La conversazione

Nella stanza l’aria si era intiepidita per effetto del cammino acceso da Angie. La legna crepitava con schiocchi improvvisi mentre mille falliste si alzavano sopra le fiamme. La brina gelata che aveva orlato fino a pochi istanti prima le finestre cominciava a sciogliersi in molti rivoli d’acqua che scivolavano silenziosi come minuscoli torrenti in miniatura.
Le pesanti tende di broccato rosso erano state scostate lasciando entrare un pallido sole che illuminava la scena occupata dal grande letto di ottone nel centro della camera. Un tempo aveva accolto i genitori di Angie. Adesso ci dormiva lei.
Era molto più ampio del consueto, comodo e accogliente. Le due testate di ferro erano decorate con vistosi disegni di fiori che rallegravano l’austerità della stanza. Il mobilio era ridotto all’essenziale. Un tavolo di legno massiccio stava nell’angolo più vicino al cammino con sopra una specchiera. Un enorme armadio in noce lavorato con grandi fregi occupava la parete di fronte alla finestra, mentre due comodini inglesi in radica di rovere filettati con decori in ottone facevano bella mostra ai lati del letto.
Angie aveva rinnovato di recente i materassi con morbida e calda lana di pecora, alti due spanne, pronti ad accoglierla caldi e avvolgenti. Anche i cuscini, dalle proporzioni inusuali e riempiti di candide piume d’oca, avevano subito analogo trattamento tanto che la testa appoggiava con piacere su quel soffice mondo, favorendo l’approdo al mondo dei sogni.
Con regolarità secondo un rituale ormai codificato veniva eseguita l’operazione di disfare i materassi, programmandola un anno per l’altro, attesa come il segnale della bella stagione. A primavera il materassaio provvedeva ad aprirli, ad arieggiarli e a ridare la giusta consistenza ai fiocchi, pettinandoli con cura per eliminare i nodi che si erano formati giorno dopo giorno dal precedente intervento. Era un’attività che richiedeva il bello stabile e spazi asciutti intorno. Nel giardino un’enorme tavola, appoggiata su due cavalletti, ospitava i materassi, che venivano sventrati e svuotati del loro contenuto che finiva su un telo di lino grezzo a prendere il sole e l’aria frizzante della bella stagione. Venivano poi riempiti e ricuciti a mano con arte e precisione così che al termine del lavoro apparivano come se fossero nuovi. Queste lavorazioni duravano un paio di giorni. Erano momenti di gioia che venivano vissuti con intensità da Angie. Un rito irrinunciabile che scandiva il passare del tempo.
Lei, sistemati i cuscini contro la testata del letto, si tirò fin sotto il mento le lenzuola di lino, ricamate con le sue cifre A e F che spiccavano nette sugli angoli, e la coperta di pecora come se la stanza fosse ancora gelida. Era un modo istintivo per nascondersi alla vista di Dan come se fosse un rigurgito di pudore dopo la notte trascorsa freneticamente.
Lui, deposti i vassoi con i resti della colazione sul tavolo, si accinse a parlare di sé, ad ascoltare quello che lei aveva intenzione di dire.
“Sembra singolare, e in effetti lo è, ma non conosco nulla di te” cominciò Angie, prevenendolo nell’iniziare il discorso.
Lui, con le mani intrecciate dietro la nuca e appoggiato comodamente alla testata, sorrise e replicò con calma.
“Perché forse io so qualcosa di più?”
Angie arrossì leggermente a quella risposta ironica e pungente, perché in fondo se le era veramente cercata. Però in qualche modo aveva rotto il ghiaccio dopo il risveglio mattutino e la colazione silenziosa.
Fingendo di raccogliere la frecciata proseguì.
“Hai detto che hai seguito la raccolta delle mele. Dunque sei un proprietario terriero. Ma questa unica attività ti permette di vivere agiatamente?” domandò con la fronte corrugata per il dubbio che stava aleggiando nella sua mente.
Lui rifletté un attimo prima di rispondere.
“No. No di certo!” disse ridendo di gusto “Se non avessi altri proventi, vivrei di stenti. Diciamo che questa è un hobby e nulla più. Un bel divertimento stare all’aria aperta insieme ai contadini, vivere insieme la loro giornata. Quasi tutto il ricavato lo regalo a loro, che hanno accudito con amore le piante. La rendita maggiore, in realtà, mi proviene dalle grandi piantagioni di tabacco, la cui qualità è molto apprezzato dalle industrie del nord, dai grandi produttori del fumo. Si trovano sulla costa occidentale della baia e sono l’eredità dei miei bisnonni, che hanno avuto la lungimiranza di acquistarle dai powhatans per pochi spiccioli. Ora sono una miniera d’oro. Io preferisco vivere a Deal Island piuttosto che vicino alle piantagioni. Ho una persona fidata che lavora per me e fa sì che tutto proceda per il meglio”.
A Angie il pensiero corre alla madre, l’enigmatica Wina, che era una powhatan silenziosa e discreta. Dentro di lei scorre anche sangue algonchino che ha mitigato l’accesa irruenza irlandese. Delle sue origini di mezzosangue decise di non parlarne, di sorvolare. Ci sarebbe stato un momento più propizio per dirlo, adesso reputava che fosse troppo rischioso e prematuro.
“Mio nonno è arrivato da Wicklow, la capitale dell’omonima contea, dopo la grande carestia del 1849, stanziandosi a Baltimora. Wicklow è una cittadina vicino a Dublino, ma non l’ho mai vista. La nonna Caitlin l’ha sempre descritta come una città di case di legno colorate con tanti piccoli giardini, immersa in una pianura verde smeraldo. E’ un minuscolo puntino, lontano nel tempo e nello spazio. Mi sono sempre ripromessa di attraversare l’Atlantico per scoprire le radici della mia famiglia. Ma questo non credo che ti interessi..”
“E perché no? Mi sono chiesto da chi avevi ereditato questa folta chioma rossa, anche se dei tratti del viso sembrano tipici degli algonchini. Questa dicotomia mi ha incuriosito sin dal primo momento che ti ho vista. Ho provato delle sensazioni diverse dai soliti incontri con le donne della regione. Un quid di mistero e luminosa bellezza fusi insieme. Mi sono detto che non potevi avere delle discendenze dai vecchi abitatori di questi luoghi e non mi sono sbagliato. Dunque hai sangue irlandese nelle vene! E si vede e si sente! Ma…vivi da sola in questa grande casa?”.
Dan non osava domandarle come viveva visto che non lavorava e apparentemente non aveva proprietà a parte l’abitazione.
“Si, il nonno e la nonna erano fieri delle loro origini. Hanno fatto fortuna a Baltimora, come mio padre nel suo lungo peregrinare nella baia. Questo mi permette di vivere di rendita con le loro eredità, se questo era il tuo dubbio nascosto..”
“No, no! Non voglio essere frainteso!” si affrettò a dire cercando di fugare ogni dubbio “Sono stupito che tu viva da sola in questa grande casa, che mi sembra sproporzionata alle tue esigenze. Non ho mai dubitato che tu te lo possa permettere! Però trovavo singolare che una donna sola …”
Angie lo fulminò con gli occhi, perché metteva in discussione che una donna potesse vivere da sola in una casa dalle proporzioni generose, come se fosse unica prerogativa per i maschi. Giudicò impudente quell’accenno come se lei avesse qualcosa da nascondere. Qualche segreto inconfessabile.
“Forse pensi che abbia avuto un marito o preferisca le donne? Non credo visto lo stato in cui ero prima di stanotte” e tacque indispettita rintanandosi ancora di più sotto le lenzuola.
Dan comprese di avere avuto un atteggiamento maldestro verso questa donna dal carattere battagliero e dolce ma aspro allo stesso tempo. Aveva capito che non era come le altre donne conosciute più remissive ma meno decise nel difendere le proprie ragioni. Era questo tratto del carattere di Angie che aveva solleticato la sua curiosità, le sue attenzioni. Le prime sensazioni erano dunque confermate, mentre cresceva in lui lo stimolo ad approfondire la conoscenza.
Si rendeva conto in ritardo che non avrebbe dovuto usare quel linguaggio, ma ormai la frittata era fatta. Adesso doveva solo recuperare quel feeling che si era interrotto così bruscamente. Allungò una mano per sfiorarle il viso prima di ricominciare a parlare, ma lei lo allontanò infastidita come si fa con una mosca.
“Ti porgo le mie scuse per le parole malaccorte che ho usato. Non era mia intenzione mettere in discussione la tua sincerità. Di questo me ne dispiaccio. Spero che tu le accetti”.
Angie lentamente riemerse dal lenzuolo, sollevandosi leggermente, mentre abbozzava un timido sorriso.
Quell’uomo, più anziano di lei, le piaceva perché le ispirava un senso di pacata fiducia. Però non aveva gradito quelle insinuazioni. Doveva imparare a misurare le parole se voleva continuare la relazione che in qualche maniera stava vagheggiando con la fantasia.
Non voleva cedere subito e accettare le scuse che stava porgendo. Doveva fare ancora per un po’ l’offesa senza tirare troppo la corda per poi sciogliersi pian piano e ripristinare quel senso di intimità e complicità che c’era stato fino a qualche istante prima.
Rimase in silenzio sempre ben coperta. Solo il viso spuntava fuori ed era corrugato come se delle nubi foriere di pioggia minacciassero tempesta.
Dan si avvicinò lentamente per capire se la situazione poteva essere riportata al bello stabile. Lei si scostò in maniera impercettibile, lasciando però che le sfiorasse la guancia con la mano.
Incoraggiato da questo atteggiamento si fece più vicino con decisione. E questa volta Angie non si mosse, ma aspettò che i due corpi venissero in contatto.
“Sei ancora offesa?” le sussurrò con dolcezza nell’orecchio.
“No! Ma le tue parole mi hanno deluso”.
“Vedo di rimediare” e appoggiò le labbra sulle sue.
 
Ellie percepisce il dolce calore di quel bacio e si sveglia all’improvviso.
“E’ stato solo un sogno oppure una visione di qualcosa già visto, un Déjà vu in piena regola?” si dice come se le mani di Dan fossero ancora sul suo corpo.
Rabbrividisce non per il freddo per quello che ha visto e sentito e si domanda se anche lei troverà il suo Dan.

La preparazione della festa

Il primo tentativo per la preparazione degli ossicini dei morti ha dato esito positivo, anzi decisamente superiore alle sue aspettative. Le sembrano ottimi sia nella forma sia nel gusto tanto che li ha mangiati tutti, quelli della prima infornata. Sembrava a contratto: uno dopo l’altro come le ciliegie.
“Calma!” si dice mentre la musica di Springsteen continua a martellarle il cervello “Se continui così, sembri Penelope che disfa alla notte quello che fa durante il giorno e non prepari nulla. Va bene assaggiarne qualcuno, ma tutti è troppo!”.
E’ soddisfatta dei risultati, percepisce lo svanire lento ma deciso dei timori di non riuscire a combinare nulla di buono. E’ rinfrancata. Cambia il soggetto delle sue prove e si accinge a lavorare sulle zucche per produrre degli involucri vuoti da riempire con candele o altro e ottenere quanto basta per confezionare la torta di O’Jack.
I risultati sono incoraggianti a metà. Se riesce a estrarre pezzi di polpa più di quanto non le servano per la torta, non altrettanto bene funziona la preparazione di quelle vuote da usare come decorazioni per la tavola o per l’ingresso.
Una nel tagliare la parte superiore per svuotarla è diventata tutta sbilenca, inservibile. E adesso giace mesta in un angolo della cucina. L’unico servizio che può offrire è contenere dolcetti o stuzzichini per l’aperitivo a mo’ di coppetta. Un’altra si è sbriciolata mentre tentava di creare naso e bocca, avendo toppato nell’aprire i fori giusti. Erano troppo grandi e vicini fra loro. Un’altra ancora si è spaccata, perché c’ha messo troppo vigore col coltello nel tentativo di raschiare l’interno il più possibile.
Guarda mortificata il disastro che ha combinato. Era la prima volta che si cimentava in questo esercizio, ma comprende che la manualità non fa per lei. Eppure ricorda come quelle che adornano le vetrine siano perfette senza una sbavatura o un segno fuori posto. E riflette ad alta voce.
“Avevo tre zucche, ora ho tanta polpa e zero involucri. Che voglia oppure no è meglio sospendere per mancanza di materia prima. Mi sa che forse è meglio comprarne alcune già pronte per l’uso. Faccio meno fatica, si presentano ottimamente ma non mi sento soddisfatta per nulla. Però basta barare un po’ e fingere quel poco che basta e il gioco è fatto. Ora si va a nanna. Domani si cominciano le grandi pulizie! Devo essere in forma e non addormentarmi sulla scopa elettrica”.
La grande euforia di poco prima per i risultati dei biscotti lascia il posto allo scontento di non essere riuscita a ottenere dalle zucche svuotate quello che la sua immaginazione aveva già visto. Eppure non vorrebbe darsi per vinta.
“Domani compro un’altra zucca e con calma e pazienza la lavoro. Ci devo riuscire!” dice mentre si avvia alla camera da letto.
Prima di addormentarsi ha intenzione di leggere ancora qualche pagina del diario. Ha lasciato i due amanti al risveglio mattutino dopo la notte d’amore ed è curiosa di conoscere gli sviluppi.
“Chissà cosa si dicono! Sono veramente interessata di conoscere meglio la bisnonna”.
Si sistema sul grande letto di ottone, che il nonno ha detto che era appartenuto a Angie.
“Forse è quello dove si è consumata quella notte lontana cento anni fa” ragiona ad alta voce con un misto di invidia e curiosità.
Un brivido scivola silenzioso sulla schiena, mentre pensa che ci sono sempre punti di contatto tra lei e la bisnonna: il diario che sta leggendo, la voglia di festeggiare Halloween, il letto nel quale dorme.
E’ un magnifico pezzo di fine ottocento che ha destato l’interesse di qualche cacciatore di ricordi del passato, finti antiquari, che sono solo intenzionati a fare un buon affare per loro e naturalmente non per lei. Però ha sempre rifiutato le offerte, perché trova il letto magnificamente comodo, più ampio di quelli moderni sempre più piccoli. Le testate sono di un bel ottone lucido decorate con immagini floreali, è molto più alto del normale, tanto che pensa che se cade si fa decisamente male. Ha dovuto cercare tra mille difficoltà un artigiano che le preparasse un materasso e i cuscini su misura. Analogamente ha faticato non poco per trovare lenzuola, federe e altri accessori adatti alle loro dimensioni generose. Quando ci pensa, le vengono ancora i sudori freddi, mentre riflette che ne dovrebbe fare accortamente un po’ di scorta per il futuro. Quelli che lavorano su misura in questo campo diventano sempre più introvabili e costosi: una razza in via di estinzione.
Le sembrano strani tutti questi pensieri così distanti tra loro ma stranamente intrecciati da un filo logico invisibile.
Legge delle pagine della bisnonna e le viene in mente di organizzare una festa.
“Con che cosa?” si domanda “Usando il menù di cento anni fa e il suo ricettario!”
Scuote la testa perché è incredula di come l’influenza di Angie su di lei sia sottile, quasi subdola. Però non è finita, perché ripercorre tutte le difficoltà per trasformare un letto chiuso nel sottotetto, coperto di polvere ed eccessivamente grande in quello nel quale dorme adesso.
“E’ vero. Ha subito un restauro che l’ha riportato agli antichi splendori. E’ stato costoso, ma la soddisfazione di possederlo non ha prezzo!”.
Il vecchio diario dalle pagine ingiallite e rese fragili dal trascorrere del tempo è sempre aperto sul suo grembo, mentre la mente continua a divagare correndo dietro a mille pensieri. Non riesce a concentrarsi su uno in particolare, ma si mescolano impetuosamente tra di loro.
Sente le palpebre farsi pesanti con una stanchezza psicologica che la invitano a dormire. Chiude quei preziosi fogli, custoditi da una copertina di pelle, un tempo marrone, ma adesso un beige smorzo e slavato, deponendoli sul comodino.
E si addormenta senza avere nemmeno la forza di spegnere il paralume.
La mente continua a rimuginare quello che ha letto, quello che ha fatto nella giornata in un turbinio incessante di immagini senza tempo e senza spazio.
Non è più a Princess Anne, almeno questa è la sensazione, ma in una località che è forse Holland Island. La casa è diversa, ma non assomiglia a quella delle foto che custodisce gelosamente in una cassettina di legno. Gli arredi sono un kitsch di moderno e vecchio che non danno la dimensione del tempo. Li trova orribili con accostamenti pacchiani. Quelli moderni sembrano dozzinali, quelli più vecchi sono un miscuglio di fine ottocento e stile floreale. Le immagini scorrono veloci come fotogrammi impazziti senza dare il tempo di fissarsi nella mente.
“Dove sono?” si chiede un po’ inquieta, frastornata da quelle visioni incessanti.
“Chi sono quelle persone che si trovano con me? Non le conosco, non so chi siano”.
E il sogno continua tra sprazzi di chiaro e buio inquietante. Sembrano le luci del presepe che simulano il giorno e la notte.
Continua a vagare tra stanze vuote e altre piene di nuove persone sconosciute.
“Cosa cerco? Ma dove sono?”
Un filo d’angoscia le prende il petto mentre il respiro diventa più affannoso. Scorge una porta semi aperta dal quale traspirano delle scie luminose. Si avvicina e percepisce delle voci: sono un uomo e una donna.
Sbircia dalla fessura e vede il suo letto ricoperto di pelli di pecora, mentre ode il crepitare del fuoco. Le parole non le riconosce, perché sono un bisbiglio troppo tenue.
Apre la porta e osserva due persone vicine che parlano tra loro. La riconosce: è Angie. Lui non ha la percezione di sapere chi sia. Forse è Dan o forse no. Loro non sembrano curarsi di lei, perché continuano a parlare come se fosse un fantasma evanescente.
Si avvicina e ascolta, mentre il sogno continua.
Angie parla sottovoce e comincia a chiacchierare.
Ellie resta in piedi accanto al letto.

Halloween 2010

Nella casa in pietra di Princess Anne Ellie si guarda intorno: tra un paio di giorni la vecchia amica Annie sarebbe arrivata col marito e il cognato. La tranquilla solitudine che si era costruita negli anni sarebbe stata travolta dall’ingresso di tre persone con le quali avrebbe dovuto condividere stanze e rumori.
Si chiede perché ha avuto quel moto spontaneo e istintivo, invitandola a casa sua. Adesso è pentita, ma l’influsso della lettura del diario le ha acceso la fantasia di ripercorrere le orme di Angie di un secolo prima. Percepisce l’intimo dissidio tra quella parte di lei che la vorrebbe fuori dal guscio e l’altra che le vorrebbe imporre di restare indifferente al mondo esterno.
Tra dubbi e pentimenti, tra eccitazione e paure sente tutto il travaglio dentro di sé e la diversità tra lei e Angie anche se il nonno diceva il contrario.
Eppure comprende che è lontana nel tempo e nello spirito e, a parte il colore dei capelli, tutto è differente.
“Sarà vero?” si interroga con un pizzico di incertezza.
“Sarà vero che la bisnonna mi assomiglia nel carattere? Da quello che leggo non so…  Però..Il nonno Pat ha sempre detto che siamo due gocce d’acqua. La percepisco vicina e lontana allo stesso tempo. Lei appartiene a un mondo che io ho conosciuto solo attraverso il suo diario. Mi sembrano atmosfere rarefatte, avvolte nelle nebbie di un tempo che fu. E’ naturale perché io sono figlia degli anni novanta e sono cresciuta con altri stimoli. Ma perché il nonno ha sempre sostenuto il contrario? Cosa glielo faceva supporre?”
Sono le molte domande che si pone e alle quali pospone sempre al dopo la risposta. Adesso non ha tempo di ricercare dentro di sé le parole giuste e i pensieri coerenti ai suoi dubbi, ci sono altre priorità da soddisfare in questo momento.
“Devo ripulire la casa, rendere le stanze confortevoli, preparare il menù per Halloween, addobbare tavola e sala. Dunque non c’è tempo per trastullarsi in domande senza risposte sui motivi della somiglianza con la bisnonna. Ora la precedenza è da dove cominciare”
Non ha mai organizzato nulla in vita sua. Nemmeno una festa di compleanno, quindi si trova spaesata. Eppure pensa che Angie c’è riuscita in due soli giorni e in ben altre condizioni.
“Anch’io ci riuscirò in due giorni! Sono forse da meno della bisnonna?”
Prende carta e penna, sedendosi alla scrivania tenta di fare un promemoria di quello che deve fare con tante cancellature, frecce e rimandi. Alla fine fa una bella palla di carta del foglio pieno di scarabocchi e del tutto illeggibile, lanciandola nel cestino di fianco. Ne prende uno nuovo e comincia a scrivere ordinatamente, imponendosi di essere rigorosa.
“Telefonare a Susan per le pulizie – urgente” è il primo appunto scritto in stampatello, perché si noti bene.
“Fare la lista degli ingredienti”, ma si sofferma pensando se sarà in grado di cucinare.
“Non l’ho mai fatto per degli ospiti! Come posso sapere se quello che preparo è mangiabile? Di solito non preparo mai nulla di strano.. e poi … c’è un ristorante comodo a due passi…Dovrò fare qualche prova. Chi sarà la cavia? Sì, sì! Invito Susan a colazione e lei sarà l’assaggiatrice! Eureka! Risolto il problema.. E se non si ferma?..Tentar non nuoce!”
E’ euforica e chiama immediatamente Susan, che diventa il perno delle prossime decisioni. Le altre voci le aggiungerà poi, perché a suo parere questi due punti condizionano le restanti azioni.
“Bene, bene! Susan è disponibile a venire per i prossimi tre giorni ad aiutarmi nella sistemazione della casa. Non ha garantito di fermarsi a colazione, perché ha addotto mille impegni che sono saltati. Sarà, ma sono convinta che si ferma e non una volta sola! Sì,sì! Si ferma, perché è troppo curiosa di conoscere le motivazioni di tanto fervore! Ora lista della spesa!”
Ellie è galvanizzata, ricopia in bella grafia l’elenco degli ingredienti da comprare, esce e va al drugstore, che è sempre aperto.
“Se manca qualcosa, pazienza. Lo acquisterò domani. L’importante è avere almeno quelli per una voce del menù”.
Non trova diversi componenti, ma non si demoralizza. C’è tempo per completare gli acquisti.
“Domani faccio un salto a Crisfield per trovare il resto. Vediamo… per i biscotti ho tutto, anche per la torta non ci sono problemi. Direi che con questo basta e avanza! Credo che sia un buon test! Stasera posso preparare gli ossicini dei morti, così domani mattina li provo a colazione. Sì, sì! Susan li mangerà mentre rigoverna la casa! Al lavoro!”
Si precipita in cucina e comincia la preparazione.
Accende lo stereo a tutto volume per ascoltare il cd preferito, quello live di Bruce Springsteen “Live in New York City”. Le note violenti di «Born in the U.S.A.» si alternano a quelle più morbide di «The river» in un mix che le piace molto. Mentre è indaffarata nel selezionare e pesare i vari ingredienti, si ritrova a canticchiare il ritornello di «Two hearts».
«Two hearts are better than one
 Two hearts girl get the job done
 Two hearts are better than one»
Si ferma un attimo perché fino a quel momento della sua vita ha ascoltato questo CD e mai ha cantato le parole della canzone. Ha fischiettato, quello sì, il motivo, ha seguito il tempo con movimenti involontari del piede sinistro, ma mai si era comportata come stasera.
Pensa alle ragioni, ma non trova nulla, nessun appiglio plausibile. Scuote la testa e riprende a canticchiare, mentre allinea sul tavolo gli ingredienti.
“Devo pesare 200 gr. di mandorle tritate, poi 200 gr. di zucchero, 30 gr. di burro. Mi piacciono le varianti invece del burro userò la margarina. Dicono che fa male. Una volta dicevano il contrario. Chi se ne frega! Però in compenso si mescola con più facilità. Ah! stavo dimenticando anche i 200 gr. di farina”.
Cerca la bilancia, che come al solito non si trova.
“Faccio a occhio oppure m’impegno nella ricerca?” e alla fine decide di cercare questo strumento.
“Con esperienza zero andare a spanne può essere pericoloso. Meglio cercare questa stramaledetta bilancia!”
Dopo qualche borbottio di disappunto la trova ancora chiusa nell’involucro originale pronta a pesare i vari componenti.
Prende tre chiodi di garofano, che riduce in polvere, pestandoli energicamente con un cucchiaino. Trita finemente le mandorle e mette sul piano di lavoro tutti gli ingredienti aggiungendo un pizzico di cannella in polvere, un albume, la scorza grattugiata di mezzo limone.
Con molta energia li mescola molto bene fino a formare un composto ben omogeneo.
E’ soddisfatta del risultato ottenuto e si congratula per essere riuscita nell’impresa di ottenere qualcosa che a prima vista sembra prossimo al risultato ottimale.
Adesso viene la parte più complicata: stendere l’impasto nello spessore giusto per poi ricavare con lo stampino a forma di ossa tanti biscotti da cuocere.
“Beh! finora ci sono riuscita. Facciamo qualche prova prima di ottenere il risultato prefissato. Dunque vediamo …” e prende un grumo dal piano e comincia a stenderlo.
“La bisnonna non ha indicato lo spessore esatto, limitandosi a dire che la pasta deve essere alta all’incirca un dito”.
Osserva il suo che è esile.
“Quello di Angie com’era? Boh! Qui procediamo a vista. L’altezza sarà ..Intanto cominciamo a stenderla, poi per l’altezza decido al momento”.
Dopo una decina di tentativi infruttuosi riesce ad ottenere una decina di biscotti a forma di ossa che apparentemente sembrano ottimali.
Nella ricetta di Angie c’è scritto di imburrare una teglia e mettere nel forno caldo per una ventina di minuti.
Però non è convinta, perché secondo lei c’è il rischio che si brucino con qualche difficoltà a staccare i biscotti dal fondo. Quindi decide di consultare qualche sito di cucina su Internet per avere maggiori lumi.
Trasporta il PC in cucina e comincia con pazienza a cercare l’imbeccata adatta.
“Ecco! Carta forno da mettere sul piatto del forno! Così non corro il rischio di bruciarli sotto! Poi altro consiglio scaldare il forno per dieci minuti prima di mettere a cuocere i biscottini a 170°. Il tempo? Dicono per 20 minuti circa. Beh! qui vado a vista. Quando mi sembrano ben dorati li prendo fuori. E poi.. Non sto facendo prove ed esperimenti? Forza Ellie! Il tempo passa e rischi di passare la notte in bianco!”.
Così comincia a cuocere i primi ossicini dei morti.

La prima volta

La mattina li accolse abbracciati nel letto senza che lei provasse vergogna di giacere con una persona che non era suo marito.
Era sveglia da un po’ di tempo, mentre annusava il profumo della pelle che produceva in lei una sensazione di benessere e tranquillità che non aveva mai assaporata.
“Come potevo?” si domandava allegra “Come potevo se è la prima volta che dormo con un uomo e, per giunta, seminudo? Come potevo sapere che produce un sapore che mi sta saturando le narici col suo odore, se è la prima volta?”.
Rifletteva su questo e su quello che era accaduto durante la notte senza cambiare minimamente idea perché secondo lei doveva essere fatto senza tentennamenti o ripensamenti.
Anche se in certi momenti si era sentita impacciata, non pronta, del tutto inesperta, adesso tracciando un bilancio con calma, percepiva soddisfazione senza nessun rimpianto. Anzi l’unico era che aveva perso tempo prima con le sue paure.
Era stata un’esperienza stimolante che aveva affrontato senza timori e con molta risolutezza. Determinazione che nasceva da sensazioni delle quali non ne conosceva le origini.
Non si spiegava il motivo, perché solo poche ore prima aveva pensato che fosse scandalosamente peccaminoso che una donna facesse l’amore con un uomo senza il vincolo del matrimonio. Per questa ragione aveva sempre biasimato e condannato i comportamenti delle amiche. Lei aveva ritenuto che fossero di facili costumi quando passavano di letto in letto con la medesima disinvoltura di un cambio di vestito. Tutto questo modo di pensare adesso le sembrava capovolto tanto che le appariva normale che una donna e un uomo facessero sesso indipendentemente dallo status anagrafico, sospinti solo dalle emozioni che i loro corpi trasmettevano.
La sera precedente aveva cambiato opinione, stimolata solo dall’istinto che le faceva reputare che Dan fosse effettivamente la persona giusta. Un’intuizione che neppure lei era stata in grado di spiegare razionalmente. Questa sensazione era nata più dalla pancia che dalla testa e aveva cancellato tutti i timori, che l’atto trascinava con sé, tutti i tabù, che avevano condito la sua esistenza fino a quel momento, in conclusione tutto quello che le aveva impedito di esprimere la sua essenza di donna a 360 gradi.
Erano ondate di pensieri che si erano infrante nella sua testa dal momento nel quale aveva deciso di concedersi a Dan.
Da questo momento doveva difendere il suo uomo, legarlo a sé e convincerlo a vivere con lei a Holland Island.
Le difficoltà che apparivano all’orizzonte le infondevano una feroce determinazione a perseguire gli obiettivi e la decisa consapevolezza che ci sarebbe riuscita.
“Come?” si domandava, mentre avvertiva che lui si stava svegliando.
“Buongiorno, Angie” disse con la voce ancora confusa dal sonno.
“Buongiorno, Dan!” rispose con un bacio sulla guancia.
“Riposato bene? Oggi sembra una giornata luminosa per la luce che trapela dalla finestra”.
“E’ sempre sfavillante quando ci sei tu!”
Angie si strinse più forte al quel corpo seminudo per trasmettere le sensazioni che provava.
Percepiva un tale calore che le permetteva di vincere il gelo e l’umido della stanza. Il fuoco del cammino era spento da molto e le ceneri erano fredde. Uscire dalla avvolgente protezione delle pelli di pecora si rischiava di prendersi un accidente, ma lei aveva immagazzinato tanto calore che non avrebbe avvertito lo sbalzo termico.
Si alzò velocemente per riaccendere il fuoco e riscaldare la stanza.
“Torna qui! Vuoi morire dal freddo? Al fuoco ci pensiamo più tardi!” le disse preoccupato.
Lei si girò e scuotendo la testa rispose sorridente che non percepiva l’aria pungente e ci avrebbe messo un amen.
Le finestre erano ricoperte di una sottile brina, che impediva la vista esterna, e riflettevano il rosso delle fiamme che iniziavano a crepitare. Il tiraggio del cammino non era perfetto mentre un filo di fumo invase la stanza, che ben presto sparì.
Angie tornò a rifugiarsi sotto le pelli, mentre qualche brivido aveva smorzato la calura di poco prima.
Dan l’accolse fra le sue braccia per riscaldarla, mentre le baciava l’incavo del collo. Rifletteva sulla stranezza che solo poche settimane prima non la conosceva, ma ancora in quel momento sapeva ben poco o nulla di lei.
“Cosa?” si domandava.
“Cosa conosco di questa donna? Il nome, Angie. Dove abita, Holland Island. Lo stato anagrafico, nubile. Sicuramente nubile, visto che era ancora vergine. Ma per il resto è nebbia, come spesso c’è da queste parti in questo periodo. Però devo ammettere che stimola la curiosità, di fare chiarore tra i fumi nebbiosi che ci circondano. Non si può affermare che sia una bellezza travolgente con quel corpo minuto sormontato da una criniera fulva. Ma trasmette qualcosa di indecifrabile e nel contempo di interessante. Certamente ha una personalità spiccata che trasuda da ogni poro, come ha dimostrato stanotte. Ha affrontato la sua situazione con una risolutezza che difficilmente è riscontrabile in una donna nel suo stato. E’ vero. Era impacciata, ma non si è persa d’animo, né si è fatta prendere dall’ansia. Non ha mai smarrito la volontà di superare ogni difficoltà, di vincere la battaglia ingaggiata con il proprio corpo. Senza dubbio ha confortato le impressioni del primo incontro: una persona dal carattere forte. Cosa provo? Per il momento nulla a parte la grande simpatia che suscita in me. Arrivato a quarant’anni, smaliziato da diverse avventure, non posso pensare che sono stati sufficienti pochi attimi per scoprire dei sentimenti travolgenti verso di lei! Per il momento sento una buona attrazione verso Angie che dovrò consolidare in questa settimana di vacanza oppure dovrò ammettere che mi sono sbagliato”.
Questa lunga riflessione aveva distratto la mente di Dan, mentre la teneva ben stretta a sé, pur senza dare l’impressione di essere svagato e appagato dal sesso notturno. Percepiva che Angie era nuovamente pronta, ma era riluttante a spingere sull’acceleratore, non voleva rovinare tutto con la precipitazione. Si sarebbero state altre occasioni più adatte. Voleva lasciarle la percezione che doveva essere lei a cercarlo. Questa soluzione rappresentava ai suoi occhi una buona strategia a garanzia che lui si comportava da perfetto gentiluomo senza approfittare dello stato e del desiderio che lei stava provando.
Era concentrato nei suoi pensieri, quando Dan sentì la voce di Angie.
“Sento un po’ di languore! Scendo a prepararci la colazione. Tu puoi restare qui al caldo. Un caffè nero e forte va bene? C’è qualche dolcetto già pronto per stasera e del pane dolce alle uvette che metto a scaldare vicino al fuoco” e infilata la pesante vestaglia da camera bordata di candido pelo di agnello si diresse verso la cucina a passo svelto.
Lui consultò il grosso orologio da taschino che stava appoggiato sul tavolino accanto al letto. Segnava le dieci. Si sistemò meglio sotto le grandi pelli di pecora che riparavano dal freddo della stanza, che  si andava lentamente riscaldando.
Osservò il grande cammino posto sulla parete di fondo, dove la legna secca crepitava in mille falliste rosseggianti. Percepiva benessere, si sentiva a proprio aggio come se quella abitazione, quella camera le fossero appartenuta da tempo. Non si considerava un ospite, sia pure di riguardo, ma il padrone di casa che aspettava di fare la colazione mattutina.
Strana sensazione! Eppure era quello che avvertiva.
Era immerso in questi pensieri piacevoli, quando udì la voce squillante di Angie.
“La colazione è pronta!” mentre deponeva sul letto con delicatezza un vassoio di legno con le gambe tra loro.
Il profumo del caffè si mescolava con l’odore dei dolcetti e del pane dolce. Un miscuglio invitante che stimolava l’appetito.
“Uhm! Che profumo! Deliziosi questi dolcetti a forma di ossa umane! Li hai preparati tu?” chiese con la bocca piena.
Angie sorrise e annuì mentre sorseggiava una tazza di caffè nero.
Dan si versò un’altra abbondante porzione di caffè, che gradiva molto e cominciò a parlare.
“Sembra strano, ma in realtà non lo è per niente, perché non conosco nulla di te”.
Angie rise replicando: “Perché forse ho conoscenza chi sei, cosa fai, dove vivi? So solo che vivi a Deal Island in una bella casa e forse hai un fondo dove coltivi le mele. Non mi pare che sia molto. Diciamo che siamo in pareggio sulle reciproche informazioni”.
Lui rovesciò il capo ridendo di gusto, perché in fondo si era meritato quella risposta.
“Bene, comincio io a parlare e poi tu. Però prima finiamo la colazione” disse serio e sorridente.
Terminata la colazione e deposto il vassoio accanto al letto, si sistemarono per bene per iniziare la reciproca conoscenza.

Halloween 1910

Ellie legge con curiosità quella pagina del diario e distrattamente osserva il calendario posto alle sue spalle.
Ha un sobbalzo, ricontrolla ed esplode in una risata.
“E il 25 ottobre 2010! Un secolo esatto da quando Angie ha scritto questa pagine! Caso fortuito o segno del destino? Chi lo sa! Di certo non immaginavo questa coincidenza”.
Si appoggia allo schienale tenendolo aperto sulle gambe per tenere il segno. E riflette.
“E se organizzassi anch’io una festa di Halloween come la mia bisnonna? Però… c’è sempre un però di mezzo! Accidenti! Io non ho un Dan da chiamare! Ma neppure uno che mi scrive o mi viene a trovare. Insomma proprio nessuno! Quindi per chi la devo preparare? Per me?”
Un’ombra di malinconia le attraversa la mente, perché, anche volendo, non ha nessuno da invitare e poi non conosce quelle ricette. Però quelle non sono un problema insormontabile come la mancanza di invitati.
“Chissà se la bisnonna le ha trascritte sul diario. Quella torta mi solletica non poco. Ma poi chi la mangerebbe?”.
Si sforza di pensare, ma le sembra di ripercorrere le orme di Angie: non lavora, non ha amicizie maschili, solo qualche sparuta conoscenza nel campo femminile. S’interroga sui motivi di tanta solitudine nonostante abbia frequentato la High School di Crisfield con profitto, terminata col massimo possibile, 12th graduate, e un ottima votazione. Però ricorda che ha faticato a legare coi compagni di corso, salvo Annie con la quale è rimasta in contatto anche al termine degli studi. Insomma era una specie di orso solitario che amava stare da sola, defilata e silenziosa. Il risultato è stato: zero amicizie autentiche e altrettanto vuota è risultata la casellina del cuore. Se l’esito degli studi è stato brillante, il resto del panorama è stato assai deludente.
“Chissà dov’è Annie? Ultimamente l’ho sentita poco e distante. Mi pare di ricordare che forse si è trasferita a Baltimora da diverso tempo. Però con gli uomini ho avuto sempre un rapporto conflittuale. Quelli che piacevano a me, non andavo bene a loro. Quelli che si interessavano di me, non li potevo sopportare. Una vera maledizione! Uffa! Vediamo se Angie ha trascritto qualche ricetta e non pensiamo più a queste tristezze che portano alla depressione”.
Comincia a scorrere le pagine alla ricerca del ricettario della bisnonna senza trovare nulla.
“Senza il ricettario non posso preparare nessun piatto!” e sta per riprendere la lettura, quando scorge nella tasca della copertina posteriore dei fogli stropicciati e un po’ ingialliti.
“Ecco dove Angie nascondeva i suoi segreti culinari!”.
Scritte sempre con quella grafia minuta e un po’ svolazzante sono riportate le ricette, che Ellie scorre velocemente e con avidità, trovandole facili e ancora attuali.
“Anche allora per Halloween si preparavano gli stessi piatti di oggi. Cambiano i nomi, ma la sostanza resta”.
Sta ricominciando a leggere, quando lo squillo del telefono la distoglie dal proposito.
“Chi sarà? Sono talmente rare le telefonate, che quasi mi dimentico di questo”.
Sente una voce amica che la saluta.
“Annie!” esclama sorpresa Ellie.
“Stavo giusto pensando a te pochi istanti fa. E tu mi telefoni! Come stai? Cosa fai di bello?”
“Ho intenzione di venire nei prossimi giorni a trovarti per …”.
“Che meravigliosa notizia! Stavo giusto pensando di organizzare una festa per Halloween! Se ti trattieni… Ti ospito volentieri! La casa è grande! Abito solo io dopo che i miei genitori si sono trasferiti a Baltimora. Ti aspetto! Dimmi di sì! Non deludermi!”
Annie rimane in silenzio per un po’ come se avesse qualcosa che la turbasse e non volesse rivelare apertamente.
“Vedi..” riprese titubante la ragazza “Non sono sola. Con me ci sono altre persone…”
E di nuovo non fa sentire la sua voce.
“Annie, in quanti siete? Qui posso ospitare tre, quattro persone. Oltre alla mia camera personale c’è quella dei miei genitori, del nonno Pat e una piccola stanza per gli ospiti. Lo spazio non manca. Mi è sufficiente solo chiamare qualcuno per metterle in ordine.. No, non che ci sia disordine, ma semplicemente hanno necessità di essere rese confortevoli dopo tanti anni di chiusura! Dunque quanti siete?” incalza Ellie, che dopo tanto silenzio avrebbe piacere di riempire la casa con dei rumori.
Quasi non crede alle proprie orecchie: poter invitare delle persone, riempire la giornata di chiacchiere e risate, mangiare in compagnia. E si domanda quando è stata l’ultima volta, ma è meglio non pensarci tanto dista nel tempo.
“Non ricordavo che avessi tutte queste stanze. Siamo in tre: io, Phil, mio marito, e Dashiell, mio cognato. Però non vorremmo portarti troppo disturbo o sconvolgere la tua vita di tutti i giorni. Eravamo intenzionati a pernottare un paio di notti a Princess Anne e poi proseguire per Crisfield. Sai..”
Ellie è rimasta senza parole sentendo che l’amica si è sposata. Ignorava questa circostanza. Dunque aveva trovato l’uomo giusto, quello che lei ha cercato invano senza molta convinzione.
“Ma sei sposata? Non me l’hai detto! E’ vero che sono molti mesi che ..” e continua come un fiume in piena non più frenato dagli argini.
“Allora vi fermate da me per diversi giorni per festeggiare Halloween? Non puoi dirmi di no a questo punto!” conclude.
Dunque il suo sogno di organizzare una festa diventa una realtà, mentre riprende la lettura del diario di Angie.
 
Lei aspettava con ansia la risposta di Dan per dare inizio ai preparativi. Doveva in primo luogo chiedere a Meg, la domestica che un paio di volte la settimana l’aiutava nelle pulizie della casa, se poteva venire una volta in più. Non era sicura che fosse disponibile, perché faceva questo mestiere anche presso un’altra famiglia.
Poi doveva ordinare tutti gli ingredienti necessari alla preparazione dei piatti. Il negozio di alimentari di Holland Island non era molto fornito. Non era raro che dovesse commissionare qualcosa per i giorni successivi oppure, se il tempo era buono, pagare un marinaio per farsi accompagnare a Deal Island. Il servizio del postale non era molto confortevole con gli orari.
Era in agitazione perché due giorni dopo l’invio della lettera non era ancora arrivata la conferma che Dan sarebbe venuto in tempo utile per Halloween. Il 28 era l’ultimo giorno utile per organizzare qualcosa, dopo sarebbe stato tutto troppo difficile.
Aveva chiaro cosa dovesse preparare, ma non era quello che era in cima ai suoi pensieri. Si sentiva in ansia, perché era sua ferma intenzione ospitarlo nella casa, fredda e austera abitazione in stile vittoriano, che aveva necessità di essere ravvivata con la presenza di un uomo. Però lo voleva fare nella maniera più elegante possibile, senza dare addito a pensieri distorti.
Non conosceva nulla di Dan, ignorava quali sensazioni avesse provato quella lontana sera della festa di Mabon. Interrogandosi, non aveva compreso bene se provava simpatia per quell’uomo più vecchio di lei oppure era solo alla ricerca di un compagno per riscaldare un’esistenza che stava lentamente sbiadendo come un colore troppo esposto al sole.
Sperava che dallo stare insieme per diversi giorni dubbi e incertezze venissero spazzati via, facendo chiarezza sui reali obiettivi di entrambi. Quindi l’ansia cresceva minuto dopo minuto senza accennare a scemare.
In questo clima d’incertezza la consegna della missiva, che confermava che il 30 ottobre sarebbe sbarcato a Holland Island, rappresentò un spiraglio di sole nel grigiore di quei giorni sospesi tra cielo plumbeo e acque torbide e fumiganti.
Partì immeditamente la macchina dei preparativi che richiedevano precisione e tempi ristretti perché all’arrivo di Dan tutto fosse in ordine in maniera impeccabile. Lavorò e fece lavorare tutti ventre a terra senza la perdita di nemmeno un secondo.
La mattina del trenta tutto era come aveva previsto. La tavola era stata preparata per una cena a lume di candela per due. Le zucche vuotate e intagliate erano pronte a fungere da portacandele e disposte a centrotavola. Gli ingredienti c’erano tutti, in attesa di essere usati. La camera riservata a Dan era lucida e confortevole con il cammino acceso per togliere quel senso di umidità che per troppo tempo l’aveva impregnata. Ogni mobile, ogni suppellettile risplendeva di luce propria. Il giorno dell’arrivo avrebbero mangiato presso la pensione di Rose, mentre alla sera avrebbero consumato un frugale pasto nell’ampia cucina. Questo era il programma per la giornata dell’arrivo, nel giorno successivo c’era solo il punto fermo della cena serale, il resto sarebbe stato inventato istante per istante.
A mezzogiorno un calesse depositò Dan davanti l’ingresso, mentre Angie l’accoglieva sul portone.
“Ben arrivato, Dan!” disse con sincero trasporto, mentre lui si chinava a baciarle le guance.
“Entra, che sarai stanco per il viaggio. Ti mostro la tua stanza. Così potrai depositare il bagaglio e darti una rinfrescata”.
L’uomo l’osservò sorpreso e non disse nulla mentre varcava la porta e si apprestava a salire al primo piano.
“Mi avevi detto che avevi prenotato una stanza nella pensione della tua amica. Non si offenderà se la disdico?”
Angie sorrise e replicò che non doveva avere preoccupazioni, perché Rose sapeva già tutto. Anzi era stato proprio suo il consiglio di ospitarlo. Avrebbero consumato il pranzo di mezzogiorno nella sua locanda.
“Ci sta aspettando. E siamo in leggero ritardo” concluse con un sorriso smagliante che apparve sulle labbra al termine della lunga spiegazione.
Terminato il pranzo, fecero un giro per Holland Island chiacchierando sulla giornata, sulla vita sull’isola nell’attesa di rifugiarsi nella casa vittoriana al calare delle prime ombre. Il loro passaggio sollevò curiosità e bisbigli tra gli abitanti, perché era la prima volta che lei appariva in pubblico al fianco di un uomo.
Dopo quel primo contatto Angie aveva acquisito la consapevolezza delle sensazioni che provava, avendo anche la certezza che lui dimostrava un analogo interesse verso di lei. Tutto questo la metteva di buon umore e le infondeva quella sicurezza che stava scacciando l’ansia che l’aveva tenuta sulle spine nei giorni precedenti. Aveva notato i bisbigli malevoli mentre passeggiavano, ma dentro di sé sorrideva perché era troppo felice per curarsi dei pettegolezzi. Immaginava le facce di Winnie e Sandra, quando l’avrebbero appreso, ma sapeva che sarebbe stata solo invidia.
Da perfetta padrona di casa accompagnò l’ospite a visitarla, risplendente di luci dopo tanti anni di oblio luminoso. La serata trascorse piacevolmente mentre Dan le teneva una mano seduti sul divano di damasco rosso.
A Angie quel tocco procurava delle emozioni che non aveva mai percepito fino a quel momento. Nessuno le aveva spiegato cosa l’innamoramento generava dentro una donna, ma non aveva la necessità di spiegazioni per comprendere che quelli erano i sintomi inequivocabili di un qualcosa di diverso che stava sbocciando.
Quello stare bene insieme, quel tenere la mano nella mano, quel mancato imbarazzo di stare sola con un uomo, quel parlare senza remore di lei, di lui, di loro erano tanti segnali che tra loro qualche cosa stava travalicando i confini per dilagare in maniera incontrollata.
Lo sfiorare del ginocchio di Dan con il suo le procurava dei brividi di passione del tutto sconosciuti fino a quel momento.
Avrebbe voluto trattenersi ancora, ma la pendola dell’ingresso suonava dodici rintocchi: era tempo del sonno. Mai prima di questa serata si era trattenuta fino a quell’ora tarda.
“Vieni. E’ ora di ritirarci nelle stanze” disse alzandosi, mentre teneva ben stretta la sua mano.
Spente le luci del pianoterra, salirono al primo piano per avviarsi alle rispettive camere. Giunti davanti alla camera riservata all’uomo, senza dire nulla Dan l’abbracciò ponendo le labbra su quelle di Angie senza che lei opponesse resistenza.
Lei richiuse la porta alle loro spalle.

La visita

“Miss Ellie! Miss Ellie!”
Sente una voce in lontananza senza capire se è il sogno che continua oppure qualcuno che la sta svegliando.
Apre gli occhi impastati dal sonno e vede un panorama diverso: abitazioni, persone, macchine, del mare se ne è persa la traccia.
“Siamo in rada. Siamo arrivati”.
Ancora quella voce che è familiare, ma non riesce a metterla a fuoco.
Alza il viso verso il boccaporto e vede il capitano che si sporge nel chiamarla.
“Dunque abbiamo già attraccato? Non me ne sono accorta. Ho dormito durante il viaggio di ritorno”.
Si stiracchia, sbadiglia  e poi sale le scale per raggiungere la tolda e respirare l’aria libera.
“Grazie, Capitano. Alla prossima volta”.
E Ellie s’incammina verso il parcheggio dove troverà la grossa Buick, che la riporterà a casa.
Prende dallo scaffale del salotto il diario della bisnonna perché tutti quei ricordi hanno stimolato la curiosità di leggere altre pagine.
La scrittura di Angie è minuta, piena di svolazzi, ma molto fluida anche se qualche termine le riesce ostico.
Durante il viaggio aveva rivissuto una parte della vita di quell’ava che aveva dimorato nella casa vittoriana che adesso è solo un rudere divorato dal vento e dalle onde.
Aveva letto come Angie aveva conosciuto Dan, ma poi si era fermata. Non sa nemmeno lei il perché, ma poi aveva interrotto la lettura.
Si sistema sulla veranda al riparo della vetrata. Il sole sta calando su Princess Anne e il cielo diventa rosso, come i suoi capelli.
Il nonno le aveva sempre detto che assomigliava a lei come lineamenti e come capelli. Entrambe avevano i capelli rossi che sembrava una caratteristica delle donne Fairbanks.
“Ma io sono una Stevens” aveva detto protestando Ellie.
“Però c’è il sangue irlandese dei Fairbanks nelle tue vene!” aveva replicato il nonno chiudendo l’argomento.
Dunque lei e la bisnonna avevano conservato il DNA della bisavola Caitlin. E’ questo il pensiero che attraversa la mente di Ellie, mentre si sistema sulla poltrona in vimini col diario in mano pronta alla lettura.
“Ho ormai trent’anni e sono ancora single, come Angie, che mi ronza nella testa da stamattina. Non ho ancora trovato un uomo che faccia al caso mio. O forse ne cerco uno che sia speciale? Speciale quanto? Saperlo, forse l’avrei già trovato! Però forse non lo voglio nemmeno cercare. Sto bene da sola. Quando mi alzo, ho la mente sgombra da ogni pensiero. Non preparo la colazione se una mattina non mi va. Esco e rientro senza dover dare spiegazioni a nessuno. Mio padre, Dash, e mia madre, Rose, hanno lasciato Princess Anne da molti anni, stabilendosi a Baltimora nella vecchia casa di famiglia. Io invece, la solita ribelle, ho preferito rimanere qui tra queste quattro mura dove il nonno Pat si era stabilito quando aveva lasciato Holland Island. La casa è grande, forse anche troppo per le mie necessità, ma non saprei staccarmene”.
Apre le pagine del diario e legge una data: 25 ottobre 1910.
 
Angie era ritornata a Holland Island da un mese dopo la festa di Mabon.
Durante il tragitto di ritorno si era addormentata appoggiata all’albero maestro e aveva sognato Dan che le chiedeva di sposarla. Però uno scossone l’aveva svegliata nel momento nel quale stava dando la risposta. Così non poteva conoscere quale era stata la sua opinione. Era un sì convinto oppure un no deciso? Oppure una gradazione dalle sfumature più possibiliste? Adesso non era più in grado di stabilirlo.
Era quasi certa che era stata una delle due compagne di viaggio, ma non sapeva chi e quindi borbottando qualcosa si era issata a prua, sperando di non essere più disturbata fino all’arrivo.
“Non capisco perché oggi, 25 ottobre, ricordo quella giornata di fine settembre, quando ho lasciato Dan a Deal Island”.
Un filo di malinconia prese il sopravvento perché da quel giorno Dan non si era più fatto vivo. Nemmeno una missiva brevissima di saluto. Dunque ormai l’aveva dimenticata. Era stata una folata di vento passeggero che velocemente aveva attraversato la sua vita.
Dopo quei giorni aveva ripreso il solito tran, tran quotidiano costituito dall’alzarsi presto alla mattina, una breve passeggiata, un pranzo frugale e poi la lunga agonia del pomeriggio per arrivare alla sera annoiata e stanca di non fare nulla.
Lei non aveva mai lavorato, neppure un giorno né in casa né fuori. Suo padre le aveva lasciato questa grande casa circondata da un bel giardino e un discreto gruzzolo di soldi, parte investiti proficuamente e parte sotto forma di liquidità. La rendita le permetteva di vivere più che dignitosamente a Holland Island senza la necessità di svolgere un lavoro.
Pertanto quel 25 ottobre l’aveva colta come al solito impegnata in nessuna attività salvo quella di controllare che la domestica a ore non battesse la fiacca e che ogni cosa venisse pulita e sistemata come voleva lei.
Era quasi mezzogiorno, quando sentì il suono della campanella posta all’ingresso squillare con vigore.
Fece mente locale se aspettava l’arrivo di qualcuno oppure potesse essere una persona che aveva bisogno di aiuto.
Un nuovo scampanellare, quasi iroso perché non si era fatto vivo nessuno, riprese con vigore, mentre si recava alla porta per vedere in faccia quel maleducato che veniva a importunarla.
Quando aprì la porta trovò solo una missiva che stava infilata nel battente dell’ingresso.
Cercò di leggere il timbro o chi era il mittente senza ricavarci molto.
Con le mani che tremavano leggermente, l’aprì e cominciò a leggere.
 
Deal Island, 22 ottobre 1910
Mia carissima Angie!
Dopo molto tempo mi faccio vivo. Non mi ero dimenticato di te, ma a parziale scusante ho dovuto, come tutti gli anni, occuparmi della raccolta delle mele nei miei campi. E quest’anno sembra avere congiurato contro di me, perché mi ha impegnato molto di più rispetto a quelli precedenti.
Finito questo dovere annuale, posso pensare finalmente a te e alla promessa che ti ho fatto al momento del nostro commiato.
Se non sei impegnata e mi procuri un alloggio per un paio di giorni, avrei deciso di venire a trovarti per Halloween e trattenermi qualche giorno a Holland Island.
Sarebbe una magnifica occasione per poter chiacchierare con te e trascorrere una piacevole vacanza rilassante dopo tanta tensione.
Aspetto tue notizie.
Il tuo devotissimo
Dan
 
Angie rilesse più volte quella lettera che era giunta del tutto inaspettata, quando ormai il ricordo di Dan stava sfumando tra le reminiscenze dei sogni annullati, perché non era stati realizzati.
Corse nello studio tutta tremante per l’emozione a comporre la lettera di risposta e poterla inviare in terraferma con l’ultimo viaggio del postale della giornata.
 
Holland Island, 25 ottobre 1910
Dan, mio graditissimo amico!
Ho letto la tua lettera e il tuo desiderio di passare qualche giorno di vacanza a Holland Island.
Credo che possa realizzarsi senza soverchie difficoltà! Io non ho impegni che non possa disdire senza penalità alcuna e quindi sono libera per te durante il tuo soggiorno a Holland Island. La locanda, Rebecca, l’unica dell’isola, non ha problemi per ospitarti per qualche giorno  e anche di più, se lo desideri. Ho sentito Rose, la proprietaria, che è una carissima amica, e mi ha assicurato che ti riserverà la stanza più confortevole.
Mi auguro che questa breve vacanza possa risollevarti fisicamente dopo le fatiche di seguire la raccolta delle mele. Io conto di farlo spiritualmente con le mie chiacchiere.
La festa da noi non è molto sentita perché i bambini sono pochi e a loro non è permesso di girare di notte. Solo qualche famiglia organizza un party in privato. Io non li conosco, ma se ti fa piacere, posso interessarmi per un invito.
Comunque se arrivi in mattinata o anche il giorno prima, per la sera di Halloween questo è
il menù che troverai da me per cena.
 
Sfogliata di porri e zucca con frittelle
Crema di zucca
Sformato di zucca
Torta di Jack’o’Lantern con ossa dei morti.
 
Dunque ti aspetto. Dimmi solo il giorno preciso del tuo arrivo per avvertire Rose.
Tua devota
Angie
 
Che alla pensione Rebecca ci fosse posto lo dava per scontato visto anche il periodo. Il tutto esaurito non esisteva nemmeno in piena estate e quindi riteneva superfluo prenotare una stanza, anche perché aveva in mente ben altri progetti.
Si affrettò a consegnare la sua lettera al Post Office, che distava poche centinaia di yarde, affinché non subisse ritardi nello smistamento e partisse immediatamente per Deal Island.
Nei prossimi sei giorni non avrebbe avuto il tempo né di lamentarsi né di annoiarsi.
Doveva preparare la festa.

Il ritorno

Era una fresca mattina soleggiata, come solo il fine settembre poteva regalare.
Angie e Dan stavano facendo colazione sulla veranda inondata di luce, mentre chiacchieravano di loro, del loro modo di vivere da soli e delle occupazioni quotidiane.
“A che ora hai l’appuntamento per il ritorno?” le chiese un po’  bruscamente all’improvviso, interrompendo quel chiacchierare piacevole.
Lei trasalì prima di rispondere. Non si aspettava una domanda così secca senza preavviso.
“A mezzogiorno. Nello stesso punto nel quale ci hanno lasciate” come se lui sapesse dove erano sbarcate la sera precedente.
“Dunque abbiamo ancora un paio d’ore per chiacchierare, prima che tu ti avvii al luogo dell’incontro” disse consultando un imponente orologio da taschino.
“Se lo dici tu, ci credo!” rispose sorridendo.
“E’ stata una fortuita coincidenza che ha permesso che le nostre strade s’incrociassero. Però è stato molto piacevole. Spesso il destino ci gioca dei brutti scherzi, ma stavolta è stato benigno con noi”.
Angie sorrise compiaciuta, perché concordava con le affermazioni di Dan. Mai, come questa volta, aveva dovuto ringraziarlo per l’opportunità concessa.
“Sarei molto lieta se tu decidessi un giorno di venire a Holland Island. Sarebbe un modo simpatico per ricambiare l’ospitalità di questa notte. La casa è grande, ma la tua è molto più confortevole. Non ho una governante..” e sorrise prima di riprendere “ma posso farti assaggiare alcuni piatti che ricordano le mie origini. Solo un paio, non di più!”.
Dan le prese nuovamente le mani attraverso il tavolo stringendole con delicatezza.
“Se il tempo tiene, ben volentieri vengo. Spero molto presto. Così posso valutare la tua abilità di cuoca”.
Le ore volavano come se fossero secondi e il momento della partenza arrivò in fretta. Lui si era offerto di accompagnarla col calesse, ma lei aveva rifiutato cortesemente. Preferiva una camminata solitaria per riflettere con calma su tutti gli avvenimenti che avevano svolto la sua vita.
“Ti aspetto” gli aveva detto prima di lasciarsi.
Dan aveva stretto le sue mani con passione e aveva annuito.
“Tra non molto riceverai mie notizie” aveva confermato come ultimo commiato.
Le dispiaceva lasciare Deal Island, Dan e quella casa non imponente come la sua ma molto funzionale. Sicuramente più calda.
Angie s’incamminò da sola verso il villaggio di pescatori dove la sera precedente erano sbarcate. La giornata era tiepida col cielo terso privo di nuvole.
Mentre camminava sotto il sole, che scaldava ancora nonostante gli alberi si preparassero per il lungo inverno, ragionava su quest’uomo, alto e più vecchio di lei, dolce e delicato, e sui motivi per i quali finora era rimasto scapolo.
“Eppure la sue mani trasmettono un calore e delle sensazioni eccezionali. Mi sembra che viva agiatamente, almeno per quello che ha detto. Però non vuole parlare di sé o almeno di determinati argomenti. Rimane sul vago senza sbilanciarsi troppo”.
Angie procedeva spedita senza incontrare nessuno. Il tragitto non era lungo: solo un paio di miglia. Una bella camminata era quello che ci voleva per eliminare dal cervello le molte tossine e tante scorie che si erano accumulate durante la notte e quella mattina.
E si domandava se quelle due svitate di Sandra e Winnie sarebbero state puntuali all’appuntamento.
“Si, quando vengono alla festa del Mabon, ma anche in altre occasioni analoghe mostrano il loro lato peggiore: accettano il corteggiamento del primo che fa loro gli occhi dolci. Poi quando si svegliano dalla sbornia, vengono a piangere temendo chissà quali esiti. Finora è andata sempre bene. Non sono mai rimaste incinte. Ma prima o poi ci cascano a pie’ pari”.
Rammentava che i loro resoconti sulle esperienze di sesso erano talmente confusi tanto che lei immaginava solo una cosa: l’uomo stava sopra e loro sotto. Forse era un po’ riduttivo, ma era quello che aveva compreso.
Lo skipjack non era ancora arrivato come le sue due compagne d’avventura. Cercò un posto al riparo del sole nell’attesa.
Aveva ancor un po’ di tempo per riflettere su Dan, sulla situazione, sul suo stato.
Senza dubbio Dan gli ispirava fiducia, ma forse era riduttivo.
“No, non posso semplificare le sensazioni alla semplice fiducia, perché in effetti nonostante ore di conversazione non ne so molto di più di prima. Quindi devo affidarmi ad altri sensi. Il suo corteggiamento ..” e fece una piccola pausa perché stava correndo troppo con la fantasia.
“Diciamo il suo interesse verso di me, perché è forse più appropriato. Dunque il suo interesse mi riempie di gioia. Non sono poi così brutta da essere gettata nella spazzatura come un avanzo avariato. Però non ho ancora ben compreso quale molla l’abbia spinto a cercare la mia vicinanza. Se voleva fare sesso, che opposizione potevo frapporre? Ero in casa sua e di certo i due servitori non avrebbero mosso un dito a mio favore. D’altra parte in quella situazione mi ero cacciata io volontariamente! La mia bellezza? Ah! Ah! Questa è da raccontare! E forse divento lo zimbello di tutti i pomeriggi di Holland Island. Perché so parlare bene? Ma no! Abbiamo faticato a dire due parole che due. Gli argomenti erano stantii e appena abbozzati. Chissà quante altre donne conosce e conversano meglio di me! In conclusione non trovo la giusta risposta. Ma la troverò oppure rimarrà una curiosità non ripagata?”.
Un vociare confuso la distolsero dai suoi pensieri. Allungò la vista e vide arrivare Winnie e Sandra accompagnate da due zotici ancora più scadenti adesso che li vedeva alla luce del sole.
Arricciò le labbra in segno di disgusto e si preparò ad accoglierle col sorriso sulle labbra.
“Oh! La nostra Angie tutta sola! Dov’è quel damerino impomatato? E’ sparito con le tenebre della notte?” disse Winnie ridendo sguaiatamente.
Sandra la guardò stranita ancora sotto gli effetti della sbornia colossale della notte e rise in maniera ancora più sgraziata senza capire il senso della domanda.
I due uomini erano attenti solo a dove mettevano le mani, non badavano alle chiacchiere delle compagne. Andavano al sodo con una solerzia degna di nota.
“Metti giù le mani, Ossie!” disse infastidita Winnie senza sortire nessun effetto pratico.
Angie strinse le spalle e si congratulò con se stessa per l’ottima scelta di non aver accettato l’invito di Dan.
“Ho avuto una felice intuizione. Sarebbe stato imbarazzante, ancor più di ieri notte. Ha ragione quando mi ha chiesto come potevano essermi amiche queste due. Sono un vero disastro”.
Lei sorrise e senza rispondere cambiò argomento.
“Trascorsa bene la notte? E la festa? Mi sembra che quest’anno sia stata più interessante e movimentata del solito. Convenite?”
Sandra la scrutò con gli occhi semisocchiusi e farfugliò alcune parole confuse. Forse voleva dire qualcosa, ma la lingua impastata di alcol gliela impedì.
Winnie rise ancora una volta in maniera grossolana.
“Non sta bene fare queste domande di fronte a due signori distinti ed educato come loro. Potrebbero pensare male di noi” e una nuova risata stridula accompagnò queste ultime parole.
Angie pregava che lo skipjack arrivasse in fretta per mettere fine a questo supplizio.
Come se qualcuno l’avesse ascoltata, fece apparire all’orizzonte la candida vela dell’imbarcazione che le avrebbero ricondotte a Holland Island.
“Pazienta ancora un po’. E poi…”
La voce roca del marinaio le invitò a salire in fretta, perché non aveva tempo da perdere.
E la vela riprese la via di casa.
 

Il risveglio

Il dolce dondolio dell skipjack concilia il sonno a Ellie, che chiude gli occhi appoggiando la testa all’oblò.
E’ un sogno senza tempo, senza luogo, rigorosamente in bianco e nero. Si sente trasportare all’osservazione di qualcosa che non riesce a inquadrare nella giusta dimensione. Si sforza, socchiude gli occhi, li spalanca in un movimento frenetico senza senso. Sembra un gioco, ma non lo è. Però è affascinata da quello che la sua mente vorrebbe osservare, ma non può.
Si domanda il motivo per il quale le immagini sono sfocate tra il grigio cupo e quello chiaro. Nessun colore dipinge la sua tavolozza: solo il bianco che vira al nero attraverso sfumature intermedie. Il tutto avvolto nella nebbia dell’indeterminazione.
Eppure le sembra di riconoscere l’ambientazione, le persone, i luoghi. Qualcosa di familiare attraversa come un lampo la sua vista senza rimanere impressa nella mente.
“Ecco ci sono. Quella è Angie, quello è Dan. Ma il luogo non è quello che penso. Dove sono?”
Osserva la scena, ma è chiaro che l’ha già vissuta attraverso le pagine del diario della bisnonna, solo che questa volta le vede in bianco e nero.
 
Angie borbottò qualcosa, si girò nel letto facendo scivolare a terra la coperta. Affondava la testa tra cuscini morbidi quasi soffocanti. Il materasso di soffice piuma d’oca l’accoglieva come una madre amorosa. Un senso di piacere la cullava, ma sentiva di non essere nel suo elemento.
Si muoveva inquieta, perché avvertiva qualcosa che la disturbava, ma non riusciva a percepire cosa: un qualcosa che generava ansia e benessere allo stesso tempo.
Aveva sognato durante la notte. Una visione che sarebbe stata impossibile da dimenticare. Quell’uomo, Dan, aveva acceso la sua voglia di vivere, di averlo accanto a sé. Nulla di trascendentale, ma qualcosa di concreto.
Sentiva simpatia, parlare di amore alla sua età era come bestemmiare in chiesa. Però il feeling, quello c’era tutto.
Come per incanto la sensazione di sentirsi vecchia era sparita, lasciando il posto a qualcosa che non aveva avvertito prima. Una ventata di freschezza, un ritornare indietro con gli anni, un.. Sì, insomma si era accorta di essere ringiovanita.
“E’ solo illusione oppure è realtà?”.
Nel sogno si era domandata se lui avrebbe ricambiato quella sensazione di piacevole interesse che lei avvertiva.
“Ma certo che Dan è rimasto attratto da me! Perché mai mi avrebbe invitato a pernottare da lui? Eppure stanotte..” e un lungo sospiro percorse la sua mente.
Non comprendeva se, quello che rammentava, era solo un sogno oppure rivedeva le scene della sera.
Stavano tornando verso la casa di Dan dopo la mezzanotte. Mentre camminavano, Angie percepiva un vago senso di euforia mista al timore di passare la notte con un uomo che aveva conosciuto da poche ore. Un perfetto sconosciuto, sapeva solo che si chiamava Da.
Però quella sensazione di sfidare la sorte, di rischiare chissà quali assalti era stata più forte della paura. Così aggrappato al suo braccio l’aveva seguito con lo stesso stato d’animo di una collegiale in libera uscita col primo ragazzo della sua vita.
Non ricordava più che al Devil’s Cove era depositata la sua borsa con quanto era necessario per la notte. Il suo pensiero era concentrato solamente su lui, su quello che trasmetteva, sul fatto che aveva conosciuto finalmente un uomo molto diverso da quelli frequentati fino a quel momento.
Dan l’aveva fatta accomodare nel salottino verde e si era appartato per qualche minuto, lasciandola sola.
“Non ti preoccupare per la tua borsa” le aveva detto quando era ricomparso “Tra pochi minuti sarà nella tua stanza. Pazienta un po’, perché Mamie la sta preparando”.
Lei aveva annuito senza chiedere nulla. Immaginava Mamie come una grassa negra, come spesso se ne trovavano nelle case dei ricchi benestanti.
Si erano seduti sul divano verde uno accanto all’altro, mentre lei cercava di dissimulare l’ansia che premeva con maggior vigore rispetto a prima. Quel contatto fisico l’eccitava ma nello stesso tempo l’allarmava. La mente era una miscela di pensieri che si accavallavano caoticamente senza che lei potesse mettere ordine.
“Come mai vivi a Holland Island?” le domandò curioso.
“Ci abito da una vita e la trovo bellissima. Quando apro le imposte alla mattina osservo le placide acque del Chesapeake Bay scorrere dinnanzi a me e il volo elegante dei gabbiani alla ricerca del cibo. Non riuscirei mai ad immaginarmi in un posto diverso. La casa è grande, troppo per me che vivo sola, ma ..”.
Dan le prese le mani riscaldandole con le sue, interrompendo quel flusso di parole.
“Dunque non abbandoneresti mai quell’isola?” riprese con voce calda e suadente.
“No, mai. Fa parte di me. Non riuscirei a distaccarmene”.
Angie lo osservò tra il curioso e il dubbioso perché non comprendeva dove volesse parare con quei discorsi. Poneva domande dirette e precise, aveva un obiettivo nella testa che lei non riusciva a individuare. Questo le metteva agitazione che faticava sempre più a dominare.
“Perché mi fa tutte queste domande?” si interrogava sperando di trovare le giuste risposte.
Erano solo alcuni degli interrogativi che l’assillavano senza scorgere le corrette soluzioni.
“Chi è quest’uomo che dapprima  mi ha salvata, poi  mi ha accompagnata ad una festa che odia, infine mi ha accolta nella sua casa come un ospite di riguardo? Quali intenzioni nutre per la notte nei mie confronti? Sono in grado di resistere a un eventuale invito a dormire nel suo stesso letto?”
Un brivido percorse la schiena della donna, perché a trentasei anni era ancora vergine e non conosceva come comportarsi nell’occasione. Aveva sentito solo delle descrizioni sommarie tra l’apocalittico e l’entusiasmante sul quel momento dalle sue amiche, ma nessuno le aveva avuto la pazienza di spiegarle né come giacere con un uomo né come affrontare quella situazione.
“Forse sono stata incauta ad accettare questo invito. Dovevo declinarlo. Ma ormai ci sono e devo ballare” commentò in silenzio amaramente mentre continuava a chiacchierare con Dan.
“Ma tu che fai? Vivi da solo in questa grande casa?” gli chiese per rompere l’accerchiamento delle domande dell’uomo.
Lui sorrise e prese nuovamente tempo prima di risponderle.
“Si. Questa è la casa che mi hanno lasciato i genitori. Anch’io abito qui da una vita con Mamie, la governante, e Tom, l’uomo tutto fare”.
Continuarono a parlare a bassa voce per un tempo che a lei sembrò infinito.
Poi lentamente le palpebre divennero pesanti e i ricordi svanirono nel nulla.
“Ho sognato oppure sono i flashback che sono tornati a galla?” si domandava nel dormiveglia, mentre lottava per riaprire gli occhi.
Allungò una mano a destra, poi a sinistra, ma sentì solo il fruscio delle lenzuola di lino.
“Con chi ho dormito stanotte?”
Un raggio di sole penetrava nella stanza, mostrando il pulviscolo in sospensione.
“Come ho fatto a raggiungere questo letto? Chi mi ha spogliata e vestita per la notte? Mamie o Dan?”
Adesso aveva nuove percezioni mentre usciva dal limbo del dormiveglia.
Una porta si aprì con dolcezza, mentre una figura imponente si avvicinava al letto.
“Buon giorno, Angie! Dormito bene?”
Lei si girò sulla schiena prima di sollevare la testa. Dunque non era stato un sogno, ma una semplice realtà. Quell’uomo dimostrava interesse verso di lei.
“Buon giorno, Dan! Non ho mai riposato così bene come stanotte”.
E porse una mano per scendere dal letto.
Una nuova giornata si annunciava col sole e chissà cosa avrebbe riservato di bello.

La festa continua

Ellie si immerge nei suoi pensieri, mentre Holland Island si perde all’orizzonte. Troppi ricordi ritornano alla mente in un tumultuoso rincorrersi senza un filo logico. Non sa il perché, ma questi frammenti di vita, che lei ha vissuto, si intrecciano coi racconti del nonno e con quello che ha letto sul diario della bisnonna.
Sembra un caleidoscopio che scompone le immagini per ripresentarle con altre forme e altri colori ad ogni movimento delle lancette.
“Sì, il nonno mi ha raccontato molto, ma sono i diari della bisnonna che hanno fatto la differenza”.
Si interroga sul motivo per il quale quell’isola, che non c’è più, l’ha sempre affascinata, prima con le storie che ha ascoltato in religioso silenzio, poi attraverso le letture delle pagine della bisnonna Angie, infine dai pellegrinaggi che ha eseguito con lo skipjack.
“In effetti sono andata pellegrina a Holland Island, che per me rappresenta un mito. Ma alla fine cos’è un mito? E’ un sogno ad occhi aperti che sembra essere sempre a portata di mano, ma in realtà non riesci mai a toccarlo. Un fantasma evanescente che si materializza e smaterializza senza che io possa interrompere questo processo di trasformazione. Una sorta di illusione perenne che non mi abbandona mai. Ho amato quest’isola come se ci avessi abitato da sempre e non riesco a capacitarmi che ora è solo un ricordo che sfumerà tra le nebbie autunnali. Quando sarà cancellata definitivamente, come reagirò?”.
Sente qualcosa scivolare lentamente sulla guancia per poi prendere la rincorsa e cadere sul mogano lucido del pavimento.
 
Angie e Dan arrivarono là dove la festa era al culmine. Un tripudio di suoni mescolati all’odore del sidro di mele e della birra talmente denso che ubriacavano anche gli astemi.
“E come hai potuto frequentare questa marmaglia?” le chiese stringendo forte le braccia della donna.
Lei sorrise senza rispondere, perché non poteva spiegargli che sperava nel colpo di fulmine per trovare un uomo col quale condividere il resto della vita.
Dan, tenendola ben stretta come se potesse sfuggirgli, continuò ad avanzare verso una pedana dove donne e uomini stavano ballando al suono di una improvvisata banda. Però più che altro era una cacofonia di suoni, che li guidavano a muoversi in maniera disarticolata senza il minimo senso del ritmo.
“Ciao, Angie! Mi presenti questo bel uomo?” si sentì apostrofare da una voce conosciuta.
Lei si girò alla ricerca di quel volto noto in mezzo a mille altri del tutto ignoti.
“Chi è quella donna?” domandò irritato l’uomo “La conosci?”
“Si, è la mia compagna di stanza per stanotte. Ma non riesco a individuarla”.
“E lì, alle tue spalle, mentre si sbraccia e cerca di raggiungerci”.
E mentre si gira, si sente abbracciare con vigore.
“Angie, chi è questo misterioso e fascinoso uomo? E ..”
“Winnie, questo è Dan. Stasera mi ha aiutato a uscire da una situazione scabrosa” aggiunse frettolosamente per interromperla e mettere fine a quella valanga di parole che minacciava una frana penosa.
“Raccontami!”
“No, ora no! Stanotte con calma, quando saremo in camera”.
Dan osservava corrucciato quella che Angie aveva chiamato per nome. Non gli piaceva per nulla, gli sembrava una donna grezza, dai lineamenti poco signorili e dal portamento di basso livello. Si domandava come queste due persone talmente diverse potessero essere amiche. Erano differenti in tutto: dal come si muovevano al come parlavano, dall’aspetto fisico a quello che emanavano.
La donna, che teneva stretta, come se la proteggesse da un nemico invisibile ma temibile, sembrava di una fragilità estrema. In realtà percepiva che quel corpo minuto trasmetteva una forza che era avvertibile nettamente, mentre l’amica dava l’impressione di una grassa baldracca senza troppo nerbo. Una piccola di statura, l’altra alta quanto un uomo: un contrasto visibile senza nessuna mediazione dei sensi. Però quello che lo colpiva era la voce sgraziata, senza nessuna musicalità. Era in particolare quella risata sguaiata e priva di grazia che feriva le sue orecchie.
Dan l’osservò ancora con attenzione e allungò la mano.
“Daniel Stevens, per servirla, Signora”.
Ma ricacciò subito indietro questo pensiero, perché piuttosto si sarebbe amputato la mano e la lingua pur di non servirla.
Winnie lo squadrò cercando di fissare l’immagine che le appariva tremolante come le lampade a petrolio che illuminavano la piazza. Stava per dire qualcosa di sgradevole, quando un uomo sbucato dal nulla, l’afferrò e la trascinò via nel mezzo della bolgia.
“Angie, non scappare! Torno! Un ballo e sono da voi. Quel bel damerino mi incuriosisce molto..”.
Dan tirò un sospiro di sollievo e tenendo ben saldo il braccio della donna la condusse verso un posto più tranquillo.
Ai margini della piazza dove si svolgeva la festa c’erano tanti chioschi che servivano da mangiare e da bere. Scelsero quello meno affollato e più defilato, sedendosi attorno ad un tavolaccio ruvido e spoglio.
“Per me una zuppa di carote, patate e cipolla accompagnato da birra. E tu cosa ordini?” chiese con cortesia Dan.
“Va bene anche per me la zuppa. Ma per bevanda preferisco sidro di mele”.
L’uomo mangiava e stava in silenzio aspettando che lei parlasse.
Angie rifletteva sull’incontro inaspettato e burrascoso con Winnie. Sicuramente non aveva ingenerato una gran bella impressione. Di questo ne era certa, perché aveva avuto modo di osservarlo con attenzione. Dalla contrazione dei muscoli facciali aveva dedotto che l’apparizione dell’amica l’aveva disgustato. Eppure normalmente era abbastanza gradevole e colpiva l’immaginazione degli uomini. Però quando era alla festa di Mabon, sembrava un’altra, una trasformazione veramente incredibile. Ed era ancora sobria. Non osava pensare a quando l’avrebbe incontrata di nuovo per andare alla pensione. Un brivido di gelo percorse il suo corpo, mentre decise di non pensarci e di affrontare il problema quando sarebbe avvenuto.
Adesso si concentrò su Dan, mentre ne scrutava il viso che appariva e scompariva come una lanterna magica. Senza dubbio era un bel uomo, dai modi affabili e signorili, molto diverso da tutti quelli conosciuti finora. E non voleva illudersi di aver trovato l’uomo che avrebbe riempito il suo letto. Doveva tenere i piedi ben puntati a terra, perché non era certa che lui fosse interessato a lei. Però adesso voleva godersi questa compagnia inaspettata e fortunata, scacciando ogni altro pensiero.
“Cosa l’ha attratto per decidere di partecipare a questa bolgia? Perché ha affrontato quel bestione rischiando la vita per salvarmi? Eppure sono consapevole che la mia figura è anonima, non ha attrattive per gli uomini, che preferiscono la grassa bellezza di Winnie! Sono minuta tanto che sembro una fragile porcellana cinese. Non sono decisamente bella! Si, devo riconoscerlo. Basta che mi osservi allo specchio per vedere dei lineamenti duri, acidi come una zitella. Eppure quest’uomo si dimostra interessato alla mia compagnia”.
Non sapeva cosa dire, come iniziare un discorso. Lei sempre pronta alla battuta tagliente adesso restava muta, incapace di esternare un qualsiasi pensiero. La mente era sgombra come una casa abbandonata.
Si guardarono negli occhi e scoppiarono in una grassa risata.
“Siamo muti! Non riusciamo ad avviare nemmeno il più misero dei discorsi. Sul tempo, sulla zuppa, sulla confusione” disse ridendo Dan, afferrandole le mani.
“Dimmi questa zuppa come l’hai trovata? Per me era un po’ troppo acquosa. Quel ladro di oste si vuole arricchire alle nostre spalle!”
Angie non si sottrasse a quel tocco forte e deciso, che le trasmetteva calore e sicurezza, e lasciò fare. Provava piacere e non desiderava interrompere la calda atmosfera che si era creata.
“Si, hai ragione. La zuppa è stata allungata con l’acqua. Quella che preparo io è molto più gustosa. Però quel dolce di zucca era veramente squisito. Non sono mai riuscita a prepararlo così bene. Ma dimmi. Vivi solo in quella grande casa dove mi hai condotta?”
Dan sorrise prima di rispondere.
“Dunque sei una cuoca provetta. Non è facile trovare una donna che sa cucinare con classe”.
Angie arrossì non vista e abbozzò un timido sorriso.
“Non ho detto di essere una valida cuoca. Però fare di meglio per cucinare una zuppa di cipolle  non ci vuole molto”.
“Sento un dolce profumo di crostata di mele. Mi ha stuzzicato l’appetito. Ne ordino due belle fette. In effetti i dolci mi hanno riconciliato con lo stomaco”.
Dan, sempre tenendole forte le mani, la guardò dritta negli occhi prima di ricominciare a parlare.
“Quella pensione non mi sembra sicura per una signora come te. Se non sono troppo audace, ho pensato di ospitarti per questa notte a casa mia”.
Angie sussultò visibilmente perché questa uscita l’aveva colta di sorpresa e in un certo senso lusingata.
“Ma le mie amiche?”
“Ho posto per un’altra persona”.
“Sono due. Una l’hai conosciuta. Con l’altra abbiamo fissato l’appuntamento al tocco di mezzanotte all’inizio della strada. Ti ringrazio dell’offerta, ma non posso lasciarle sole”.
Lei era visibilmente contrariata perché a causa loro doveva rinunciare all’interessante proposta.
“Come vuoi. Mi limiterò ad accompagnarvi al Devil’s Cove. Ma ora non lasciamo raffreddare questa squisita torta di mele”.
Al tocco di mezzanotte si alzarono per onorare l’appuntamento con le amiche.
Sandra arrivò per prima accompagnata da un uomo palesemente alticcio, ma disse che non sarebbe venuta a dormire con lei, andandosene via.
Poco dopo giunse Winnie abbracciata ad uno zoticone, entrambi ubriachi, affermando che Angie era libera di recarsi da sola alla pensione.
Così fu ospitata per la notte a casa di Dan.

Rebecca

Lo skipjack fila leggero sulle acque della baia grigiastre striate leggermente di giallo. La prua taglia le piccole onde che increspano la superficie, lasciando alle spalle una scia che si allarga, si inerpica e discende placida sull’orizzonte.
Ellie continua rimanere vicino alla punta dell’imbarcazione, mentre sente il vento gelido che si insinua tra il collo e il pesante maglione. Una ventata fredda che scivola sulla pelle che reagisce con brividi lungo la schiena.
“Signorina Ellie, venga sottocoperta. Si prenderà un accidente se rimane ancora un minuto lì. Può osservare la baia attraverso i vetri della cabina al riparo del vento e degli spruzzi del mare”.
Il capitano l’osserva perplesso e timoroso, sperando che il suo appello venga raccolto.
Lei a malincuore si stacca dalla prua per scendere nella cabina, riparandosi dal vento invernale che spira da nord.
Lo skipjack è suo. L’aveva visto abbandonato in uno dei tanti piccoli approdi che si affacciano sulla baia. Era in cattive condizioni. Il bianco dello scafo era un pallido ricordo, tutto scheggiato e diventato un giallo sporco ricoperto dal verde delle alghe. L’albero sembrava un dito proteso verso il cielo. Si leggeva a malapena il nome: Rebecca.
Aveva letto che lo stato del Maryland aveva lanciato una crociata per salvare gli ultimi superstiti navigli che avevano fatto la storia dei pescatori di ostriche del Chesapeake Bay, chiedendo l’aiuto a privati e fondazioni.
Ne aveva sentito parlare dal nonno Pat, che le aveva raccontato storie fantastiche su questa imbarcazione, capace di solcare le acque in tempesta della baia, dragando i bassi fondali alla ricerca delle ostriche. Storie vecchie di decenni, ma sempre attuali nella sua mente.
“Che me ne faccio?” si domandò Ellie, osservando quello scafo spiaggiato su un fianco come un cetaceo morente.
“Non so manovrare una barca, né issare una vela. E poi è talmente messo male che forse non si riuscirebbe nemmeno a metterlo di nuovo in linea di galleggiamento. Oltre alle spese per rimetterlo in sesto, al rimessaggio nel porto di Wenona, mi devo trovare anche un capitano disposto a governare la barca. Una pazzia! Però … ha un fascino irresistibile”.
Lei allora aveva poco meno di ventotto anni e nessuna pratica di mare, ma non riusciva a staccare il pensiero da quello scafo corroso dal mare e dimenticato dagli uomini. Il nonno le aveva lasciato un bel deposito di dollari e buoni del tesoro nel conto presso la Hebron Saving Bank di Princess Anne dove abitava da sola in un piccolo cottage di legno. Quindi non doveva chiedere il permesso a nessuno, sarebbe stata autonoma, se voleva fare questa pazzia. Doveva solo cercare un marinaio disposto a prendersi cura della nave, affittare un posto barca nel porto e affidare a un cantiere il restauro dello skipjack.
E così fece. Trovò un vecchio marinaio che fu felice di gestire l’imbarcazione, assistendola nell’acquisto e procurandole gli artigiani che rimisero in sesto Rebecca per essere pronta a solcare ancora una volta le acque del Chesapeake Bay.
Il recupero fu costoso, forse anche fin troppo, ma alla fine la linea bassa e larga dell’imbarcazione faceva un effetto bellissimo ancorata al molo del porto. Aspettava solo che qualcuno la portasse nuovamente a solcare quelle acque che aveva conosciuto quasi cent’anni prima.
L’anno di costruzione era 1914, quando era nato il nonno Pat. Dunque era un segno del destino. Tutto sembrava congiurare a suo favore.
La prima uscita è stata nel 2009, dopo che tutte le pratiche burocratiche erano state espletate, e la destinazione è stata Holland Island. Era primavera, un giorno di marzo limpido e sereno dopo un inverno lungo e burrascoso. Quando il capitano Wade Krantz sciolse gli ormeggi per affrontare il primo viaggio, Ellie non sapeva se piangere o ridere per la felicità. Era un’emozione che non riusciva a quantificarla perché quel sogno, che era sembrato a tutti, familiari e amici, un’autentica pazzia, un gettare nell’immondizia un bel pacco di dollari, invece adesso era una realtà invidiata. Nessuno adesso aveva nulla da ridire.
Con dolcezza Rebecca si staccò dal molo, allargando la vela maestra per prendere velocità. Il capitano la condusse con perizia fuori dal porticciolo interno di Wenona per raffrontare le acque della baia, che stranamente non erano torbide. Sembravano festeggiare il suo ritorno alla vita ed erano in festa.
La forte chiglia scivolava leggera e veloce sospinta da una brezza leggera che spirava da sud est, mentre Ellie stava seduta a prua a prendere in viso l’aria pungente di inizio primavera.
Lei assaporava il gusto salmastro che la baia trasmetteva, mentre l’acqua sciabordava lungo le larghe fiancate dello skipjack.
“Signorina Ellie!” disse il capitano Krantz, richiamando l’attenzione della donna “Venga qui al timone della sua barca”.
Lei incerta si avvicinò a quella grande ruota lucida e scura, timorosa nel toccare quell’oggetto.
“Non ho mai preso in mano un timone” protestò flebilmente.
“E’ facile. Basta osservare questo strumento qui e tenere la rotta che fisso”.
“E come faccio?” rispose dubbiosa.
“Vede questa lancetta rossa?”.
“Sì”.
Deve rimanere fissa in questa posizione”.
“E se si sposta?”
“Vuol dire che lei ha mosso il timone. Quindi azionando la ruota dolcemente deve riportare la lancetta rossa in questa posizione. E’ tutto semplice. Poi non si preoccupi, ci sono sempre io a guidarla”.
E le cedette il comando della barca.
Ellie non credeva ai suoi occhi che fosse in grado di guidare una barca a vela.
“Sembra facilissimo!” urlò per la gioia.
“Non si distragga troppo! Basta un colpo di vento e ..” rispose pacato il capitano.
“E cosa succede?” domandò incuriosita e in apprensione la ragazza.
“La barca è solida, ma noi rischiamo di finire a mollo”.
E un largo sorriso comparve sul viso abbronzato del capitano. Ellie ebbe un moto di paura pronta a cedere il comando all’uomo.
“Basta leggere l’anemometro, osservare le vele che siano sempre gonfie e la strumentazione accanto alla bussola e..”
“E’ troppo difficile per me osservare tutti gli strumenti e agire di conseguenza! A malapena riesco a tenere la barra dritta e la prua puntata su Holland Island. No, no! Troppo complicato” e riconsegnò scura in volto il timone al capitano che rideva soddisfatto.
“E’ stata brava! La barca filava a quasi 8 nodi e lei non l’ha mai fatta deviare dalla sua rotta”.
Ellie osservava l’avvicinarsi dell’isola dei suoi sogni.