

Esce a precipizio, lasciando la porta aperta. Si fionda nella hall per chiedere notizie alla reception ma vede attraverso le vetrate che danno sul corso una Mini blu che si sta allontanando. La persona alla guida è Henri. Di questo ne è certo con accanto una persona che appare incosciente. Esce sulla strada e fa in tempo a leggerne la targa. Non è italiana e nemmeno francese. A spanne gli pare una inglese. La sua memoria visiva imprime nella mente lettere e numeri, nel caso dovesse servire. Ritiene inutile gettarsi all’inseguimento. Ha troppo vantaggio e non saprebbe cosa inseguire.

Rientrato nella hall, si dirige verso la bionda receptionist, che lo sta guardando con gli occhi sgranati. Non capisce i movimenti di Luca, che le appaiono strani.

La signora Felici” fa il ragazzo, che muove la mani e lo sguardo in modo frenetico, “è per caso uscita con qualcuno?”

Non, Monsieur” risponde cortese.

Merci” fa Luca, avviandosi verso l’ascensore.

Una volta in camera Luca comincia a riflettere sulle prossime mosse. ‘Vado alla Gendarmerie?’ Scuote la testa. Ritiene inutile un simile passo. ‘Perderei un sacco di tempo senza essere creduto, perché la storia di Henri suona inverosimile’. Nel mentre Vanessa chissà dove è finita, pensa. Passare il confine, che dista solo un chilometro e fare la denuncia alla polizia italiana non avrebbe esito migliore. ‘Meglio tentare da solo’ si dice.

Estrae dalla tasca dei pantaloni il suo Samsung. Con lo sguardo cerca l’Iphone di Vanessa. In vista non c’è. ‘Speriamo che non sia nella tracolla’ si dice, rovesciandone il contenuto sul letto. C’è di tutto. Assorbenti, lucido per labbra, fard, portamonete, fazzoletti assortiti, chiavi, pillole varie e un paio di bustine di Control Retard. Luca sorride nel vederli. Il telefono comunque non appare. Tira un sospiro di sollievo. ‘Dunque è rimasto nei pantaloni di Vanessa’ fa con un lungo respiro.

Armeggia col suo smartphone. Cerca la app Cento passi tra le decine di icone che punteggiano il display. Sorride, perché è una app speciale, dono del suo amico Manetta. Manetta è un hacker buono, ammesso che ne esista uno. Ha creato un piccolo programma, un gioiello informatico sia per il suo Samsung che per l’Iphone di Vanessa. Questa app ufficialmente è nel Google Play come un innocuo programmino che conteggia i passi. In realtà una volta installata e collegata al PC diventa un oggetto che prende il controllo del sistema, senza che all’esterno si noti nulla di anomalo. Collegato al programma gemello, è in grado di fornire sia la sua posizione che quella dell’altro telefono e d’inviare messaggi di alert invisibili a chi non li conosce. Come chicca fornisce anche la mappa del percorso dello smartphone gemello. È già entrato in funzione a Rennes-le-Château durante la spedizione nella chiesa. Se per il Samsung è stato relativamente facile installarlo, sull’Iphone Manetta aveva dovuto aggirare le protezioni del sistema Apple, sfruttando una delle numerose falle dell’IOS. Questa app è molto particolare e sicura, perché funziona anche a dispositivo spento o con la batteria quasi esaurita. Infatti se il telefono viene chiuso, l’app si attiva e impedisce lo spegnimento totale, consentendo d’inviare l’informazione di geolocalizzazione e gli alert. In apparenza il telefono appare muto, mentre in realtà è attivo per questa sola funzione. Qualora il livello della batteria scenda sotto di una certa soglia percentuale, avvia lo spegnimento virtuale e rimane attiva solo questa.

Luca osserva la funzione attivarsi e stabilire un contatto con l’Iphone di Vanessa. Vede che il segnale della geolocalizzazione si muove. ‘Buon segno’ pensa, anche se non vuol dire nulla. Ricorda lo scherzo del dispositivo, inserito nella valigia della ragazza, che ha depositato su un’altra vettura. Henri avrebbe potuto fare la identica mossa, sistemando il telefono della ragazza dentro un’altra macchina. ‘Se fosse così’ si dice, ‘sarebbe un bel guaio’.

Luca attiva la mappa e nota che il dispositivo è sulla Turbie, sopra Montecarlo. Adesso deve prendere una decisione non facile. ‘Mi metto all’inseguimento subito’ si chiede, chiudendo gli occhi, ‘oppure domani mattina di buon ora?’

Guarda l’ora sono le venti e si sente molto stanco. ‘Ma per procedere ho la necessità di un secondo telefono’ si dice, mentre esce alla ricerca di uno store per l’acquisto e di una trattoria per mangiare qualcosa.

A tavola ricostruisce il percorso che ipoteticamente Henri e Vanessa hanno seguito. ‘Non ci sono state soste, salvo quelle legate al traffico’ riflette, allentando la tensione dei muscoli facciali. ‘Dunque è al momento con loro. Lasciato l’hotel si è diretto verso Montecarlo prima di prendere le strade del mitico rally’.

Tornato in albergo, paga il pernottamento in anticipo. Vuole essere libero di lasciare l’hotel a qualsiasi ora della notte. Decide per un breve risposo. ‘Un paio d’ore mi sono sufficienti per non avere un colpo di sonno’ si dice, distendendosi sul letto vestito. ‘Alle due parto alla loro caccia’. Punta la sveglia sul secondo Samsung, che ha comprato poco prima e si addormenta.

Mentone, 9 marzo 2016, ore diciotto e trenta

Pierre intuisce che ha una breve finestra per tentare il sequestro della ragazza. Il ragazzo deve cercare un posto per la macchina, la compagna ha la necessità urgente di un servizio. Lo percepisce da come lei si muove agitata e nervosa, da come stringe le gambe e dal viso congestionato per l’impellente bisogno. Apre il tablet e cerca Hotel Napoleon. In un attimo ha la pianta dell’albergo e i punti di debolezza. Scende senza chiudere la Mini, entra nella hall e segue la ragazza fino all’ascensore. Visto il piano di fermata, sale velocemente le scale per appostarsi vicino all’uscita del lift. Sorride, perché la necessità del servizio è talmente urgente, che non chiude la porta della camera. ‘Brava’ pensa, mentre si introduce furtivo dentro con la bomboletta di spray narcotizzante.

È nuda dalla cintola in giù, quando la vede di spalle, e tiene in mano mutandine e pantaloni. Spruzza e la prende al volo prima che cada per terra. Gli indumenti, che teneva, scivolano sul pavimento. Lui raccoglie i pantaloni per metterli alla ragazza, Non può perdere tempo con le mutande. Poi sorreggendola con un braccio, esce dall’uscita di servizio. Sa che non è presidiata per caricarla come un sacco di patate sulla Mini. Le mette la cintura di sicurezza per non correre il rischio di essere fermato da una qualche pattuglia di polizia e assicurarsi che non cada. Deve apparire come addormentata.

Sono poco più delle diciannove, quando mette in moto la macchina e parte dolcemente. Prende il tablet, posizionandolo sotto il cruscotto. Digita qualche indicazione e come per incanto appaiono le indicazioni stradali da seguire. Si muove con cautela. Cè un notevole traffico verso Montecarlo. Così un tragitto di mezz’ora si raddoppia in un amen.

Raggiunto Turbie, si dirige verso Sospell per poi puntare su Tende, dove ha deciso di sostare. Sembra un giro vizioso ma gli serve per depistare se qualcuno si fosse messo sulle sue tracce.

È quasi mezzanotte quando arriva a Tende. Ha prenotato presso Le Miramonti, annunciando che sarebbe arrivato tardi. La ragazza è ancora sotto l’effetto dello spray. La prende in braccio, fingendo che sia addormentata.

Domani mattina sveglia alle sette” chiede alla receptionist, prima di chiudersi nella stanza prenotata.

La depone sul letto, assicurandola con un paio di manette alla testiera del letto. Mette un bavaglio sulla bocca di Vanessa per evitare che richiami l’attenzione di qualcuno. Pierre si mette a dormire sul divano. Il sonno non tarda a venire.

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Non passava giorno – cap. 31

Marco decise di parlare per stemperare l’irritazione di Laura, delusa, amareggiata e offesa dal suo atteggiamento. Doveva chiarire la posa fin troppo esplicita di Sofia per togliere elettricità alla serata. ‘Ma ci riuscirò?’ pensò col dubbio nella mente.

La colpa è mia” iniziò Marco con tono risoluto, mentre Sofia stava seduta sul divano col viso imbronciato. “Non avrei dovuto baciarla! Al massimo un bacio sulla guancia”

Laura non disse nulla con gli occhi ridotti a una fessura per la collera manifesta. Scosse il capo e non accennò a credere alle sue parole, a comprendere e perdonare. ‘È facile adesso dire che non dovevi baciarla’ si disse Laura, stringendo nervosamente la mascella. ‘Dovevi pensarci prima’.

Devi credermi” affermò Marco in piedi davanti a loro.

Laura strinse le labbra come a sigillarle per impedire alle parole di uscire. Le spiegazioni di Marco non la convincevano, anzi la innervosivano. Gli occhi, che si aprivano e si chiudevano in rapida successione, le mani che si muovevano nervosamente, la mascella rigida mostravano il suo malumore in modo palese.

Sofia, rintanata sul divano, era irritata con se stessa per essersi lasciata trasportare dalla spinta erotica. Era indispettita verso l’amica, che l’aveva invitata in modo improvvido. ‘Doveva capire’ si disse arrabbiata, ‘che alla fine sarei risultata di troppo. Ingombrante e imbarazzante come la corda in casa dell’impiccato’. Si domandò, perché Laura si fosse lasciata scappare Marco. Calmo, deciso, sempre in grado di dire la parola giusta nel momento giusto e così sensuale e passionale. ‘Quel bacio è stata una scarica di adrenalina pura’ pensò Sofia. ‘Non ho capito più nulla. D’istinto l’ho ricambiato con furore. È stato talmente elettrizzante che mi sono inumidita in un attimo!’

Laura era risentita con Sofia, perché il suo comportamento aveva rappresentato per lei un autentico choc. Di Sofia si era sempre fidata. Avrebbe messo la mano sul fuoco sulla sua lealtà. Da questo momento non più. Aveva la certezza che non avrebbe avuto esitazioni nel fare all’amore con Marco, se avesse tardato qualche minuto. ‘Sofia si sarebbe arrapata su Marco’ pensò una Laura delusa, ‘fregandosene della mia presenza’. Non trovava una spiegazione credibile a quel bacio. Pure Marco si era comportato da vigliacco. Pochi istanti prima era stato verso di lei dolce e romantico per trasformarsi poi in una serpe infida.

Marco non si sentiva esente da colpe, perché, dopo le ore trascorse con Laura, l’aveva delusa in modo plateale. Marco avvertì la tempesta avvicinarsi minacciosa con tuoni e fulmini ma non rinunciò al tentativo di riportare la calma tra loro. Riprese a parlare per provare a ricomporre la frattura. Capì che era lui la causa della tensione esistente nella stanza. Laura aveva avuto uno scatto di comprensibile gelosia, mentre Sofia era stata indotta dal suo atteggiamento equivoco. ‘Devo porgere le mie scuse e togliere il disturbo?’ si chiese. ‘Oppure devo tentare di disinnescare la bomba pronta a deflagrare?’ Prese la decisione di calmare le acque.

Dovevamo trascorrere qualche ora in serenità parlando di noi” disse con il tono più distensivo possibile.

Le sue parole caddero nel vuoto. Né Laura, né Sofia dissero una parola. Un atmosfera gelida aleggiava nella stanza.

Facciamo un brindisi” proseguì Marco, che percepiva il gelo. “È l’occasione giusta per salutare il nostro incontro dopo tanti mesi”.

S’avviò in cucina per prendere lo spumante in frigo. I bicchieri era già sul tavolo. Queste semplici parole riuscirono a dissolvere l’atmosfera negativa in mille frammenti, che rimasero sospesi nella stanza, pronti a ricompattarsi nel muro di tensione. Laura e Sofia si abbracciarono senza slancio in un silenzio carico di nervosismo. Marco non era certo di essere riuscito a rimediare la gaffe. L’eccitazione era rimasta palpabile, nonostante i suoi sforzi. Il brindisi fu fiacco senza l’entusiasmo che l’occasione richiedeva. La sensazione di tensione non si era decantata e gli animi rasserenati.

Marco, accortosi che tutti i tentativi di riconciliazione non erano riusciti nell’opera di spegnimento del fuoco della gelosia che bruciava Laura, riprese a parlare.

Col mio comportamento, non giustificabile, ho rovinato la cena, che doveva essere un momento di gioia e serenità” disse Marco con gli occhi bassi. “Quello che è stato, rimane” fece, sapendo accettare la sconfitta.

Si avviò verso la porta per uscire dalla stanza.

No, Marco” affermò Sofia, alzandosi. “Quella in sovrappiù sono io. Ho rovinato la vostra intimità, intralciato i vostri piani. Mi sono comportata come una donna alla ricerca di un’avventura”.

Marco e Sofia lentamente stavano uscendo, mentre Laura, rimasta in silenzio, era combattuta tra fermali e lasciarli andare via.

Mi sono sentita molto offesa per il vostro comportamento” disse Laura con voce fredda.

Stava prevalendo In Laura lo spirito di riconciliazione, anche se la visione di Marco e Sofia, avvinghiati, non sarebbe stata facile da eliminare.

Sedetevi” ordinò Laura. “Da persone mature i contrasti e gli equivoci si risolvono con le spiegazioni”.

Nessuno aprì bocca. Questo irritò Laura, che aveva gettato un ramoscello di ulivo in segno di pace con un grosso sforzo di volontà. Sarebbe esplosa come un vulcano in eruzione, quando contò fino a dieci per acquistare lucidità e controllo delle proprie azioni.

Tutti si scusano” disse, dopo avere raccolto le sue forze per non sbottare. “Ma non spiegano nulla. Io sono in subbuglio e fatico a trattenere la rabbia che porto nel cuore. Risolviamo dunque questo spiacevole contrasto. Mi sono lasciata trasportare dalla gelosia come una ragazzina. E sono uscite parole di troppo”.

Marco e Sofia tornarono sui loro passi. Avevano compreso che non dovevano fare gli offesi, perché il loro comportamento era senza giustificazioni. Cominciarono a parlare insieme, “Io ero…”, “Il suo bacio…”, “Non era mia intenzione…”. Nessuno capì quello che intendevano dire.

Ragazzi,“ disse Laura con il sorriso amaro sulle labbra, “parlate uno alla volta, altrimenti non si capisce nulla”.

Ammise che era stata sopraffatta dall’emozione e dalla gelosia, perché una donna innamorata non poteva accettare delle effusioni così esplicite senza manifestare minimamente la rabbia provata.

Una grossa lacrima scivolò dalle ciglia sul piatto, mentre Sofia si avvicinò. l’amica la baciò con ardore sulle labbra per rimediare al comportamento non proprio ortodosso e adamantino di prima.

Sofia percepì che doveva dire qualcosa anche se banale. “Non avrei dovuto ricambiare il bacio di Marco in quel modo” ammise la ragazza. “Ho perso la testa, trascinata dalla parte irrazionale, che ha rotto i miei freni inibitori. Hai ragione, Laura. Se non fossi arrivata, ignoro cosa avrei combinato”.

Sofia le teneva le mani, mentre faceva questo discorso.

Hai dimostrato una grande generosità nei miei confronti. Io sarei stata una tigre pronta a sbranare chiunque al tuo posto. Le scuse sono sincere” affermò Sofia, guardandola in viso. “Mi sono comportata scioccamente”. Pose poi le sue labbra su quelle di Laura, che rabbrividì per il piacere.

Marco ascoltava in silenzio, mentre osservava le due amiche scambiarsi il bacio della pace, che pareva infinito e passionale quanto il suo. “Niente baci per me?”

Chiuse gli occhi, aspettando le loro labbra. Avvertì che quelle di Laura si posavano sulle sue con la lingua che cercava di entrare. Lui la lasciò fare. Una mano di Sofia si insinuò dolcemente sull’incavo del collo. ‘Dov’è l’altra?’ pensò istintivamente, perché percepiva fremiti di desiderio nelle due donne.

Riaprì gli occhi e le strinse a sé. Spiegò con calma il bacio a Sofia. “Mi è venuto d’istinto senza malizia, perché l’ho vista scura in viso per il ritardo con cui l’abbiamo accolta”. Parlò con il sorriso sulle labbra, mentre scrutava prima l’una poi l’altra. Gli pareva strano che ci fosse voluto così poco a rappacificarle, mentre pochi istanti prima sembrava impossibile.

Qualcosa di strano e insolito c’era nell’aria. Marco osservò che le due donne incuranti della sua presenza si guardavano con troppa tenerezza per essere stato solo un bacio pacificatore.

Devo reggere il moccolo?” disse ironicamente.

Le due ragazze negarono, ridendo.

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Non passava giorno – cap. 30

Laura e Marco, stanchi e appagati da quel rapporto un po’ sofferto all’inizio, decollato nella giusta misura, erano abbracciati con tenerezza, mentre le loro menti vagavano leggere.

Lei percepì che qualcosa stava cambiando dentro di sé. Avrebbe voluto proseguire il discorso sulle fobie nei confronti del suo corpo per completare l’opera. Però aveva inopinatamente invitato Sofia. Adesso era pentita, perché il discorso iniziato si sarebbe interrotto. Rischiava di diventare monco e frammentario col pericolo di perdere dei pezzi importanti. I pensieri turbinavano nella sua testa come una tempesta di neve con fiocchi che volavano da tutte le parti senza un disegno preciso. Ammirò Marco, che aveva a un fisico da ammirare e una sensibilità fuori daI comune. Mentre osservava Marco, avrebbe voluto che il tempo fosse retrocesso di otto mesi. ‘Ammesso che sia possibile, sarei stato in grado di trasformare il suo addio in un arrivederci?’ pensò Laura, scuotendo la testa in modo impercettibile. ‘Io lo amo e lui mi ama ma i nostri mondi sono distanti’ concluse sconsolata.

Accostata a Marco, fece scivolare le mani cautamente fino al suo inguine, massaggiandosi con dolcezza. Percepì un calore denso e sensuale che saliva tra le gambe verso la testa. Sentì montare irrefrenabile il desiderio di ricevere nuovamente piacere, quando notò l’orologio appeso al muro.

Accidenti, perché ho invitato Sofia?” esclamò contrariata.

Irritata e indispettita, aveva compreso che fra dieci minuti la presenza dell’amica avrebbe rovinato l’atmosfera, che s’era creata nella stanza. Laura aveva trovato un punto di equilibrio tra le sue fobie e il desiderio di stare con Marco.

Marco, ho voglia di te!” disse Laura nervosa, perché senza dubbio Sofia si sarebbe presentata puntualissima all’orario stabilito. “Non vorrei vestirmi ma lo dobbiamo fare. Tra poco Sofia sarà qui”.

Laura era rassegnata a rimandare quello che desiderava in questo momento a più tardi. Era certa che non si sarebbe ricreata l’atmosfera che c’era nella stanza. Tutto sembrava congiurare contro di lei. Si alzò per indossare gli indumenti. Marco tuttavia l’afferrò in silenzio con delicata decisione, la sdraiò sul letto. La sua lingua cercò l’altra con passione.

Se non siamo pronti” sussurrò con dolcezza, “aspetterà!”

Tenne premuto il suo corpo su di lei, che si abbandonò senza resistenza.

Udirono in lontananza il suono del campanello, ovattato dai sensi, insistente e indisponente per la mente. Riluttanti si alzarono per aprire l’ospite indesiderato, si guardarono e risero per come erano. Di certo non potevano accoglierla in questo stato.

Sofia!” disse Laura allegra, dopo aver aperto il portone. “Non sono pronta. Conosci la strada. Mettiti comoda in salotto. Arriviamo subito”.

Una veloce puntata in bagno, poi nella stanza si infilarono i vestiti, mentre Sofia si accomodava sul divano.

Capì dal tono della voce e dalle parole di Laura, che li aveva sorpresi nella loro intimità. Immaginò con la mente, come un film a luci rosse, amplessi e gemiti, piacere e passione. Era sul divano tutta infoiata nelle sue fantasie erotiche di sesso sfrenato, quando entrò Marco. Ebbe la visione di un guerriero antico da amare senza pentimenti piuttosto dell’amico che non rivedeva da mesi. Però quasi immediatamente nel vederlo si rabbuiò.

Sofia, che piacere rivederti!” disse galante per stemperare il suo broncio. “Non fare quella faccia da offesa! Hai aspettato qualche secondo!”. E sorridente la salutò con un bacio, pieno di passione sulle labbra stringendola con vigore quasi fosse l’amante ritrovata.

Sofia, nera come la pece per l’attesa ma in calore per le fantasie erotiche, stava per dire qualcosa di piccante, quando quel bacio improvviso e inaspettato le fece cambiare umore. Ricambiò abbraccio e bacio. Anzi andò oltre, insinuando la sua lingua tra le labbra a cercare quella di Marco, che rispose con insospettato ardore.

Erano abbracciati con le bocche unite, quando Laura entrò e li vide.

Un moto di stizza passò sul viso, che da sorridente diventò scuro e imbronciato. Il suo era un cielo che preannunciava tempesta e grandine.

Avete finito?” disse con voce stizzita e aspra. “Sono arrivata! Sofia!”

Marco si staccò con prontezza e l’abbracciò con passione, non lasciandole terminare la frase. Sperò invano di porre riparo alla situazione equivoca, nel quale si erano venuti a trovare. Sofia, rossa in viso per l’eccitazione, guardò Laura con occhi acquosi, che chiedevano perdono.

Volevo dare il bentornato a Marco!” disse mortificata. “Forse ho…”. Si sedette sul divano indispettita per essere stata colta, mentre si stringeva con foga Marco.

Non sarai gelosa?” replicò Marco, trascinando Laura maldisposta accanto a lui.

Si sentì in dovere di spiegare le effusioni troppo manifeste, ben sapendo che c’era poco da chiarire, perché l’abbraccio con Sofia non si prestava a interpretazioni diverse dall’evidenza degli eventi. Tacendo, rischiava di peggiorare la situazione ma parlando, correva il rischio di accrescere i malumori. Da qualsiasi parte avesse valutato il fatto, avrebbe gettato nuova benzina sulla gelosia di Laura e sull’irritazione di Sofia.

Marco si trovava nella posizione delicata e imbarazzante di essere preso tra fuochi. Da un lato Laura si sentiva ingannata dopo le ore di intimità e di gioia, delle quali non si era spento ancora l’eco. Dall’altro Sofia gli addebitava un bacio passionale e galeotto, che aveva avuto il potere di eccitarla oltre misura, mandandola fuori giri.

L’atmosfera da gioiosa era diventata pesante come una cappa di smog.

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Non passava giorno – cap. 29

Copertina del  mio libro
Copertina del mio libro

Paolo, seduto alla Caffetteria del Corso, mentre sorseggiava il secondo caffè di quel lungo e interminabile pomeriggio, rifletteva in quale errore era incorso nel corteggiare Laura. Era come se fosse in un grande giardino fiorito senza avere l’opportunità di cogliere un fiore. Doveva solo osservare.

‘Eppure la prima volta che l’ho incontrata ho visto nei suoi occhi un guizzo di interesse’ si disse sfiduciato. ‘Poi è stato solo buio, incomprensioni. Fredda e indifferente a qualsiasi argomento si è richiusa su se stessa’.

Aveva sperato che Matteo, attraverso Sofia, potesse fornirgli qualche utile indicazione per trovare la chiave d’accesso al cuore di Laura. Erano state cartucce caricate a salve. ‘Era single di certo, quando l’ho conosciuta’ pensò. ‘La relazione, che durava da cinque anni, si era interrotta in maniera repentina e senza preavvisi pochi giorni prima di incontrarla, senza un motivo valido’.

C’era nel comportamento di Laura qualcosa, che lui non riusciva ad afferrare con pienezza. Un atteggiamento ambiguo come se dicesse ‘vorrei ma non posso’. ‘Può una persona continuare a desiderare colui, che ha chiuso con te senza spiegarti il perché?’ si disse Paolo incredulo. ‘Se è uscito dalla tua vita, non c’è più’. Per lui era ovvio e razionale ma per Laura evidentemente no. Erano passati otto mesi dalla rottura, eppure Laura in apparenza si comportava con la speranza che il rapporto si ricomponesse da un momento all’altro. Questo per Paolo non aveva senso. ‘Deve esistere un’altra chiave di lettura, che non riesco a individuare’ concluse, scuotendo il capo.

Il tempo scorreva lento. Paolo continuava a sbirciare il cronometro d’acciaio che portava al polso destro. Gli sembrava di essere da una vita nella Caffetteria. Aveva bevuto due caffè e una bottiglia d’acqua, aveva tentato di leggere il giornale per far scorrere più velocemente i minuti. Il tutto inutilmente. ‘Mi farò un aperitivo per fare venire le sette’ si disse, sbuffando e imprecando contro le donne, che fanno le preziose.

Di nuovo confrontò le due donne che in qualche modo avevano segnato la sua vita nell’ultimo anno. Roberta e Laura avevano due personalità differenti, pur con alcuni punti in comune. ‘Sono diverse sia per età che per mentalità’ rifletté Paolo mentre sorseggiava l’aperitivo che gli pareva sciapo. Roberta era una donna seducente per il fascino, che emanava, per l’intensità dei suoi quarant’anni. ‘Non aveva nessuno modello valido di cosa volesse dire forza femminile’ si disse, mentre prendeva dal piatto una patatina. ‘Viveva in un microcosmo ristretto e limitato. Credeva di essere una donna forte ma in realtà era debole. Quello che mostrava all’esterno non era confermato dalle qualità interiori. Era psicologicamente fragile. Bastava un nonnulla per metterla in crisi’. La proiezione del mondo maschile era negativa perché cercava, senza occultarla, che l’uomo la proteggesse e l’accudisse. ‘Questo bisogno l’ho scoperto a mie spese un anno dopo averla conosciuta’ si disse. All’inizio aveva trasmesso una vitalità che lo aveva sedotto e soggiogato. ‘La maturità dei suoi quarant’anni’ pensò, ‘mi ha fatto capire quanto fossi ancora immaturo’. Passata la buriana iniziale di erotismo per dimostrare che era una grande seduttrice nel letto, aveva perso per strada grinta e decisione. ‘Ha preteso’ si disse con amarezza, ‘che io fossi la guida sia in casa che fuori e in particolare nella crescita dei due figli’.

Psicologicamente Paolo era giunto impreparato a questo ruolo così delicato da gestire. Erano cominciati quasi subito gli screzi e le incomprensioni, che hanno avuto una logica conclusione: la separazione delle loro strade.

Di Laura, che era altrettanto affascinante quanto Roberta, conosceva poco o nulla. Il fascino era l’unico punto di contatto tra le due donne. Laura però era molto più fresca e naturale negli atteggiamenti. Aveva le idee chiare di quello che si aspettava dal futuro e aveva manifestato apertamente come intendeva raggiungere gli obiettivi fissati. Gli aveva fatto capire che non avrebbe cercato una guida ma un uomo alla pari con il quale voleva costruire la relazione a due e il percorso comune. ‘Che sia questo il motivo per il quale non siamo entrati in sintonia?’ si domandò. ‘Trasmettevo forse il messaggio che Roberta mi aveva lasciato in eredità: o gregario o guida?’

Erano le sette passate quando salì sul metrò per raggiungere la casa di Matteo. Arrivato alla fermata, con la lentezza, di chi vorrebbe arrivare per ultimo, preferì camminare per un po’ intorno all’isolato. Voleva schiarirsi le idee. Il tempo non gli mancava.

Quando suonò il campanello, Matteo stava aspettando lui e Pizza Express che avrebbe consegnato due margherite e un paio di birre.

Paolo non aveva fame. Sazio com’era, di amore e di delusioni, disse che andavano benissimo. Cominciarono a parlare di Laura e dei fallimenti a catena nell’approccio sentimentale, mentre in sottofondo le note di Mozart inondavano la stanza, creando un’atmosfera rilassata e ovattata.

Laura mi piace. Mi sono innamorato” disse Paolo che sorrise. Era una precisazione inutile, un insignificante eufemismo. “Laura è diversa da Roberta sia per carattere che per aspetto. Mi ha conquistato con la sua personalità forte. Ma devo capire dove l’approccio non ha funzionato”.

Paolo si era reso conto che era incapace di trovare una soluzione in via autonoma. Quindi cercava l’aiuto dell’amico, perché i suoi occhi e la sua mente erano neutrali, sgravati dal peso dell’innamoramento.

Paolo esternava quello che percepiva, sperando in ricette miracolose che avrebbero risolto i dilemmi e le angosce. In questo momento della sua vita si sentiva libero di esprimere le sensazioni, che sgorgavano dall’interno, e di essere se stesso in modo trasparente. Tuttavia non era in grado di trasmetterlo a Laura, che restava algida e distaccata.

Matteo aveva intuito dove l’amico voleva andare a parare. Glielo aveva fatto comprendere l’espressione del suo viso. L’occhio malinconico, la fronte aggrottata, le labbra stirate, la mascella che si muoveva nervosa. Raccolse le idee, perché non amava dispensare consigli, che assimilava a certe pillole miracolose che promettevano prodigi ma non valevano nulla. Iniziò con cautela. Fece notare a Paolo che non era riuscito a stabilire un contatto empatico con Laura, perché non trasmetteva il messaggio giusto.

Quale messaggio?” domandò Paolo, spalancando gli occhi.

Lo veicoli in maniera inconscia, senza rendertene conto” rispose Matteo. “Per te certi atteggiamenti sono consuetudine. Non te ne accorgi”.

Ma quali atteggiamenti?” lo incalzò Paolo.

Prova a riflettere come ti proponi” gli disse Matteo. “Il tono della voce, che fatichi a controllare. Le parole dei tuoi pensieri, spesso in libertà. L’aggressività, che usi nella professione. Messaggi negativi”.

Paolo rifletté su queste parole e intuì che gli stava offrendo una chiave di lettura degli insuccessi. Era la sua incapacità di proiettare su di lei i sentimenti che provava. Forse il tono era quello di affermare ‘io sono il tuo padrone, la tua guida. Tu mi seguirai docile senza protestare’. Rammentò l’ultimo invito. Iniziato come se dovesse essere accettato senza battere ciglio, senza domande. Non aveva dato spiegazioni, perché aveva preteso che lui non fosse in obbligo di darne. La trattava come si comportava con i clienti, che dovevano ascoltare le sue proposte senza obiezioni. Un atto di fede, un dogma da accettare senza fiatare. Nelle relazioni interpersonali teneva un atteggiamento, come se loro fossero il palcoscenico su cui poteva recitare a suo piacimento.

É questo messaggio che sto trasmettendo verso Laura?” disse Paolo.

Matteo, ascoltate in silenzio le parole di Paolo, gli comunicò che Sofia gli aveva dato appuntamento dopo la serata in compagnia di Laura e aggiunse sornione. “Dormirò da lei”.

Non si accorse di aver ferito l’amico che avrebbe desiderato pure lui trascorrere la notte con Laura.

Matteo dalla chiacchierata sotto le lenzuola sperava di ricavare qualche altra utile indicazione per Paolo.

Spero di avere delle buone notizie, domani” gli disse con una punta di ottimismo.

La serata proseguì in attesa della chiamata di Sofia, che tardò ad arrivare.

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Una storia così anonima – parte quarantottesima

Foto personale
Foto personale

Abbazia di Valvisciolo, 15 gennaio 1308, ora sesta – anno terzo di Clemente V

Nell’ora sesta il quindici gennaio Pietro bussa al portone dell’abbazia. È una giornata grigia. L’aria fredda sferza il viso del frate, facendolo rabbrividire. Aspetta con pazienza che aprano la porta. È la prima volta che arriva a Sermoneta. Non si era mai spinto oltre Roma. L’abbazia, edificata nel dodicesimo secolo, era stata abbandonata per molti anni. Per toglierla dallo stato di abbandono è stata occupata dai Templari e restaurata. Pietro ne conosce la storia ma ignora, se troverà i confratelli del sud oppure altri monaci.

Il viaggio è stato lungo e faticoso, avversato dal maltempo. Era partito a metà dicembre dall’Abbazia di Chiaravalle sotto una fitta nevicata. Lo stato delle strade non gli ha consentito una marcia spedita, nemmeno dopo l’attraversamento del Padus a Placentia, perché alla neve si è sostituita la pioggia e la bruma invernale della pianura della Lombardia inferiore. Arrivato in prossimità di Bologna ha preferito evitarla per non rimanere bloccato nella magione, compiendo un largo giro verso le terre estensi, prima di raggiungere la via bolognese. Questa strada conduce alla vallata del Sieve, nella Romagna toscana, scavalcando un passo basso e agevole. Da quando ha iniziato a muoversi tra la pianura della Lombardia e le terre del sud, ha seguito questa via. La preferisce al valico di Monte Bardone più a settentrione e a quello dell’Alpe di Serra a meridione. la strada è una stretta mulattiera che tra castagneti e vegetazione di basso fusto avanza su dolci crinali. Sul punto più elevato c’è una locanda che i viandanti chiamano Hostaria. È il luogo dove sostano i pellegrini provenienti dalla via Romea ungarica, mentre si dirigono verso Roma. Sono circolate strane storie su questo punto di ristoro e di riposo. In più di un’occasione i templari romagnoli sono intervenuti per capire che fine avevano fatto dei viaggiatori spariti nel nulla senza trovare niente di anomalo. Durante un viaggio di ritorno da Roma Pietro ha ascoltato nella terranova di Fiorenzuola un racconto orripilante, che avrebbe tolto il sonno a chiunque. Queste voci narrano di viandanti, che, stremati dal lungo viaggio, trovano una locanda a prima vista accogliente sul crinale che separa le vallate della Sieve e del Santerno. È il punto di ristoro sognato nel lungo viaggio a piedi durante il loro pellegrinaggio. Tuttavia una triste sorte aspetta quei poveri diavoli, che invece di proseguire hanno deciso di fermarsi. La leggenda, perché secondo Pietro tale è, racconta che questi siano uccisi nel sonno e le loro carni sarebbero usate per sfamare altri viandanti. Pietro si è sempre domandato quanto di vero ci fossero in quelle dicerie. Personalmente non ha mai creduto a queste chiacchiere, perché non sono state trovate prove a sostegno della loro veridicità. Per quello, che è a sua conoscenza, non risulta che pellegrini di ritorno da Roma siano stati vittime di simili barbarie, né ha mai notato la sparizione di qualcuno in maniera misteriosa.

Il frate, nonostante questa storia di sangue e di orrore, si è sempre fermato in questa locanda e non ha mai notato nulla di strano. L’atmosfera, che qui si respira, non è cupa tenebrosa ma semplicemente triste. I gestori, una coppia di toscani di mezz’età, appaiono poco propensi all’allegria. Tuttavia la loro cucina è ottima. Pietro ha sempre preferito zuppe di verdure e piatti a base di vegetali, escludendo la carne. ‘Suggestione?’ si è chiesto il frate una volta durante una sosta nel viaggio di ritorno verso Bologna, mentre attendeva la consueta zuppa di cavolo nero e piselli. Anche durante questo viaggio verso Sermoneta ha sostato presso l’Hostaria, evitando come al solito la carne.

Per la prima volta da quando transita di qui, Pietro ha affrontato il valico nel periodo invernale, trovando neve e ghiaccio e molte difficoltà in più. ‘È pur vero che qualche mese fa ho attraversato le Alpi sotto la neve’ si è detto, mentre procedeva a fatica verso la locanda. ‘Ma le strade erano ben segnate. Qui è un tratturo appena abbozzato, dove con facilità ci si può smarrire, finendo in un dirupo’.

Arrivato stremato all’Hostaria, un’improvvisa tempesta di neve l’ha bloccato per diversi giorni, impedendogli di proseguire verso Aretium. Durante questa sosta forzata ha potuto osservare con calma il clima che si respira nella locanda. Non ha percepito nulla di strano e di torbido. I pochi viandanti, che soggiornavano con lui, non gli sono apparsi vittime sacrificali, né timorosi per la loro vita. Ripresa la marcia verso il fondovalle, il percorso è stato più agevole e meno impegnativo rispetto ai giorni precedenti. Ha potuto accelerare il passo senza gli impedimenti del cattivo tempo. Raggiunto Aretium, ha seguito la via Francigena che attraverso la Tuscia orientale conduce a Roma.

Mentre rievoca questo lungo viaggio, si apre una fessura nel grande portone dell’Abbazia. Un monaco vestito di bianco sbarra gli occhi, vedendo un templare bussare alla loro porta.

I vostri confratelli si sono ritirati nella grande commenda sul colle dell’Aventino’ dice il frate guardiano, osservando Pietro.

Il frate abbassa la testa come per annuire. In realtà è un deferente cenno di saluto. Le ultime vicende, nelle quali è stato coinvolto, gli hanno fatto intuire che anche in Lombardia e nell’area romana non tira aria salubre per loro.

Busso” inizia Pietro, prima che la porta si chiuda senza spiegazioni, “perché cerco un fratello. Berthod de la Roche. Mi hanno detto che si è trasferito presso questa Abbazia”.

Il monaco, che ha aperto parzialmente il portone, sta per richiuderlo, quando ascolta le parole di Pietro, e resta interdetto. Tace, perché gli appare strana l’affermazione del forestiero, che è per giunta un templare.

Forse il fratello non è più qui?” domanda il frate, preoccupato di inseguire un fantasma, non ascoltando nessuna risposta.

No” risponde il monaco, che ha ritrovato la parola. “Il fratello che cercate si trova in questo monastero”.

Potrei incontrarlo?” incalza Pietro, che respira più rilassato.

Per quale motivo desiderate vederlo?” chiede il frate, tenendo sempre socchiuso il portone.

Ho una consegna per lui” dice Pietro, cercando di fornire il minimo delle informazioni.

Cosa?” domanda di nuovo il monaco, ben deciso a non farlo entrare senza una spiegazione convincente.

Non posso rivelarlo” fa Pietro per non tradire il compito assegnato. “Il cardinale Caetani mi ha ordinato di consegnarlo solo nelle mani del fratello Bethod de la Roche”.

Pietro parla con calma senza sollevare il capo ma deciso a non rivelare l’oggetto da recapitare. Non mostra segni di impazienza, né assume toni arroganti. L’intonazione della voce è umile e bassa.

Aspettate qui” gli dice il frate guardiano, chiudendo il portone.

Dopo un’attesa, che a Pietro appare lunga, si riapre il battente per accogliere il templare e il suo cavallo. In silenzio lui segue il monaco, che dapprima lo conduce alle stalle e poi nel monastero. Nella sala capitolare seduto sullo scranno sta un monaco dalla corporatura imponente e dal viso carico di anni.

Pietro Roda, templare della commenda di Bologna” si presenta Pietro, inginocchiandosi davanti a quello che gli appare il priore dell’Abbazia.

Alzatevi” fa il monaco, accompagnato da un gesto della mano. “Dovete consegnare qualcosa a Berthod de la Roche?”

Sì, fratello” dice Pietro, mentre osserva con attenzione la figura che sta dinnanzi a lui.

Ebbene potete farlo” fa il monaco allungando la mano.

Il cardinale Francesco Caetani mi ha ordinato di darlo in consegna a Berthod de la Roche. Solo a lui, di persona” afferma Pietro per nulla intimorito da quella figura ieratica.

Sono io” afferma il frate, inarcando per un attimo una sopracciglia. “Non vi fidate?”

Non lo conosco” replica Pietro diffidente. “Potrebbe essere chiunque”.

Il monaco si alza dallo scranno e prende sottobraccio il templare. “Venite” e si dirigono verso il refettorio dell’Abbazia.

Arrivati all’ingresso della vasta sala, un monaco spalanca gli occhi nel vederli, mentre quello, che legge i salmi della Bibbia, si ferma. Tutti smettono di mangiare.

Abate Berthod” fa un cistercense anziano, “ci rende un grande onore sedersi alla nostra umile tavola”. E fa posto ai nuovi arrivati.

Dalle cucine arrivano due scodelle, due brocche di vino e due teli di lino, che avvolgono del pane bianco. Pietro e Berthod mangiano in silenzio, come ha già sperimentato a Chiaravalle. ‘Dunque lui è l’abate del monastero’ pensa il templare pulendo la scodella col pane. ‘Capisco anche la sorpresa degli altri monaci, perché non capita mai che lui stia a tavola con loro’. Se aveva la necessità di conoscere l’identità del misterioso Berthod, adesso ne ha la conferma senza il minimo dubbio.

Finito il pasto, sempre in silenzio, si ritirano nelle stanze del priore. Pietro senza dire nulla preleva da sotto la tunica il sacchetto, che ha custodito con molta cura, consegnandolo a Berthod.

Pisae, 18 dicembre 1307, ora terza – secondo anno di Clemente V

Luis è al cospetto dell’arcivescovo di Pisae, frate Giovanni. Cerca con parole semplici di spiegare i motivi della sua presenza.

Guillaume de Nogaret mi ha affidato il compito di arrestare e accompagnare a Paris un templare bolognese” comincia Luis non molto sicuro delle sue affermazioni.

L’arcivescovo appoggia il capo sul palmo della mano e medita sulle parole di questo cavaliere francese. Ha letto la bolla papale del 22 novembre, Pastoralis praeeminentiae, dove viene ordinato l’arresto di tutti i templari e la confisca dei loro beni, ponendoli sotto la tutela ecclesiastica. Tuttavia non comprende il senso delle sue affermazioni. ‘Per quale motivo’ pensa frate Giovanni, ‘un cavaliere francese della corona di Francia insegue e chiede l’arresto di un templare bolognese? Non è nemmeno sotto la mia giurisdizione’.

Dopo una lunga meditazione l’arcivescovo emette il suo verdetto.

Non ho ricevuto istruzioni sull’arresto dei templari della Lombardia inferiore” comincia cauto il prelato. “La bolla papale afferma che templari e beni devono essere posti sotto la tutela del Papa. Quindi non posso essere d’aiuto. Visto che la magione di Bologna dipende dall’arcivescovo di Ravenna, vi suggerisco di andare colà e chiedere udienza a Rinaldo di Concoreggio, che regge la diocesi ravennate”.

Detto questo congeda Luis, che ha capito di non riuscire a prendere il frate, abile nel muoversi e protetto dagli arcivescovi della Lombardia e della Tuscia.

Luis è ormai rassegnato a tornare in Francia a mani vuote.

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