La bambina senza nome – parte sesta

Copertina Daniele

Su Caffè Letterario è stata pubblicata da poco la sesta parte del racconto La bambina senza nome.

Per i pigri la ripubblico anche qui.

Buona lettura.

Samuele e Lorenzo avevano la stessa età: trentasei anni e si conoscevano da trenta. Avevano percorso insieme l’intero iter scolastico dalle elementari alla laurea, che conseguirono lo stesso giorno. Poi le loro strade si erano divise. Samuele era salito in montagna, Lorenzo aveva tentato la fortuna a Milano senza molto successo. Però anni dopo si sono di nuovo incrociate.

Checco, il nonno di Samuele, aveva gestito fino al 2006 la trattoria. Era frequentata d’estate dai turisti di Corno alle Scale e d’inverno dai pochi abitanti del borgo. In quel periodo era diversa dallo stato attuale. Giù alla buona con arredi rustici, che necessitavano di essere sistemati, e coi muri perimetrali scrostati, che mostravano mattoni rossi e blocchi di pietra anneriti dal tempo. Nel dicembre del 1991 Checco aveva accolto una profuga, Eleni, e sua figlia, Benkhuse, in fuga dall’Albania come altri sventurati sbarcati a Bari dal mercantile Vlora. Il nonno era rimasto vedovo l’anno precedente e l’arrivo di questa donna era stato per lui provvidenziale. Oltre a essere una bravissima cuoca Eleni gli aveva scaldato il letto per oltre quindici anni, finché non era passato a miglior vita.

Alla sua morte Samuele non aveva avuto nessuna intenzione di subentrargli nella gestione della trattoria, né aveva pensato di cederla. Con Lorenzo aveva progettato dopo il conseguimento della laurea in Ingegneria di andare a Londra e girare il mondo. Affidò a Eleni la guida della Trattoria del Duca, lasciandole mano libera sia nella conduzione del locale sia nella gestione dello stabile senza pretendere un centesimo ricavato dai proventi. Eleni affittò in estate e in inverno il suo appartamento, nella parte posteriore dell’edificio, a famiglie per le vacanze estive o invernali. Per circa cinque anni lei aveva guidato con abile mano la trattoria, fino a quando una brevissima malattia non l’aveva ricongiunta a Checco. Samuele, nonostante la fresca laurea in ingegneria e i grandi progetti per sfruttarla, scelse di salire a Monteacuto delle Alpi per prendere possesso dell’eredità, iniziando la sua attività di oste.

Di fianco al bancone della sala c’erano due porte su cui si notava in quella di sinistra una mano, che intimava l’alt e proibiva l’ingresso, e nell’altra i disegni stilizzati di un uomo e una donna. La prima portava nell’appartamento privato di Samuele, la seconda era quella dei servizi.

Lorenzo, tenendo per mano la bambina, anzi la ragazza, aprì la porta di sinistra e si trovò immerso nella penombra. A tentoni cercò l’interruttore della luce. Conosceva quella parte dell’edificio, perché spesso ne era stato ospite. Anzi nella zona di mansarda aveva un paio di stanze tutte per lui.

A passo spedito si avviò per la scala in mattoni che portava al primo piano. La foto del nonno di Samuele campeggiava, appesa al muro. Un viso dall’aspetto bonario e sorridente con due baffoni alla Francesco Giuseppe.

Nel corridoio, che conduceva alla scala per salire in mansarda, Lorenzo incontrò Bea, come chiamava la moglie di Samuele, e l’abbracciò con calore.

Lei era la figlia di Eleni, che Checco aveva accolta quando aveva due anni con l’arrivo della madre. Per lui era una figlia adottiva e come tale l’aveva sempre trattata. La chiamò Beatrix, perché il suo nome per lui era impronunciabile.

Lorenzo ricordò di averla vista la prima volta ai funerali di Checco. L’aveva notata accanto a una donna vestita di nero con un fazzoletto che le fasciava la testa come molte mussulmane. Lui stava dietro l’amico ma quella ragazza, a cui non dava più di quindici o sedici anni, ogni tanto si girava verso di loro. Ignorava chi fosse e per quali motivi si trovava lì.

Lorenzo era stato curioso di scoprire chi fosse. Samuele non gli aveva mai confidato che ci fosse anche una ragazza nella casa del nonno. Aveva sentito accennare alla presenza di una donna albanese e basta. Al termine della funzione la curiosità aveva avuto il sopravento e si era informato chi fosse quella fanciulla dai capelli lunghi e neri che incorniciavano un viso ovale con un incarnato leggermente abbronzato. Samuele gli aveva spiegato che era la figlia della compagna di Checco e l’aveva conosciuta una dozzina di anni prima, quando passava le vacanze estive qui a Monteacuto delle Alpi da bambino. Si chiamava Beatrix e aveva quattro anni di meno di loro. Durante i suoi soggiorni l’aveva ritenuta troppo infantile e piccola per giocare con lei e quindi l’aveva ignorata. Poi a quattordici anni aveva smesso di venire dal nonno e l’aveva persa di vista. Era stato il testimone di nozze di Bea e Samuele. Aveva presente il suo viso radioso e come fosse una bellissima coppia. Lui alto un metro e novanta e lei poco più bassa. Un metro e settantacinque. Quella era stata la seconda occasione per vederla. Poi le opportunità d’incontrarla divennero più numerose, perché Samuele si faceva aiutare da lui per qualche piccolo o grande guaio o per sfruttare la professione di Lorenzo.

Lui guardò Bea che sembrava non invecchiare mai. La pelle del viso liscia. Solo qualche impercettibile ruga sulla fronte. Però erano quegli occhi misti marrone e verdi che l’avevano affascinato allora come adesso.

Bea arricciò il suo naso dritto e guardò con un misto di disgusto chi stava accanto a Lorenzo.

«Chi è?»

La domanda non lo colse di sorpresa. Ricordava l’accoglienza ricevuta nella sala e i commenti acidi. L’odore che la fanciulla emanava non era un olezzo di pulito e il sacco che la infagottava non aiutava a vederla di buon occhio.

«L’ho raccolta alla Fonte Vecchia che camminava sulla provinciale» spiegò con un sorriso forzato. «Ha bisogno di fare una bella vasca per provare i vestiti che ho comprato» e alzò le due borse che aveva posato per terra, quando l’aveva abbracciata.

La ragazza teneva lo sguardo rivolto verso terra in silenzio.

Bea fece un passo avanti e con la sinistra tentò invano di sollevare il viso. «E chi la dovrebbe lavare?» Chiese con un tono caustico a indicare la sua indisponibilità.

Il sorriso morì sulle labbra di Lorenzo al pensiero che fosse lui a occuparsene. Aveva sperato che come donna fosse disposta a farle il bagno. Lui si sentiva imbarazzato a doverle strofinare il corpo. Non l’aveva mai fatto a una donna e neppure a una adolescente.

«Ma almeno sai come si chiama, da dove viene?» Incalzò con tono inquisitorio Beatrix.

Lorenzo deglutì in modo rumoroso. Non l’aveva mai percepita così ostile. Scosse solo la testa per negare di conoscere le risposte. Non poteva inventarsi qualcosa per rabbonirla.

Beatrix strinse gli occhi e corrugò la fronte. Avrebbe voluto replicare con ironia ma si limitò a un laconico «buona fortuna» e girò i tacchi per rientrare nella sua stanza.

A Lorenzo non rimaneva altro che portarla nel alloggio che occupava quando soggiornava lì.

2 risposte a “La bambina senza nome – parte sesta”

  1. Ma che pace che mi infondi con le tue parole
    Ho un amico scrittore mansueto che quando vuole cambia anche genere
    Ma è sempre molto attento e discreto
    Un piacere leggerti

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