Una sera di mezza estate Benedetta…

Copertina Daniele

Benedetta è annoiata. Sbadiglia e intreccia le mani dietro nuca. «È una serata noiosa» e guarda fuori dalla finestra senza vedere nulla. I vetri bagnati non riflettono luci esterne. Si alza e si sistema davanti al computer. Spera di trovare un diversivo per spegnere la noia. Naviga un po’ e poi si collega a Youtube.

«Di solito ci sono video interessanti ma stasera pare un mortorio» borbotta con tono affranto.

Si mette ritta, spalanca gli occhi, non ci vuol credere. «Moreno ha pubblicato sul suo canale un video che è stato visto 65891 volte in due giorni!»

Ricontrolla. Il numero è giusto, anzi si è incrementato di tre unità. Controlla i video precedenti e i numeri sono impietosi: due, dieci, ventidue, zero,…

«Ma cos’ha di tanto interessante da suscitare la curiosità di tanti navigatori?»

Clicca per vederlo. Durata venticinque secondi. Un titolo insignificante “Pratoline”. Le prime immagini sono tremolanti, quelle successive sfocate. Nessun audio, né sottotitoli. Una miseria di video. Riapre il video e non cambia nulla.

«Non è possibile che Moreno col suo video abbia attirato oltre sessantaseimila navigatori» esclama sgranando gli occhi. Il contatore delle visite continua a girare a ritmo folle. «È pur vero che ho dato tre esami massacranti ma è strano non aver sentito nulla dal gruppo. Domani chiamo Luciano. Di sicuro ne saprà di più.»

I ricci rossi si muovono al tempo di musica. Da Itunes sta ascoltando l’ultimo pezzo di Cassandra Wilson. Decide di scaricare l’intero CD sul Ipod. Domani se lo gusterà con le cuffiette mentre va in Università con la metropolitana.

Benedetta è stanca, anzi stressata per l’esame sostenuto in mattinata. Le si chiudono gli occhi. Lei dorme sulla parte sinistra del letto e sul comodino c’è una bella pila di libri che aspettano di essere letti. Prende quello che sta in cima rischiando di far franare a terra gli altri. Dondolano pericolosamente ma per fortuna restano al loro posto.

È una serie di racconti scritti da una scrittrice bengalese dal nome complicato. Sono le storie di giovani bengalesi, come l’autrice, che vivono in America. Alcune sono veramente stranianti, altre allegre. Benedetta ha iniziato a leggere la storia di Neha e Asim. La trama la prende talmente che immagina di viaggiare da Oakland, dove vivono, a Chittagong insieme a loro. In questa città sono rimasti i nonni materni, Hita e Shamsur. Hanno ricevuto un cablo che li ha informati che il nonno era morto e tra due giorni ci sarebbero stati i funerali con la relativa cremazione. I due fratelli non hanno molto tempo per aspettare un volo diretto. Puntano su Mumbai, da lì con voli interni sperano di raggiungere in tempo Chittagong. Un viaggio massacrante per i fusi orari e per le tappe intermedie. Alle sei di mattina, ora locale, arrivano stravolti a destinazione al Shah Amanat International Airport. Noleggiano una macchina con autista e dai finestrini osservano un paesaggio che non è più a loro familiare. Quartieri degradati e altri puliti, accattoni che dormono nei giardini, lussuose macchine e altre che sembrano uscite da un rottamatore. Una leggera nebbia dovuto allo smog e all’orario ovatta le immagini che appaiono sfocate.

Per Benedetta quel contrasto sono una novità. Aveva letto che in quell’area del sudest asiatico ricchezza e povertà stanno a stretto contatto ma non immaginava che fosse così scioccante. Osserva i due fratelli che anche loro sgranano gli occhi per la sorpresa. Vivono ad Oakland dove sono nati e cresciuti. Lei lavora come ricercatrice nel campus della locale università e lui è odontotecnico. Neha, la sorella più grande, propone a Asim di andare a Bhasam Char, visto che il funerale del nonno si tiene all’imbrunire. «Solo due ore di traghetto. Quando eravamo piccoli, siamo venuti per visitare i nonni che ci hanno portati lì in gita.»

Asim scuote il capo. «Ora è nonna Hita ad aver bisogno di noi. Non possiamo lasciarla sola.»

Neha sorride. «Hai ragione. Ma per mezzogiorno siamo di ritorno. Rimaniamo con lei tutto il pomeriggio.» Poi ordina all’autista di portarli al porto dei traghetti.

Sono a metà strada, quando un turbine sconvolge quel tratto di mare nella Baia del Bengala.

Benedetta apre gli occhi stordita. Intorno non c’è assolutamente nulla tranne la sabbia e una luce abbacinante. La t-shirt di cotone azzurra è appiccata alla pelle, mostrando i segni del piccolo seno. Mani e gambe sono ricoperte di sabbia finissima chiara. Si sente smarrita. «Eppure ero sul traghetto.» Geme, mettendosi seduta. Le ultime immagini sono sfocate. Il vecchio che le ha offerto un fascio di foglie di betèl come segno di rispetto e di buon auspicio, lo sguardo adulto del neonato che la madre allatta placidamente. Poi il cielo sempre più scuro, gli animali sulla barca agitati, schiamazzi di gabbiani. Due marinai con gli occhi iniettati di sangue urlano indicando che i giubbotti sono sotto, nella stiva. Lo scafo imbarca acqua, le urla, il terrore, poi il buio.

Si sente osservata. Si gira con lentezza in circolo. Strilla. «Ahhhh!» Chiude la bocca impietrita dal terrore. Una scimmia a qualche metro di distanza la guarda di sbieco. Si muove con calma, sperando di non eccitarla. Però in apparenza non ha intenzioni bellicose. «Ti sei svegliata! Da dove vieni?»

«Parli? Sei tu che parli?» Balbetta con voce incerta.

«E chi se no? Vedi qualcun altro qui? Ma senti questa!» Puntualizza la scimmia che dal tono sembra innervosirsi.

«No, no, hai ragione.» Si affretta a calmarla. «È che non ho mai sentito una scimmia parlare. Dove sono?»

La scimmia fa una smorfia. Forse voleva sorridere. «Non lo so! Ero Bhasar Chor, prima che scomparisse. Mi son svegliata qui come te qualche giorno fa.»

Benedetta strabuzza gli occhi. Tutto gli sembra incomprensibile come se vivesse un sogno impossibile. «Come, scomparsa?» Farfuglia incespicando sulle parole. «La guida sul traghetto ci ha detto che è nata cinquant’anni fa dal nulla…»

«La guida! La guida? Ma dove vivi? Lo sai o no che le variazioni climatiche originate dall’effetto serra generano fenomeni estremi sempre più frequenti?»

«Sì,sì, ma…»

«Lo Tsunami del 2004 ha spazzato città e isole intere. Un’amica a Pucket s’è vista annegare due dei piccoli senza poter farci niente.»

«Mioddio! Sì, sì ma…noi ora cosa facciamo?» Benedetta ricorda di non essersi presentata e allunga la mano ma la ferma a mezz’aria imbarazzata. «Benedetta.»

«Chiamami Challow.» La scimmia si muove facendole segno di seguirla. «Vieni che t’insegno ad acchiappare granchi e gamberi. Sarà la nostra colazione, pranzo e cena. Poi speriamo di trovare qualcosa per ripararci dal sole. Rischiamo di bruciarci.»

La t-shirt, che non ricorda di possedere, e i calzoncini corti con qualche strappo che mostrano l’intimo, si sono asciugati. Sente pizzicare la pelle. La sua carnagione candida sta diventando rossa.

Challow prende un granchio e glielo porge. Lei prova a mangiarlo dopo aver rotto il carapace e spezzate le chele. L’interno è dolce.

Alza gli occhi su, verso il cielo azzurro. Vede proiettata un’ora 9:43. È il soffitto della sua casa di Lambrate. Quasi le dispiace di non essere più con Challow, perché tutto sommato era simpatica.

«Peccato! È stato solo un sogno.»

Benedetta adesso è sveglia.

«Il video di ieri sera e il racconto della… Dai, telefoniamo a Luciano!»

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