Pubblicità

Su Caffè Letterario è stato pubblicato un nuovo post.

Eccolo anche qui.

Forse qualcuno sa che mi piace scrivere e pubblicare qualcosa di mio.

Cinque anni fa, una vita dirà qualcuno, insieme a Elena di Nonsolocampagna abbiamo deciso di unire le nostre forze e scrivere un giallo con i due investigatori dilettanti Debora Nardi, Elena, e Walter con Puzzone, io.

nuova copertina Un caso per tre

Non è stato semplice ma ci siamo riusciti ed è nato Un caso per tre.

Senza nessun battage pubblicitario in silenzio ha fatto un discreto numero di vendite e di letture tramite Kindle Unlimited, è stato in cima alle classifiche degli ebook Amazon nel suo genere e di recente è tornata nella classifica di primi cento. Insomma una bella soddisfazione.

Qualche settimana fa abbiamo deciso di rinfrescare la copertina con una nuova ma anche di procedere nella pubblicazione in formato epub allargando l’area da Amazon agli store italiani e stranieri. Gli effetti al momento non sono visibili, perché la rendicontazione non è così immediata come con Amazon. Tuttavia nutriamo una discreta fiducia che altri lettori si aggiungeranno ai vecchi.

Walter Bruno con il cane Puzzone in vacanza in un paesino dell’Abruzzo incontra nello Hotel Debora Nardi, anche lei in ferie con la famiglia. Come la calamita attira il ferro, anche loro si trovano coinvolti nella morte della receptionist e nel rapimento di un bambino. Conducono le indagini a modo loro e arrivano a risolvere entrambi i casi.

Questa è in sostanza il contenuto del romanzo.

Vi lascio anche un breve stralcio del capitolo 3

Maria, la moglie del gestore dell’hotel, aveva riservato per Debora e la sua famiglia la piccola suite al primo piano. Una stanza matrimoniale unita a una camera più piccola, dove avrebbero dormito Elisa e Lina. Ognuna era dotata di un bagno e una porta metteva in comunicazione le due stanze. Un ampio balcone era accessibile dalla camera di Debora. Da qui si poteva ammirare la montagna e la folta abetaia con la ferita dei campi da sci. Una sistemazione di riguardo sia perché erano dei vecchi e fedeli clienti, sia perché Debora si era ritagliata la fama di criminologa all’interno delle puntate “Giallo di notte”.

Lina osservò con curiosità le novità rappresentate dalla sistemazione e saggiò la sua brandina, trovandola di suo gradimento. Scodinzolò felice. Questa famiglia le piaceva molto. Era stata fortunata a trovarla.

Debora disfò le valigie sotto lo sguardo annoiato di Andrea, che si era seduto comodo sulla poltrona.

«Mamma!» urlò Elisa facendo vibrare i vetri. Sembrava che avesse trovato nella sua valigia un serpente velenoso.

«Dimmi, Eli» fece con voce pacata Debbi, mettendo la testa dentro la stanza della figlia.

«Ti sei dimenticata di mettermi in valigia il maglioncino azzurro. Lo sai che ci tenevo».

«Veramente la valigia te la sei preparata tu» rispose Debora ritornando alle sue occupazioni. Strinse le labbra per impedire l’uscita di quello che pensava, che non era certamente gentile.

Infine alcuni link dove potete trovare sia l’ebook sia il cartaceo.

Amazon ebook €2,99

Amazon cartaceo €6,50

Kobo ebook €2,81

IBS ebook €2,81

LaFeltrinelli ebook €2,81

Apple libri ebook $2,99

Barnes&Noble ebook $2,99

nuovo post. Un libro magico

Il cofanetto di Puzzone

Su Caffè Letterario è stato da poco pubblicato un nuovo post, che potete leggere  anche qui.

Il vecchio libro trovato in soffitta è sembrato innocuo, ma dopo averlo aperto, Alice si ritrovò immersa in un mondo di magia e mistero che avrebbe cambiato la sua vita per sempre.

Ad Alice è rimasto impresso quel ritrovamento e non si è mai pentita di averlo scoperto.

Era una giornata di agosto afosa e torrida. Era uno di quei giorni che fare qualsiasi cosa voleva dire sudare e boccheggiare. Non c’era posto nella casa a Venusia in cui stare senza andare in debito di ossigeno.

Quella mattina all’alba era partita di soppiatto, abbandonando tutto e tutti.

Se mi cercate, sono nella campagna di Venusia. Nella vecchia casa di mio padre, Berto

Il post-it giallo era attaccato al frigo e non poteva non notarsi.

Presa la bicicletta elettrica, messo nel portaoggetti una sportina di cotone con un po’ di cibo e un paio di bottiglie di vino rosso, aveva inforcato quel sentiero che costeggiava la montagna di Venusia. Non le costava molta fatica pedalare perché il motore elettrico faceva lo sforzo maggiore.

Erano le otto quando è arrivata alla vecchia casa colonica dove aveva vissuto lei con suo padre prima di trasferirsi a Venusia con tutta la famiglia. Era così ogni volta che tornava lì. Vecchi ricordi e spezzoni d’immagini l’avvolgevano come un bozzolo protettivo e tornava bambina, quando correva scalza sul prato verde con l’erba ben curata antistante il casolare.

Anche quel giorno di agosto non è stato diverso dal solito. Udiva le sue grida di gioia, gli acidi rimproveri della nonna e la voce dolce del padre. La madre non l’aveva mai conosciuta e nemmeno adesso sapeva chi fosse. Ogni volta che lo chiedeva, Berto cambiava discorso e parlava del fico, dell’albero del pane e di qualsiasi argomento lontano mille miglia dallo svelare chi fosse sua madre. La nonna Bertolda storceva il naso e fingeva di essere sorda. Insomma nessuno ne voleva parlare e così anche adesso ignorava chi fosse.

Aperto il portone cigolante e le finestre al piano terra per arieggiare gli ambienti rimasti chiusi per molti mesi, aveva sperato di trovare quella frescura che non c’era a Venusia. Il caldo umido delle stanze l’avevano costretta a rimanere solo con una t-shirt lunga sopra le mutandine di cotone. Tuttavia il corpo era sudato e la pelle appiccicosa.

Dopo essersi aggirata sbuffando a causa del caldo per le stanze, era salita fino alla soffitta, che ricordava come fosse un luogo proibito e chiuso con due mandate per evitare che Alice bambina entrasse a curiosare.

Ovviamente la porta era chiusa. Non l’aveva mai vista aperta. Ignorava dove fosse la chiave. «E ora che faccio?» Era sicura che questa fosse finita nella bara del padre e quindi evitò di andarne alla ricerca. Ricordò, che, quando era a Ludi per l’università, aveva visto un film dove insegnavano come aprire con mezzi di fortuna una serratura.

Si procurò due listelli robusti e cominciò con pazienza allineare i denti dell’ingranaggio dell’apertura, finché non sentì quel ‘click’ che stava a indicare che la porta era aperta.

Armata di candela entrò in quell’antro polveroso e pieno di ragnatele, attese che gli occhi si abituassero al grigiore della stanza e poi iniziò l’esplorazione.

Lo stupore si dipinse sul suo volto. Sembrava che un tempo fosse stata abitata. Un letto, un canterano, delle sedie e un tavolo a capretta in noce. In un angolo stava ricoperta da due dita di polvere una cassapanca e appoggiata alla parete più ampia una libreria con molti volumi.

Alice entrò in fibrillazione e con delicatezza tolse la polvere dai libri sulla mensola inferiore. Un libro in cuoio rosso e incisioni dorate attirò la sua attenzione. Era ritornata bambina quando curiosava tra tutto quello che colpiva la sua immaginazione.

Lo prese con cura come se fosse l’oggetto più prezioso del mondo. Liberò una sedia e il tavolo dalla polvere e ragnatele e lo posò.

Quando lo aprì, rimase di stucco. Era davvero il libro degli incantesimi con una dedica a Lucia da parte di Mefistofele. E si ritrovò in un luogo del tutto sconosciuto con persone vestite in modo strano e strade lastricate con sassi di fiume.

Aveva cambiato dimensione spazio-temporale.

Cuore

Krimhilde e le fanciulle scomparse

Il post è stato appena pubblicato su Caffè Letterario e lo ripropongo di seguito.

Il suo cuore batteva all’impazzata mentre si avvicinava alla porta della stanza in cui sapeva che l’avrebbe trovato.

Si fermò per ascoltare. Nessun rumore. Mosse un passo e si bloccò con la mano a mezz’aria come una bandiera in segno di lutto.

Sentiva il cuore battere e il rumore prodotto era più intenso perché tutto intorno c’era silenzio.

Mirna rifletté se doveva abbassare quella maniglia oppure girare i tacchi e fuggire. Però sembrava che il pavimento di lucido tek fosse vischioso come la colla da falegname. Incapace di muoversi, paralizzata nella mente restava lì a cinquanta centimetri da quella porta che sapeva d’inferno.

Devo decidermi” mormorò mentalmente, impegnata com’era tra il pensiero della fuga e affrontarlo per chiarire cosa non funzionava.

Piero era il suo capo ma anche il suo amante. E lui era lì dietro quella porta. Aveva capito in ritardo che era tutto sbagliato. Non doveva e invece l’aveva fatto. Si era lasciata coinvolgere in un gioco superiore alle sue forze e si era ritrovata sola. Tutti erano a conoscenza del legame tra lei e Piero e sorridevano ironici quando la vedevano. La scansavano come un’appestata.

Da questa relazione non ci aveva ricavato nulla, solo le frecciate velenose degli altri. Eppure lei era libera senza legami e non doveva rendere conto a nessuno. Semmai era Piero che era in fallo con la sua famiglia. Però adesso doveva decidersi ma era paralizzata.

Mosse un passo indietro riportando il braccio sul fianco, perché aveva sentito delle voci dietro quella porta. Spalancò gli occhi e increspò la fronte. Forse la tensione gli aveva giocato un brusco scherzo. “Non è possibile!” e si avvicinò cauta alla porta per ascoltare meglio. “Sì! È una voce femminile e familiare. Cosa sta a fare lì dentro?”

Udì un cigolare di molle e dei sospiri che non si prestavano a equivoci fino all’esplosione di gioia soddisfatta. «Ancora! Ancora!» Un grugnito animalesco sovrastò la voce femminile e poi fu silenzio pieno di un ansare per respiri affannosi.

Mirna era impietrita. “Devo scappare!” Però rimase lì col viso a pochi centimetri dalla porta, quando…

Il battente si aprì e vide Piero accasciato sul divano rosso e Angela scarmigliata con la gonna in mano che la travolse.

Miniracconto su Caffè Letterario

L’ultima avventura di Puzzone

Su Caffè Letterario è stato pubblicato un nuovo post.

Per chi è pigro lo può leggere anche qui.

L’ultima cosa che ricordo è il suo sorriso, poi tutto è diventato nero.

Quando mi sono svegliato ero disteso su un marmo bianco, almeno questa è stata l’impressione ma non potrei mettere la mano sul fuoco per confermare il ricordo.

Però sentivo freddo sulla schiena. Per forza ero nudo! Ho provato a muovere una mano sinistra senza riuscirci. Pareva ancorata al marmo ma non vedevo o sentivo un qualsivoglia legaccio che me la bloccasse. Poi ho tentato con la destra ma la sensazione è stata la stessa: impossibile a muoverla.

Ho aperto gli occhi ma non ho visto nulla. Solo nero pece. Eppure le palpebre non sono incollate. Si sono mosse liberamente. Ho riprovato col braccio, sperando in miglior fortuna. Niente! Sempre aderente al corpo.

Ho cominciato a sudare perché ho capito che ero in un bel impiccio. Buio e silenzio. Solo il mio respiro rauco. Poi una tenue luce in lontananza.

Era un buon segnale oppure pessimo? Dovevo solo aspettare. Nel mentre sono tornato indietro nel tempo. Ero venuto con Nicola, una bella ragazza bionda conosciuta ai tavolini del Bunga Tavern. Tra una birra e l’altra, un sorriso malizioso e occhiate traditrici abbiamo deciso di fare una puntata nella villa del Capitano.

«C’è una festa in costume molto riservata» aveva aggiunto per convincermi. «Però le voci che girano parlano di festini a base di sesso. Vorrei immortalarli con la mia fida Leica».

Forse le troppe birre mi hanno obnubilato la mente e come uno scemo ho detto di sì.

Così abbiamo scavalcato un cancello laterale. Lei armata di macchina fotografica, io della mia incoscienza.

In silenzio ci siamo addentrati nel parco. Poi… eccomi qui immobilizzato e incapace di scappare e chiedere aiuto.

Che scemo sono stato!

Angela e il pertugio

Su Caffè letterario è stato da poco pubblicato un nuovo post.

anteprima copertina Un caso per tre

«Con tutti questi superbonus camminare sul marciapiede è diventato un esercizio di acrobazie e di fortuna». Angela è inviperita perché è costretta a slalom pericolosi su e giù sul marciapiede con le macchine e le moto che sfrecciano incuranti dei segnali di limitazione della velocità.

«Fossero solo loro!» Impreca per l’ennesimo ciclista che anziché condurre a mano la bicicletta corre veloce dove passano i pedoni. «Poi ci si mettono anche i monopattini che sfrecciano a cento all’ora!»

Di fronte al nuovo ostacolo Angela sbuffa e si infila nel pertugio con la carrozzina. Aggirare l’impalcatura non ci pensa. «Rischio di finire arrotata» borbotta con tono iroso. La piccola comincia a strillare. «Calma, gioia» la rabbonisce, sfoderando un bel sorriso, il migliore che possiede. Del tutto inutile. A metà del passaggio si ferma per farle una carezza. Neppure un secondo dopo si ritrova con le chiappe per terra e la carrozzina sulle gambe. Solleva lo sguardo smarrita alla ricerca di spiegazioni. Vede solo il viso di una ragazzina abbarbicata sulla capotte, che ride con le lacrime agli occhi. La piccola strilla paonazza, Angela congestionata non riesce a dire neppure «Deficiente!»

In corteo

Su Caffè Letterario è stato pubblicato un nuovo post che ripropongo anche qui.

anteprima copertina Un caso per tre

Il corteo si snoda tranquillo tra le vie di Dog City. I cittadini del paesino li guardano divertiti. Sono quattro gatti e per di più patetici con i loro cartelloni di protesta contro i cambiamenti climatici.

Lo slogan è scandito al ritmo di una pentola. «Basta fossili! Basta auto! Basta emissioni nocive».

Tom seduto sui gradini del saloon grida di andare a lavorare tra gli sghignazzamenti triviali degli altri compari.

Alla testa del corteo c’è Jane, una ragazza rotondetta col viso butterato dall’acne. Accanto a lei c’è Fred, un ragazzone dal viso roseo come un porcellino.

Jane smette di urlare gli slogan e si guarda intorno. Ha sentito cadere qualcosa dal cielo.

«Oh! Mio Dio! Proprio a me?» Sospira ad alta voce, fermandosi.

Fred, che le sta accanto, sghignazza divertito. «Non lo sai che sei fortunata?»

Jane si gira inviperita tutta rossa in viso, mentre riprende a marciare per non intralciare il resto del corteo. «Di che fortuna vai cianciando, stupida creatura?»

Lei si ferma di nuovo e abbassa il cartello con la foto dell’artico che si quaglia per il caldo.

Ora tutti le sono intorno. La guardano. Alcuni sorridono. Altri ridono a crepapelle.

Jane allarga le braccia verso l’alto e ruota lo sguardo dalla terra al cielo come dire “che sfiga!”. Poi con tono stridulo grida: «No, non è possibile». Ha l’occhio umido pronto a una crisi isterica. «Ma come è possibile che tocchi proprio a me?»

Gli altri le fanno cenno di riprendere a marciare, perché il corteo non si può fermare.

Fred ripete prendendola sotto braccio. «Sei fortunata, Jane».

«Sarò fortunata» biascica arrabbiata con amarezza. «Ma sono scagazzata!»

La guardia

Su Caffè Letterario è stato pubblicato un nuovo post.

copertina Una notte magica San Giovanni

La potete leggere anche qui.

La guardia aveva capito, subito s’era resa conto di tutto. Quanto al signore grasso, la faccenda era naturalmente chiarissima. Restava la ragazza. L’agente si chinò su di lei per esaminarla più da vicino e una sincera compassione gli si dipinse sul viso.

Il signore grasso era appoggiato con le spalle alla parete e la testa reclinata di lato. Un filo rosso scendeva dalla bocca e lo sguardo era assente. Non poteva essere differente da così. Era evidente che il suo stato mostrava che era morto.

La guardia, un omino smilzo, non lo degnò di uno sguardo in più. Era la ragazza l’oggetto delle sue attenzioni. Stava rannicchiata con la gonna scivolata in su che mostrava l’intimo bianco.

Il viso candido, illuminato dalla lampada sul tavolo della conferenza, non mostrava segni di terrore. Anzi appariva sereno e disteso.

La guardia si avvicinò ancora di più. Non capiva se respirava oppure no. Le mani in grembo sembravano indicare che si fosse addormentata appoggiando le spalle alla scultura di un cavallo.

Strizzò gli occhi per mettere a fuoco quella figura che ispirava tenerezza. Non doveva avere più di sedici anni. Un viso senza rughe, un caschetto di riccioli biondi, due fossettine sul mento. La corporatura minuta dimostrava che era ancora acerba nel fisico.

Era decisamente morta, dedusse la guardia dopo averla attentamente osservata. Trovava inutile chiamare i soccorsi.

Si allontanò dalla stanza che chiuse a chiave e se ne andò a casa.

Buon anno 2023

Su Caffè Letterario quest’anno comincio io.

Foto di oleksandr pidvalnyi da Pexels

Beppe Gambalunga è infagottato nel giubbone nero che appare un po’ logoro sui gomiti. Impreca sottovoce, perché alle sei del primo gennaio deve recarsi al commissariato.

È successa una gran lite nel condominio Spera e gli agenti non riescono a sedare la lite che prosegue a colpi di sedie e ceffoni.

Così il commissario di turno ha richiamato in servizio chi non era di turno. «Che stronzo! Non riesce a gestire quattro gatti che si scazzottano per bene, alticci per le troppe bevute» biascica con le mani affondate nelle tasche. Se fosse per lui li avrebbe lasciati lì a picchiarsi di santa ragione. Tanto prima o poi avrebbero smesso. Però lui è l’agente scelto Beppe Gambalunga, e l’altro il commissario Ciccio Bellavista. Una bella differenza!

C’è ancora buio ma il cielo è senza stelle coperte da nuvole che sono grige. Tira una bava di vento freddo che fa rabbrividire Beppe, che ha il collo incassato nel giubbone.

Il commissariato non è proprio dietro l’angolo ma a lui non andava di prendere fuori la macchina con le strade ingombre di cocci. Gli operatori ecologici sono in azione da un paio d’ore ma prima che arrivino al suo quartiere passerà ancora del tempo. «Che mania quella di gettare le cose vecchie dalla finestra» bofonchia indispettito con l’alito che condensa per il freddo.

«Alla buon’ora!» Lo accoglie il commissario Ciccio Bellavista. «Sei l’ultimo ad arrivare! La pattuglia ti aspetta nel cortile. Sono lì al freddo da mezz’ora».

Beppe non risponde. Non gli va di incominciare l’anno male con un battibecco sterile. Incassa il rimprovero, deposita il giubbone nel suo armadietto e indossa il giubbetto imbottito d’ordinanza.

Alceo Spingarda sta fumando l’ennesima sigaretta accanto alla Punto blu che ha il motore acceso. Dentro ci sono Luca Bimbo e Dino Sperandio che discutono animatamente.

«Si parte». Alceo buttato il mozzicone si mette alla guida. «Speriamo di non trovare troppo sporca la strada».

Scansati diversi oggetti ingombranti, arrivano al condominio Spera dove ci sono diverse pattuglie tra polizia e carabinieri.

Lo spettacolo sarebbe divertente se non ci fossero una dozzina di persone che si azzuffano tra le urla di incitamento di donne e bambini col contorno dei condomini affacciati alle finestre che fanno il tifo da stadio.

Beppe guarda incredulo lo spiegamento di forze che non osano separare i contendenti. Dà di gomito a un carabiniere dal viso annoiato che nell’ombra si fuma una Marlboro. «Si sa perché si picchiano?»

«No. Qualcuno delle case davanti ci ha chiamato perché c’era una zuffa in strada. Ma il motivo non lo so».

Beppe lo osserva. Gli sembra che sia infastidito perché gli ha chiesto la causa della battaglia a suon di pugni. Però non demorde. «Perché non li separate?»

Il carabiniere lo guarda in tralice e sbuffa perché non può fumare in santa pace. A lui non gliene frega nulla di motivi e d’intervenire. «Se le danno di santa ragione senza usare coltelli o arme improprie. Alla fine qualcuno si recherà al pronto soccorso senza qualche dente o col naso rotto e tutto finisce lì». Poi gettata la cicca nel tombino si allontana borbottando qualcosa che Beppe non capisce.

È ancor più irritato col commissario. «Mi ha tirato giù dal letto per assistere a una zuffa senza intervenire» bofonchia alzando le spalle e sputando per terra.

Era andato a letto da poco dopo il veglione in casa sua con le sorelle e i loro mariti, quando è arrivata quella telefonata inopportuna. Se le prime ore dell’anno nuovo sono passate in allegria, adesso l’umore è nero.

È ormai da una mezz’oretta buona al freddo ad assistere a una zuffa da osteria senza che le forze di polizia accorse in gran numero vi ponga fine, quando sente una voce proveniente dal buio.

«Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signori, di almanacchi?»

Beppe si gira nella direzione di quella voce e e vede un Vucumprà che avanza tenendo in mano degli opuscoli.

«Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signori, di almanacchi?» Ripete con tono strascicante un corpulento clandestino dal viso nero come la pece.

Una donna, che fino a pochi istanti prima urlava e incitava qualcuno a dargliele per bene, si stacca dal gruppo e chiede: «Almanacco per il nuovo anno? Sarà buono?»

Il venditore si avvicina e in un italiano incerto afferma che il prossimo sarà di certo migliore di quello che ci ha appena lasciato.

«Ne siete certo?» Insiste la donna dubbiosa che prende l’almanacco che il Vucumprà le allunga.

«Potete scommetterci. Migliore di tutti gli anni passati».

Come per incanto la rissa cessa e poliziotti, spettatori e litiganti si assiepano intorno al venditore ambulante per comprare un almanacco.

 

Le mummie – seconda parte

Su Caffè Letterario è stata pubblicata da poco la parte conclusiva di questo breve racconto.

foto personale

Breve riassunto della prima parte.

Luigi e Lisa son in vacanza. Lui vede uno strano corteo funebre e decide di visitare il camposanto dove sono conservate delle mummie. Lisa vorrebbe mettersi in viaggio per tornare a casa ma alla fine acconsente alla sua richiesta. Al rientro preparano i bagagli per partire.

Giuseppi, il proprietario della locanda, era dispiaciuto che i suoi ospiti lasciassero la stanza con un giorno di anticipo, mentre li osservava a caricare i bagagli.

Lisa seduta sul lato passeggero aveva il viso più disteso e osservò Luigi che chiuso il bagagliaio si sedeva al posto di guida.

Girò la chiave e premette a fondo la frizione. Dal motore non arrivò nessun gemito. Riprovò senza ottenere un risultato migliore.

Lisa, irrigidita per il contrattempo, era seduta sul lato passeggero e osservava il marito che aveva la fronte imperlata di sudore e biascicava degli improperi.

«Riprova, caro» disse con voce suadente come a spronarlo a far partire l’auto che invece non ne aveva voglia.

Luigi alzò le spalle e girò la chiave. Il motore rimase muto senza segni di vita. Poi girò e rigirò con furia ma nessun segnale proveniva da sotto il cofano.

«Caro, ti vedo nervoso. Provo io che sono più calma». Lisa scese e si sedette nel posto del conducente. Girò con dolcezza la chiave e affondò con decisione il piede sulla frizione. Nessun borbottio. Silenzio assoluto.

«Smettila o la batteria sarà da cambiare» urlò Luigi di fianco alla macchina. Lisa alzò le spalle spostandosi sul lato passeggero.

Lui vide tre ragazzini che arrivavano calciando un sasso. Fece loro un segno di avvicinarsi perché voleva convincerli a spingere la macchina nella discesa distante pochi metri da dove era parcheggiata.

Loro allegri si misero di buona lena per far avanzare l’auto che imboccata la strada, che conduceva a una officina con annessa stazione di servizio, scese senza difficoltà.

Luigi con perizia la fermò davanti alla pompa di benzina, mentre un meccanico dal viso unto di olio gli chiese come poteva servirlo.

Lui spiegò a parole e gesti che il motore aveva un problema all’accensione. L’uomo tuffò la testa sotto il cofano e armeggiò nel tentativo di capire il motivo.

Lisa seduta in modo composto non udiva nessuna parola che riuscisse a interpretare. Si agitò in preda all’ansia dimenandosi sul sedile.

«Cara, il motore ha un guasto non riparabile su due piedi».

Lei sbiancò e chiese quanto tempo sarebbe servito per la riparazione.

«Dice che in due o tre giorni la macchina è pronta».

Riportati i bagagli Al gras’ nat, Giuseppi li accolse con un gran sorriso. Quella era l’unica locanda del paese, anche se Lisa avrebbe voluto cambiare.

«Chiedi un’altra stanza. Non voglio tornare in quella che abbiamo lasciato» affermò con forza Lisa decisa a non tornare nella vecchia camera.

«Cara, ma perché?»

«Non voglio vedere quella piazza». La donna si chiuse nel mutismo.

Il proprietario sorrise. Nessuno voleva quelle stanze che davano sul retro, su un vicolo poco illuminato e un tantino maleodorante. Quindi non ebbe difficoltà a esaudire la richiesta di Lisa.

Disfatti i bagagli, si distesero sui letti accaldati e sudati. La giornata piena di imprevisti aveva lasciato il segno.

«Cara, quelle mummie sono veramente orribili con quelle bocche aperte che gridano il loro dolore».

Lisa non rispose. Immersa nel suo sudore si era addormentata. Sognò che anche lei era diventata una mummia ed era stata aggiunta alle cento trenta. Avrebbe voluto urlare la sua rabbia ma dalla bocca non usciva nessun suono. Strinse i pugni conficcandosi le unghie nei palmi che sanguinarono. Aprì gli occhi col cuore che batteva a mille e il respiro mozzo. Allungò una mano ma non trovò quella di Luigi. Aspettò che facesse giorno per calmare l’ansia.

Luigi dopo aver fatto colazione propose di visitare le pietre dondolanti in cima alla collina.

«Va pure. Io resto nella stanza. Lasciami degli schei per comprarmi qualche rivista».

Lui rabbuiò in viso. Era a corto di contante e non c’era rimasto molto nella carta. «Non spendere troppo. Dobbiamo arrivare a casa» disse uscendo dalla stanza.

Lisa rimase sul letto stanchissima per la notte insonne popolata da terribili incubi. Poi con lentezza fece una doccia prima di uscire alla ricerca di un’edicola. Ricordava che ce ne erano tre. Una in piazza e le altre due nelle vie adiacenti. La prima non aveva riviste italiane. La seconda le teneva ma erano esaurite. Alla fine nella terza trovò due vecchi rotocalchi, Tempo e Bellezze, che comprò anche se non erano di suo gradimento.

Tornata in stanza si impose di leggere tutti gli articoli per passare la mattinata, ma dopo una mezz’ora di uno sfogliare frenetico le gettò in un angolo della camera.

Al rientro di Luigi lo implorò di andare all’officina a controllare che il meccanico lavorasse alla loro macchina. «Questi sono degli sfaccendati. Se non stai col fiato sul collo, se la prendono comoda».

Luigi sbuffò ma promise di andare nel pomeriggio a controllare.

Lisa era terrorizzata per la nuova notte che doveva affrontare. Aveva dinnanzi agli occhi i volti trasfigurati delle mummie e il cuore cominciò a battere con furia.

Si distesero sul letto e Luigi si addormentò subito nonostante il caldo insopportabile della stanza. Non c’era nemmeno un ventilatore a mitigare l’afa. Il suo respiro era regolare, quasi un soffio. Lisa invece rimase con gli occhi aperti con la speranza di non vedere quelle facce urlanti.

Il campanile del duomo batteva con regolarità le ore ma per lei il tempo era fermo. Non voleva addormentarsi. Non voleva vedere quelle facce contorte. Non voleva ascoltare le loro urla. Non voleva e basta.

Un raggio di sole si insinuò tra le imposte chiuse per annunciare una nuova giornata soleggiata e calda.

Luigi propose una passeggiata nel vicino bosco di querce ma Lisa oppose un netto rifiuto. «Va pure, caro. Io resto qui a leggere le mie riviste». Una pietosa bugia perché in effetti non aveva nulla da leggere.

Rimasta sola, dopo una veloce doccia si precipitò fuori alla ricerca di qualcosa da sfogliare. Tornò in camera con un fascio di riviste americane. “Non conosco l’inglese ma guarderò le figure”. Le consultò con rabbia mentre avvertiva un groppo alla gola come se una mano la soffocasse. Aprì la finestra ma l’unico effetto fu una ventata di aria calda umida e maleodorante. Aspettò il rientro di Luigi per spronarlo a partire.

«La macchina?» Fu il benvenuto.

Lui scrollò le spalle e non rispose.

«Non ho fame. Vai pure da solo ma passa dall’officina per sollecitarli a fare presto».

Lisa sudava copiosamente e il respiro era affannato. Sarebbe stata meglio solo dopo essere partita da questo piccolo paese di cui non ricordava il nome.

«L’auto sarà pronta domani o dopodomani. Me lo hanno garantito» disse Luigi, mettendosi in bermuda.

Lisa era terrorizzata: doveva affrontare una nuova notte. All’una si alzò per fare una doccia fredda. Il respiro era corto. Sembrava un mantice asfittico. Il cuore rallentava e faticava a pompare il sangue.

Luigi dormiva beato nel suo letto e non udì nulla, nemmeno lo scroscio dell’acqua nella doccia.

Lisa uscì dal bagno barcollante, ancora umida per non essere riuscita ad asciugare il corpo. Si distese sul letto. La sinistra provò a sentire il battito del polso. Tum. Un silenzio. Tum. Un secondo intervallo. Si spaventò e strizzò un seno nella speranza che il cuore riprendesse a battere con regolarità. Per qualche istante le sembrò che avesse avuto un’accelerazione ma poi non sentì più nulla.

«Luigi, sto male. Sto morendo» sussurrò sperando di svegliarlo.

Era nuda sul letto a occhi aperti e con la destra strizzava il seno sinistro.

Luigi aprì gli occhi e la vide. «Cosa c’è?»

«Sto morendo» Un filo di voce usciva dalla bocca. «Sto morendo».

Luigi si sedette accanto a lei stringendole la mano.

«Mi prometti che quando sono morta non mi seppellisci in quel camposanto?»

«Non dire sciocchezze. Un po’ di aria fresca e tutto passerà».

Lisa scosse il capo. «Promettimi che non mi lascerai il quel camposanto. Promettimelo».

Luigi scosse il capo e non promise nulla.

Lei sentì che il cuore batteva sempre più piano, finché non smise del tutto.

Nel pomeriggio Luigi si mise in viaggio per tornare in Italia. Fischiettava ascoltando la radio della macchina e sul lato passeggero svolazzano delle riviste americane.

Le mummie – prima parte

Su Caffè Letterario è stata pubblicata da poco la prima parte del racconto Le mummie. La seconda e ultima parte sarà pubblicata domenica 19 dicembre.

La prima parte la potete leggere anche qui.

La piazza circolare contornata da lecci a forma di pino era battuta da un vento gagliardo che sollevava polvere e carta.

Luigi la guardava dal terrazzino della locanda Al gras’ nat, mentre fumava il sigaro toscano. Pensò per quale bizzarria qualcuno si era divertito a trasformare la larga chioma di un leccio in quella di un pino. Però qualcosa lo distrasse da questo pensiero e la sua attenzione fu catturata da un vociare garrulo che proveniva dalla sua destra. Un piccolo corteo procedeva attraversando la piazza. Erano uomini donne e bambini vestiti in una foggia a lui sconosciuta. Colori sgargianti che si notavano. Rossi, gialli, arancioni e verdi. Mangiavano frutti e cantavano delle nenie cantilenanti. Aguzzò la vista per mettere a fuoco chi conduceva quel gruppo di persone. Aveva qualcosa di bianco sulla testa che reggeva con entrambe le mani.

«Lisa, corri! Vieni a vedere!»

Dal bagno sentì dei rumori sordi e una voce simile a un ruggito. «Non posso! Mi sto asciugando!»

Luigi ripeté l’invito in modo perentorio. «Non puoi perderti lo spettacolo!»

La donna a piedi nudi lasciò una scia umida sul pavimento e si posizionò dietro a lui. «Coprimi. Sono nuda». E poi seguì con lo sguardo il suo braccio che indicava quello strano corteo. «Non spostarti altrimenti mi vedono. Ma…» Si interruppe ed esclamò stupita: «Ma è un funerale! Quella cosa bianca è una bara di una bambina».

Luigi si spose in avanti per vedere meglio, mentre Lisa gli rimase appresso tenendo in mano l’asciugamano rosa. «Sì, sì!» Confermò con tono convinto. «È proprio il funerale di una bambina».

La donna ritornò sui suoi passi rifugiandosi nel bagno.

Luigi finì di fumare, gettando il mozzicone di sigaro sulla strada. Si chiese come era morta quella bambina di cui aveva visto il funerale, assai singolare, perché invece di piangere ridevano e mangiavano. Era convinto che in quella piccola bara bianca ci fosse una bambina ma forse, pensò, era una neonata morta prematura. Comunque il sesso era di sicuro femminile. Rientrato nella stanza si avvicinò alla porta del bagno. «Lisa, se ti sbrighi, facciamo in tempo a visitare il camposanto che custodisce delle mummie».

Come risposta udì un grugnito che voleva dire molte cose: dal sì al no.

«Luigi, facciamo le valigie e torniamo a casa» disse in modo intellegibile la donna dalla porta chiusa del bagno.

«Ma abbiamo ancora una notte per restare qui. E poi ci sono ancora angoli suggestivi del paese da visitare».

«Luigi ti prego, facciamo le valigie».

«Forse il camposanto ti mette paura?»

La porta si aprì mostrando Lisa coi capelli umidi e una vestaglietta trasparente. Aveva quarant’anni portati non troppo bene. Il seno quasi flaccido si adagiava sull’addome. I capelli rossi, una volta luminosi, apparivano smorti. Le rughe intorno agli occhi verdi erano pronunciate. «No, non mi mette paura ma voglio tornare a casa. Non mi sento bene».

Luigi le prese la mano ancora bagnata. «Cosa ti senti?»

«Non mi sento bene» ripeté monotona.

«La passeggiata fino al camposanto ti farà bene. Vedrai che tutto passa» affermò con finta premura.

Faceva caldo anche se il sole era basso sull’orizzonte, quando giunsero davanti al cancello in ferro battuto del camposanto. Due angeli montavano la guardia a fianco dell’apertura che era socchiusa. Chi fossero, era difficile da capire: il tempo e il guano degli uccelli li avevano resi irriconoscibili.

Luigi spinse il battente che si mosse silenzioso sui cardini ben oliati.

C’erano solo tre uomini tra le lapidi del camposanto, tutt’altro che grande. Un omino che sembrava controllare l’attività degli altri due che brandivano una pala.

Il sorvegliante si mosse incontro a Luigi e Lisa come a sincerarsi delle loro intenzioni.

«È vero che sono conservate delle mummie?» Domandò Luigi all’omino che era di fronte a lui.

«Certamente» fu la risposta pronta.

«Si possono vedere?»

Lisa si strinse al suo braccio con la fronte madida di sudore. «Ma Luigi…»

«Se mi seguite ve le mostro» e girò i tacchi verso una costruzione bassa in mattoni rossi.

Luigi stringendo la mano di Lisa lo seguì.

Aperta una vetrata colorata, l’omino fece strada verso il basso. «Fatte attenzione ai gradini. Sono fatiscenti».

Arrivati sul fondo la stanza appariva ben illuminata dalle grandi finestre sul soffitto. A destra e a sinistra stavano rispettivamente su ogni parete sessanta mummie e altre dieci su quella di fronte. Ben centotrenta fissate con ganci metallici perché non cadessero.

Luigi rimase sorpreso. Sembravano ancora vive anche se la carne era incartapecorita e le vesti ridotte in brandelli mostravano le loro nudità.

«Ma…».

«Il posto è asciutto e conserva bene le salme» affermò l’omino anticipando la domanda di Luigi.

Nel mentre Lisa passava in rassegna le mummie contandole. Uno, due, tre… E osservandone i lineamenti stravolti dalla morte. Pareva che urlassero con la bocca aperta e storta e gli occhi bianchi rivolti verso l’alto.

I due uomini si fermarono dinnanzi a una donna che appariva diversa dalle altre mummie. Questa aveva i lineamenti contratti in una smorfia di terrore e le mani chiuse a pugni rivolte verso l’alto. L’omino spiegò che questa soffriva di catalessi e quando un giorno la trovarono irrigidita nel suo letto pensarono che fosse morta. «Evidentemente la sua morte era apparente e si è svegliata nella bara. Una morte orribile picchiando sul coperchio».

Luigi ebbe un brivido. «Ma come sono finite qui?»

L’omino spiegò che per un anno il costo della sepoltura era di dieci schei e con cento potevano rimanere cent’anni.

«Ma voi cosa fate? Le disseppellite e le portate qui?»

L’omino rise. «Sappiamo chi non ha gli schei per l’anno dopo e la bara resta a un metro dalla superficie per fare meno fatica».

«Ma se paga?»

«La torniamo a seppellire».

Mentre Lisa continuava la sua macabra conta, Luigi osservava quelle bocche urlanti che gridavano il loro terrore per la morte.

Ritornati alla locanda, cominciarono a riempire le valigie con un gran rumore delle chiusure.

«Si parte» annunciò Luigi scendendo verso la reception.

– La seconda è ultima parte sarà pubblicata domenica 19 dicembre –